“Il progetto nasce – spiega Vigorito – dalla volontà di esplorare la condizione dell’isolamento non come semplice privazione sociale ma come l’opportunità di introspezione e conoscenza di sé che ci
offre. Viviamo un mondo iperconnesso, dove l’interazione è costante, forzata, superficiale, diffidente; Ho pensato di indagare la solitudine come rifugio volontario, come luogo di divertimento (nel senso di allontanamento ) da sé.
L’isolamento inteso come spazio. Uno spazio confinato. Uno spazio di silenzio e distacco. L’isolamento immaginato: reso immagine.
Mi servo della macchina fotografica come strumento di creazione. In questo modo la fotografia, l’immagine che ne scaturisce, non è testimone di una realtà esistente piuttosto il risultato di un atto simulatorio che vuole stimolare un pensiero.
In qualche modo creare un’immagine che ci faccia chiedere cosa stia succedendo all’interno del fotogramma, quale pensiero si tace in un’immagine muta?
Per questo motivo gli scatti sono stati realizzati su un
palcoscenico teatrale, luogo per eccellenza dell’azione ricostruita. Chi osserva lo scatto adesso ne è lo spettatore.
I soggetti fotografati non si conoscono tra loro ma a guardarli insieme danno l’idea, simulano di essere tutti componenti della stessa famiglia; per tutti, spettatori compresi, quanto di più
lontano dall’idea di solitudine.
Per tutti, il nucleo originario della prima evasione verso di sé”.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 febbraio 2025