Pieve di San Martino a Scopeto o Viminiccio
È indubbio che il Monte Giovi con i suoi 992 metri di altitudine, rappresenti un elemento inatteso di elevato valore naturalistico, che altera non poco il languido e pacifico paesaggio disegnato dall’antico scorrere della bassa Sieve. Per la dolcezza delle sue forme e il ripetersi di depressioni brevi e contenute, la montagna ha saputo offrire in ogni epoca rifugio e sostegno a gente operosa che, adattandosi al suo ambiente, lo ha scelto come dimora ideale, realizzandovi splendide cascine rurali, chiese e castelli.
L’area di Scopeto è collocata nella parte mediana, sul fianco settentrionale del Giovi, con la pieve di San Martino sistemata al culmine di una selletta sul poggio omonimo.
Il luogo è incantevole, con panorami mozzafiato che si aprono sulla Val di Sieve e sull’Appennino. Vi si giunge dalla comunale che porta a Barbiana, deviando a sinistra in località Molino di Baldracca.
Qui più che altrove, la storia sembra aver impresso i segni di un passato antico, determinante per le sorti future del Mugello. Mantenendo come riferimento la pieve di San Martino, abbiamo infatti, in direzione nord, poco a valle della chiesa, il sito etrusco di Poggio Colla, mentre a sud, sulle pendici del Giovi, i ruderi medievali dei castelli di Scopeto e di Monte Acuto. Quasi dirimpetto alla pieve, l’occhio si posa invece, sulla chiesetta di Barbiana, dove negli anni 50/60 del Novecento, don Lorenzo Milani seppe dar vita ad un’inedita interpretazione del pensiero cristiano che avrebbe sconvolto radicalmente l’intero ambiente clericale.
Della pieve di San Martino a Scopeto o Viminiccio, termine quest’ultimo adottato per indicare la natura selvaggia del luogo, abbiamo notizie dall’XI secolo, per un diploma di Enrico II datato al 1024, che ricorda il castello di Monte Acuto, posto nel territorio della Pieve di San Martino a Viminiccio.
Già nel 1013, con la fondazione di San Miniato al Monte, il vescovo Ildebrando, aveva donato come dote per il nuovo monastero, metà del territorio di Monte Acuto, ma all’inizio del XIII secolo, l’abate di San Miniato, concedeva in enfiteusi, le sue proprietà di Monte Acuto agli Adimari, che le conservavano in parte ancora verso al metà del XVIII secolo.
Nel 1492 la pieve di Scopeto era unita alla chiesa di San Jacopo a Monte Acuto, povera di mezzi e di anime, nonostante vi avessero il patronato gli stessi Adimari. Appare verosimile l’ipotesi, che proprio questo periodo storico mostrasse i segni di una particolare involuzione economica per la zona, tanto che verso la metà del Cinquecento, anche la stessa pieve di San Martino, privata di periodici interventi conservativi, minacciava ormai imminente rovina. Per un certo periodo, il rettore di allora fu costretto ad officiare presso l’oratorio della Compagnia, “distante due tiri di balestra dalla pieve.”
Sul volgere del XVI secolo, la pieve fu radicalmente restaurata e nel 1592, messer Stefano Nuti patrono, l’abbellì con nuovi arredi in sacrestia, dotandola infine di un tabernacolo di pietra accanto al Fonte Battesimale “per gittarvi l’acqua dei battezzati.”
Al tempo erano suffraganee di San Martino ben cinque chiese limitrofe, fra queste la Badia di Bovino, le chiese di Sant’Andrea a Barbiana, quella di San Pietro a Pimaggiore, San Giusto a Monte Sassi e la cappella di Bricciana.
La chiesa fu praticamente ricostruita nelle ultime decadi del Settecento e nuovamente abbellita con pregevoli suppellettili nella seconda metà del secolo successivo. Nello stesso momento fu riedificata anche la canonica, munendo il cortile interno di un bel porticato con arcate a tutto sesto.
La chiesa, oggi non più officiante, mostra una struttura possente, coperta a due spioventi e sormontata da un elegante campanile a vela di grandi dimensioni, articolato su due livelli, visibile da grande distanza e munito di tre fornici con relative campane.
