Complesso di Santa Lucia e Cristina a Casaromana
DICOMANO – La campestre che si apre sul lato destro dell’Azienda Agricola Il Forteto, attraversa un’ampia zona agreste di elevato valore storico naturalistico. Superata la deviazione per Torricella, sede dell’antica chiesetta di San Niccolò, la strada sale dolcemente a lambire la splendida villa Gentili a Riconi; da qui riprende decisa verso la zona di Ampinana e il Giogo di Corella tra seminativi brulli ed eleganti dimore rurali come Fornace, Verracoli e Case al Trebbio. A 447 metri di quota, un ampio spazio erboso in posizione panoramica, ospita il complesso di Santa Lucia e Cristina a Casaromana. É il classico esempio di agglomerato rurale adottato per le chiese di campagna, dove canonica e casa poderale si uniscono in un unico nucleo al luogo di preghiera, secondo il disegno di un’architettura semplice e ben articolata che punteggiava un tempo le nostre colline e caratterizzava con inconfondibile armonia ogni angolo del nostro paesaggio.
La chiesa di Casaromana è menzionata per la prima volta in un documento del 1032 conservato nel Bullettone diocesano, quando pagava un censo annuo di dodici denari d’argento al Vescovado fiorentino. Per volere di Federico II, dal 1220 tutto il territorio di Casaromana era confermato ai Guidi che lo controllavano da un piccolo fortilizio sottoposto al feudo di Ampinana.
Nelle Rationes Decimarum del 1276-77 la chiesa appare citata unicamente con il titolo di Santa Cristina, mentre nei rogiti notarili del primo Trecento è solo il nome di Santa Lucia ad apparire frequentemente unito al toponimo di Casaromana. Conclusa l’egemonia dei Guidi, il popolo di Santa Lucia si era organizzato in Comune ed eleggeva autonomamente i propri rettori. Sul finire del XIV secolo il popolo di Santa Cristina, patrono della propria chiesa, si rivolgeva invece a don Iacopo Spina pievano di Dicomano, perché intercedesse presso la pieve matrice di Corella nella nomina dei rettori. Ciò farebbe supporre in antico, la presenza di due luoghi di culto, la cui terminologia identificativa appare unita solo nella documentazione quattrocentesca, indicando probabilmente in quel tempo la fusione e le origini di un’unica realtà clericale.
La conferma di tale stato ci è offerta dallo studio di una Pianta dei Capitani di Parte realizzata nel 1580 che mostra la presenza di un solo luogo di culto sul territorio di Casaromana. Con decreto vescovile del 1640, la chiesa era elevata a prioria e Niccolò Bellini fu il primo rettore ad esserne insignito. Allo stesso periodo storico è forse da attribuirsi anche l’annessione del popolo di San Lorenzo a Fabiano, unica suffraganea presente sul territorio limitrofo, ormai da tempo rovinata.
Oggi tutto il complesso di Casaromana appare in completo abbandono e nonostante la colonica mantenesse fino a qualche anno fa il proprio ruolo di civile abitazione, tutti gli ambienti manifestano urgenti necessità di restauro. Corpi di fabbrica ed annessi più moderni lasciano intuire modifiche e adattamenti strutturali dovuti alle necessità di generazioni del passato che lo adottarono come luogo di lavoro e di preghiera lasciandoci in eredità una struttura dalle molteplici funzionalità che sembra aver unito scopi tipicamente agricoli ad altri essenzialmente spirituali.
In origine tutta la struttura doveva mostrarsi con architettura parzialmente diversa dall’attuale, come appare percepibile dalla lettura della precitata Pianta dei Capitani di Parte Guelfa che mostra sul lato destro un edificio molto più alto della chiesa, probabilmente futura sede del piccolo priorato. Uno stato che deve essersi modificato solo fra XVIII e XIX secolo con l’aggiunta della canonica e l’abbassamento dell’area conventuale trasformata in colonica.
La chiesa sembra invece non aver mutato nel tempo la propria fisionomia originale, ancora stretta tra la canonica e gli ambienti agricoli. La facciata è lineare, coperta a capanna, con due strette monofore aperte nella parte superiore.
Il campanile è a vela, collocato sull’angolo posteriore sinistro, con i due fornici ancora provvisti di campane. L’interno è spazioso con l’unica navata pavimentata in cotto e piccolo gradino che delimita l’area presbiterale, un oculo circolare si apre sulla parete di fondo. Lo spazio di preghiera è privo di qualsiasi arredo e diviso da tre grandi arcate sorrette da semicolonne quadrangolari con cornice modanata all’imposta dell’arco.
La canonica si appoggia al fianco sinistro della chiesa. Articolata su due piani conserva elementi tipici dell’architettura sette-ottocentesca, con ampie sale e un bel camino di pietra recante uno stemma gentilizio. La casa poderale occupa invece il lato destro del fabbricato, con gli ambienti di lavoro al piano terra e gli spazi abitabili al piano superiore.
L’ingresso si distingue per l’elegante arcata di mattoni a sesto ribassato che da accesso agli ambienti di ricovero per gli animali, con la stalla, ancora munita di greppie, che poteva ospitare almeno tre coppie di buoi e l’ovile pavimentato con lastre di arenaria appoggiate direttamente sul terreno. Un’ampia sala è riservata unicamente al grande forno, con base in bozze di pietra che sostiene la camera di cottura. Le dimensioni inusuali dell’impianto, esuberante per un solo nucleo familiare, lasciano intuire un impiego forse più adatto ad assolvere le esigenze dell’antica sede conventuale o le necessità dell’intera comunità rurale.
La cantina si colloca sul retro del complesso, fra altri annessi ed in posizione seminterrata. L’ambiente, anche se ormai spoglio degli attrezzi necessari alla conservazione del vino, mostra caratteristiche strutturali uniche. Il soffitto è a volta, realizzato con elementi di pietra e laterizio disposti verticalmente che si alternano in una sorta di mosaico di gradevole bicromia e rilasciano un senso di notevole solidità.
Sul fianco destro la volta del soffitto ne interseca un’altra di dimensioni più contenute e disposta in senso ortogonale che sembra costituire l’accesso centinato ad un ulteriore spazio di servizio. In realtà questa seconda apertura non sembra destinata ad alcun tipo di utilizzo relativo alla cantina ma forse realizzata per scopi completamente diversi.
La profondità del vano infatti, è ridotta a pochi centimetri e si attesta immediatamente contro una parete di roccia nuda che la occlude completamente in tutta la sua altezza, suscitando non pochi interrogativi sul reale impiego del manufatto.
Tuttavia, la presenza di una piccola sorgente che sgorga dalla roccia viva dà adito, con qualche licenza, ad ipotesi suggestive che attribuiscono al luogo una sorta di marcata sacralità, forse reminiscenze di usi ancestrali adottati da generazioni lontanissime nei riti del battesimo e giunta fino ai nostri giorni nella sua identità ancora intatta e misteriosa.
Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 luglio 2021