MUGELLO – In fatto di ungulati il nostro Appennino non si fa mancare nulla, a parte gli stambecchi e i camosci, tipicamente alpini. Al cervo (articolo qui) e al capriolo (articolo qui), dunque, vanno aggiunti anche altri due importanti elementi faunistici: il daino e il muflone.
Dato il suo valore estetico, oggi il daino è il tipico ornamento dei parchi in tutto il mondo. La sua origine in Italia è controversa. Da graffiti su rocce ritrovati in Lazio, Puglia e Sicilia sembra che verso la fine dell’ultima glaciazione vi fossero ancora popolazioni residue, poi forse del tutto scomparse. Le prime introduzioni risalgono al Neolitico ma nel periodo romano non risulta presente in Italia. Lo troviamo documentato intorno al Mille a Castelporziano (Roma) e tre secoli dopo a San Rossore (Pisa). Se ne deduce che il daino ha sempre avuto una buona familiarità con l’uomo, anche se non è mai stato pienamente domesticato. La riprova sono gli svariati colori del manto, di solito pomellato ma anche nero, bianco (non è un segno d’albinismo) o isabellino. In una specie selvatica la colorazione è piuttosto costante perché protegge l’animale permettendogli di nascondersi meglio; se qualche esemplare presenta colori diversi difficilmente riesce ad arrivare allo stato adulto e a riprodursi, per cui la popolazione mantiene un aspetto omogeneo. Così non avviene negli animali conviventi con l’uomo che, per vari motivi (valore economico, bellezza, compagnia, aiuto, ecc.), sopravvivono tutti, a prescindere dal colore manifestato.
In Mugello il daino è stato introdotto dalla Forestale a partire dal 1958, con modalità analoghe a quelle del cervo. Come tutti i cervidi presenta palchi costituiti di materiale osseo, che cadono e vengono riformati annualmente; si riconoscono perché la parte finale è a forma di pala piuttosto espansa (i maschi che li portano sono detti “palanconi”).
L’amico Duccio Berzi mi portò con sé nella zona di Moscheta (Firenzuola) per ascoltare i daini durante la stagione degli amori, nel mese di settembre. Mentre il cervo bramisce, il maschio del daino emette un suono stranissimo, simile ad un forte russare. Era un suono, ripetuto in continuazione da molti animali, che si udiva in tutta la vallata: non maestoso ma inquietante, come quando si percepisce di trovarsi al cospetto di qualcosa che coinvolge tutto un gruppo in una funzione vitale fondamentale.
Berzi mi raccontò che il daino è una preda molto amata dal lupo (articolo qui), sempre abile a servirsi di tutto ciò che l’ambiente gli offre. In quella zona un gruppo di daini erano entrati in un frutteto passando da un’apertura praticata sotto la rete di recinzione. Da lì era entrato anche il lupo uccidendo alcuni erbivori che, folli di paura, sbattevano nella rete senza poter trovare la via d’uscita.
Della tendenza dei daini a passare sotto i recinti posso dare testimonianza diretta. Nel corso di una scampagnata oltre il passo del Giogo, vidi un daino che batteva inutilmente la testa sul terreno per liberarla da una corona di filo spinato, arrotolata su un palo che era stato divelto dal recinto. Per fortuna, con l’aiuto di altre persone arrivate nel frattempo, riuscimmo a liberarlo; la fuga del daino fu spettacolare e velocissima: evidentemente si era spaventato a morte e non pensava di uscire così a buon mercato da quella brutta situazione.
Anche il muflone è stato importato in Italia dall’uomo: le sue origini infatti sono nell’Asia sudoccidentale. Appartiene, come tutte le pecore, le capre ed i bovini, alla famiglia dei bovidi, caratterizzati da corna vere (non palchi), costituite da un astuccio di corno attorno ad un osso spugnoso che è all’interno; le corna non cadono mai. Forse la pecora domestica si è originata migliaia di anni fa da una specie di provenienza asiatica; addirittura pare che il muflone della Sardegna derivi da queste antichissime pecore, nuovamente rinselvatichite dopo una prima domesticazione.
Questo animale fu introdotto in Casentino nel 1870: si trattò probabilmente della più antica immissione in territorio libero operata in Europa. Ma l’ultima guerra, come per tante altre specie, segnò la fine di questa popolazione. Non si riflette a sufficienza come anche gli animali siano vittime delle guerre degli uomini: se una guerra moderna, fatta con tutti i mezzi a disposizione, persiste su un territorio per quasi due anni, come appunto la seconda guerra mondiale in Italia, anche le specie animali vengono travolte dalla catastrofe, fino addirittura a sparire.
Il muflone venne reimmesso nel nostro Appennino negli anni tra il 1950 ed il 1970 intorno ai passi della Futa e della Raticosa, una zona adatta alle loro caratteristiche. In questi luoghi, anni fa, ne osservai un bel numero. Sfruttando la morfologia di dossi e avvallamenti del terreno, cercai di avvicinarmi per ammirare gli arieti, dalle bellissime corna a spirale ma, quando avvertirono la mia presenza, tutti gli animali si misero in fila e pian piano si ripararono nel bosco. Riuscii a contarli comodamente: erano 25. Ne ho rivisti due solo un’altra volta, sulla statale verso Bologna: due splendidi arieti in sosta ai margini della strada, presso un bosco di faggi.
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