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Tito Chini, la tela incompiuta di Palazzuolo sul Senio

BORGO SAN LORENZO – Matteo Chini ha scritto, per l’esposizione di un pannello decorativo, incompiuto, opera di Tito Chini, tenutasi nella chiesa di Salecchio a Palazzuolo sul Senio una nota, che qui di seguito riportiamo. Nella nota, dopo le informazioni biografiche, si commenta l’opera, ritrovata nello scantinato di quella che a Palazzuolo fu la casa di Tito Chini e che ancora appartiene ai familiari. Di tali opere, oltre a quella esposta, ve ne sono altre due, tutte bisognose di restauro. 

Dal 1925 fino al pesante bombardamento del 1943, Tito Chini (Borgo S. Lorenzo 1898 – Desio, 1947) è stato direttore della Manifattura Chini di Borgo San Lorenzo interpretando in modo originalissimo lo stile Déco che si stava proprio allora affermando in tutta Europa e che rappresentava un ritorno ai valori classici nel campo delle arti decorative. Tra i molti premi che lo attestano basti citare la medaglia d’argento vinta all’Esposizione internazionale di Parigi del 1925.  

Ma la sua carriera di pittore, architetto e ceramista era iniziata molto prima.

Ne è un esempio precoce la commissione per la decorazione dell’Ossario del Pasubio avvenuta nel primo dopoguerra grazie all’esperienza vissuta sul campo di battaglia col Generale Pecori-Giraldi che proprio lì fu sepolto nel 1945. Gli ideali patriottici e interventisti – uniti a una forte fede religiosa che visse da terziario francescano – ne hanno sempre animato le scelte ideologiche tanto da spingerlo a partecipare a progetti come il Sacrario militare di Schio o il Monumento ai caduti di Palazzuolo sul Senio – ma il suo capolavoro, beninteso, rimane il favoloso complesso termale di Castrocaro!

E’ però all’intensa partecipazione alla tragedia bellica che vorremmo accostare i tre pannelli decorativi lasciati incompiuti e ritrovati dalla figlia Antonella nella casa di Palazzuolo. Incompiutezza che è evidente specialmente nei volti delle modelle completamente nude che sembrano genuflettersi, implorare e disperarsi con le mani giunte verso l’alto. I pannelli dipinti a tempera carboncino e sanguigna su tela (di cui soltanto uno è in visione) hanno grandi dimensioni –  250 x 390 centimetri – e sembrano adatti alle atmosfere architetturali di una piccola cappella funebre. Impressione confermata dalla cornice neogotica impreziosita da figure geometriche con inserti d’oro e argento che culminano con due grandi rosoni quadrilobati.

La finezza di questi motivi goticheggianti stride tuttavia con il crudo realismo delle figure femminili. Esse non stanno lì ad esibire alcuna bellezza esteriore, ma soltanto la verità dei loro corpi segnati dal tempo e dal dolore. Chi sono?  Le testimoni  impotenti sopravvissute a una qualche irreparabile tragedia? Ad una misteriosa e imprecisata Apocalisse? Le madri, le sorelle, le figlie dei tanti soldati uccisi in guerra? Forse le  cornici erano addirittura state concepite durante il primo dopoguerra e sono rimaste lì vuote ad aspettare per anni o magari decenni di essere completate. In questo caso le figure sarebbero state aggiunte davvero molto più tardi. Magari proprio quando lì vicino passava la famigerata linea gotica e dove i Chini come tanti altri hanno vissuto laceranti vicende familiari. Ecco proprio nel periodo in cui la grande casa sul fiume diventava prima sede delle SS e poi degli alleati, Tito ha forse sentito la necessità di esprimere il crollo di una ideologia e dei suoi valori imperialistici, di una fede malriposta che ne aveva segnato la vita intera, di una fiducia nella tradizione che non riusciva a colmare il vuoto del presente.

Quelle donne implorano pietà al Cielo, isolate e mute testimoni di un tracollo sia ideale che civile ma forse – ci auguriamo – anche portatrici di un seme di speranza che ripopolerà di uomini nuovi un’Italia divisa dalla fame, dalla morte ma soprattutto dall’errore.

Matteo Chini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 dicembre 2022

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