L’edificio di culto è rialzato di alcuni metri rispetto al piano stradale. Vi si accede da una lunga scalinata ad ampi gradini che si conclude sul sagrato.
La facciata restaurata dopo il terremoto del 1919, porta i simboli di pietra ormai illeggibili, dei Nuti, dei Tani e dei Baldinotti, le famiglie che vi ebbero il patronato. Sopra il portale di pietra, una lunetta cuspidata reca l’immagine di San Martino vescovo di Tours, opera in maiolica policroma realizzata da Tito Chini nel 1926.
L’interno coperto a capriate lignee, è ad unica navata con pavimento in cotto ed ormai spoglio degli stucchi, dei fregi e degli elementi decorativi che ne caratterizzavano l’aspetto estetico all’inizio del Novecento.
Sopra l’ingresso è la cantoria, sorretta da colonne cilindriche e dotata di un piccolo organo settecentesco.
Gli altari laterali sono due, di grandi dimensioni, entrambi caratterizzati da colonne cilindriche con capitelli ionici che sostengono il timpano interrotto dal simbolo eucaristico.
Il presbiterio è rialzato di tre gradini e si prospetta con una grande arcata a tutto sesto, con cornice modanata all’imposta dell’arco, che corre poi alla stessa altezza, lungo l’intero il perimetro semicircolare dell’abside.
Alla base dell’abside sono ancora gli scranni lignei del piccolo coro.
L’Altar Maggiore, settecentesco, conserva inalterata la parte anteriore della mensa, mentre resta privato del ciborio e della parte monumentale retrostante, per un evidente e pratico adattamento alle disposizioni del Concilio Vaticano II e alle celebrazioni “versus populum.”
Fra le opere artistiche che ancora ornano la chiesa è da notare sull’altare di sinistra, un quadro della Madonna col Bambino datato al 1647. La Vergine è assisa sulle nubi fra uno stuolo di cherubini. Più in basso le figure di San Filippo Neri e quella di un Pontefice.
La chiesa vanta inoltre una notevole raccolta di opere eseguite dal pittore fiorentino Ferdinando Folchi che lavorò assiduamente in molte chiese del Mugello, fermandosi nella chiesa di Scopeto nella seconda metà dell’Ottocento, fino al 1887.
Appartengono a questo artista i cinque affreschi sulle pareti laterali e nell’abside, recanti la Storia di San Martino (1869) e i medaglioni del Re David e di Santa Cecilia che affiancano l’organo.
Sopra l’altare in Cornu Epistolae è invece una Vergine del Carmine dipinta dal Folchi nel 1857 su commissione di Giovan Battista Grifoni, il pievano pro tempore. La Madonna è seduta fra due angeli con il Bambino sulle ginocchia, fra Santa Margherita e San Simone Stock, a cui la Vergine offre lo scapolare. In secondo piano a sinistra un angelo sostiene la dedica dell’opera con i nomi dell’autore e del committente e all’estrema destra del quadro, il ritratto del pievano Giovan Battista Grifoni.
Altre cinque opere ad affresco murale, dipinte da Ferdinando Folchi, occupano altrettanti spazi del sottotetto nel salone della canonica. Si tratta di una raccolta di graziose “vedute” della pieve di San Martino e di alcune suffraganee che le appartenevano; San Pietro a Pimaggiore, Badia a Bovino, Sant’Andrea a Barbiana e Bricciana.
Al di là dell’aspetto puramente artistico, queste opere costituiscono una testimonianza unica ed autentica dell’architettura che caratterizzava quegli edifici alla fine del XIX secolo. A ciò si unisce il pregio e il valore di esempi rappresentativi per il costume dell’epoca, rilasciati dal gradevole apporto di particolari seminascosti ma che a ben guardare raccontano ad esempio l’uscita domenicale dalla Messa, l’aratura dei campi, la trebbiatura manuale con l’antico strumento detto “correggiato”, la pastorizia. Sempre in canonica è infine, un pregevole dipinto da poco restaurato della Madonna e Santi, datato 1588.
Scheda e foto di Massimo Certini – riproduzione riservata
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 22 settembre 2019