Chiesa di San Jacopo a Orticaia
DICOMANO – Con i suoi 465 metri di quota il Poggio di Orticaia costituisce l’appendice più meridionale dell’Appennino di Corella o di Beforte nel comune di Dicomano. Appena cento metri più in basso, sul fianco occidentale dello stesso rilievo, una collinetta rocciosa quasi a picco sulla Sieve, accoglie il complesso medievale di Orticaia con la sua chiesetta intitolata a San Jacopo. Il luogo si colloca a circa due chilometri e mezzo da Dicomano in direzione Vichio, poco prima che il brontoloso Fosso di Riconi disegni una tortuosa linea di confine tra i due comuni. L’ubicazione singolare di mezza costa e l’analisi frettolosa del toponimo possono indurre a una valutazione troppo superficiale di questa parte del Mugello, giudicandola come luogo appartato e poco ospitale. In realtà tutta la zona di Orticaia conserva qualità naturalistiche straordinarie, con panorami aperti su di un lungo tratto della Sieve, sulla campagna a valle di Vicchio e sulle pendici inferiori del Monte Giovi che cingono il fiume da ovest.
Forse proprio in queste particolari caratteristiche di visibilità e controllo del territorio, si giustifica la presenza in epoca medievale di una piccola rocca dei Conti Guidi, confermata da Federico II ai figli di Guido Guerra nel 1220. Nella stessa epoca, a breve distanza dalla rocca, doveva esistere da tempo, un cenobio di canonici regolari Agostiniani, come cita un atto di Alessandro IV inviato nel 1177 al priore del Convento di San Jacopo a Orticaia. Dal 1228 San Jacopo era aggregata alla Badia di Camaldoli e dipendente dal Monastero femminile di San Pietro a Luco. Come le altre chiese del Contado fu chiamata a sostenere le vicende militari cittadine, contribuendo con sei staia di grano al mantenimento dell’esercito fiorentino nell’epica battaglia di Montaperti combattuta contro i senesi nel 1260. La troviamo nuovamente registrata nelle Rationes Recimarum del 1276 quando era tassata per due libbre e sei soldi nella decima pontificia. Nel 1501 il convento (priorato) di San Jacopo era tenuto in commenda dall’abate Matteo Berti, camaldolese di San Mamiliano di Montecristo, che proprio in quell’anno invitava le monache di Luco a lasciare Orticaia. Una bolla emessa da Leone X nel 1513, assegnava definitivamente la chiesa con tutti i suoi beni al Capitolo fiorentino di San Benedetto a Porta Pinti, appartenente anch’esso allo stesso ordine camaldolese.
Dopo la morte dell’ultimo rettore, il presbitero Nicola, avvenuta nel 1558, il priorato di San Jacopo era unito al Monastero di Santa Maria degli Angeli di Firenze e a questo istituto rimase annesso fino al 1652, quando Innocenzo X decretava la soppressione dei piccoli monasteri, fra i quali anche quello di Orticaia. L’anno successivo la chiesa diveniva curata e dal 3 febbraio 1784 le era annesso anche il popolo della vicina Sant’Andrea a Riconi o Samprognano ormai soppressa.
Nel 1833 San Jacopo a Orticaia contava un popolo di 135 anime fra agricoltori e boscaioli che abitavano una ventina di case isolate e sparse sulla collina. Oggi l’intero complesso conserva il fascino di piccolo agglomerato medievale, con un imponente struttura colonica che precede l’edificio monastico, nel quale si unisce e si ingloba naturalmente anche la chiesa. Recentemente ed egregiamente restaurato, il monastero conserva inalterate le proprie caratteristiche architettoniche originali, ancora perfettamente leggibili nell’eleganza degli stipiti di pietra che disegnano le porte o nelle geometrie austere e contenute che caratterizzano le finestre.
La chiesa si appoggia sul lato settentrionale del convento. Vi si accede superando una breve scalinata che sale ad un sagrato erboso racchiuso da un muretto basso di pietre antiche. La facciata a capanna ha prospetto lineare, con portale delimitato da stipiti di arenaria e trabeazione modanata.
Sopra l’ingresso è un’ampia finestra rettangolare con grata metallica, unica apertura che da luce all’ambiente interno. Il campaniletto a vela, con due fornici privi di campane, poggia sul lato destro della struttura. L’interno è ad unica navata, con copertura sorretta da robuste capriate lignee e mostra evidenti i propri caratteri medievali, alterati da elementi di arredo non originali, aggiunti nei periodici interventi di restauro.
Singolare il disegno dell’aula disposta su più livelli, caratteristica abbastanza rara e inconsueta per le chiese del Mugello. Il presbiterio, rialzato e delimitato da una balaustra decorata a finte colonne, occupa infatti, circa metà dello spazio di preghiera. La restante parte dell’aula è a sua volta divisa in due spazi di ampiezza simile ma delimitati da un gradino che ne determina livelli diversi. Il livello più basso si colloca in prossimità dell’ingresso e doveva costituire in origine una sorta di atrio o nartece, ossia lo spazio dedicato ai catecumeni. Secondo l’uso dei rituali cristiani più antichi, qui potevano sostare gli aspiranti al Battesimo per assistere alla parte iniziale della Messa, ed essere congedati prima del rito dell’offertorio.
Sempre nell’aula, addossati alle pareti laterali in prossimità del presbiterio, si collocano due piccoli altari con mensa di pietra sorretta da colonnette quadrangolari. Di foggia speculare, presentano nicchie centinate con le statue della Madonna e del Sacro Cuore.
Sul pavimento, davanti all’altare di destra dedicato al Sacro Cuore, è un’antica sepoltura recante il simbolo dell’Ordine Camaldolese, ormai consunto e quasi illeggibile.
L’Altare Maggiore si appoggia alla parete di fondo; è sorretto da robuste mensole a voluta e conserva l’orientamento “versus Deum” precedente le riforme del Concilio Vaticano II. Sotto la mensa un’epigrafe ricorda il radicale restauro della chiesa avvenuto nel 1765 ad opera di Domenico Andrea Morgantini, il parroco pro tempore. Alla stessa opera di restauro dovrebbe appartenere anche la realizzazione dell’ampia cantoria posta sopra l’ingresso, con fronte lineare e fregi stilizzati a rilievo. Appena posteriori se non coeve allo stesso intervento dovrebbero essere anche le pitture murali che decorano le pareti della chiesa.
Tutto il perimetro dell’aula appare impreziosito da una balza dipinta a pannelli di finto marmo a sua volta sormontata da una cornice contigua a motivi vegetali di gusto medievalizzante, che si ripete anche all’imposta della travatura.
Due lesene dipinte con motivi ed epigrafi sacre, ornano la parete di fondo ai lati dell’Altar Maggiore e delimitano la spazio che un tempo ospitava la pala d’altare. Non sappiamo quale fosse in antico l’opera principale posta sopra l’altare, anche se nelle prime decadi del Novecento quello spazio era ancora occupato da una tavola ad olio raffigurante la Vergine con i Santi Giacomo di Compostela apostolo e l’abate Romualdo, fondatore dei Camaldolesi. Il dipinto fu realizzato da Giacomo Conti nella seconda metà del XIX secolo ed è conservato oggi nella pieve di Santa Maria a Dicomano, sulla parete destra della controfacciata.
foto e scheda di Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 21 marzo 2021