Al momento, la destinazione originaria della tavola è ignota e le notizie più antiche la registrano nell’oratorio della Madonna del Vivaio, al quale fu donata dal proposto Carlo Maria Savi sullo scorcio del XVIII secolo (da dove fu poi trasportato nella attuale collocazione nella seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso). Tale circostanza avvalora l’ipotesi secondo la quale il dipinto appartenesse in origine alla compagnia dell’Annunziata, che aveva la propria sede nel chiostro del soppresso convento agostiniano di San Barnaba, acquisito dopo la soppressione napoleonica alla parrocchia dei Santi Jacopo e Filippo e quindi, evidentemente, nella disponibilità del proposto.
Il dipinto, privo di firma e data, era stato in passato riferito al pittore fiorentino Giovan Battista Naldini, per essere poi, e definitivamente, attribuito (da Bruno Santi) al fiorentino Giovanni Balducci, detto il Cosci dal cognome di uno zio materno, che del Naldini era stato allievo e nella cui bottega si era formato, tanto da seguirne dappresso lo stile, caratterizzato da un misurato ed equilibrato tardomanierismo. Fu molto attivo poi come artista autonomo, prolifico autore anche di imprese impegnative come alcuni degli affreschi del chiostro grande di Santa Maria Novella, o la decorazione dell’oratorio dei Pretoni in via San Gallo a Firenze. Lasciata Firenze intorno al 1592 per recarsi a Roma, al seguito del cardinal Alessandro de’ Medici, dove eseguì lavori, fra gli altri, in San Giovanni in Laterano e San Giovanni dei Fiorentini, concluse la sua carriera a Napoli, presso il cardinale Alfonso Gesualdo, città dove morì dopo il 1631, non prima di avervi lasciato numerose testimonianze della sua arte.
La tavola di Scarperia (probabilmente concepita per essere vista dal basso verso l’alto), databile intorno alla metà degli anni Ottanta del Cinquecento, anche per la vicinanza iconografica e stilistica con l’Annunciazione della parrocchiale di Bibbiena, del 1585, si inserisce perfettamente nel linguaggio artistico del Balducci che riprende i modi del primo Manierismo fiorentino, reinterpretandoli alla luce delle istanze di chiarezza comunicativa proprie del clima controriformato, di cui questa tavola costituisce uno degli esempi più illuminanti. Infatti, lo stile, solenne raffinato, la tavolozza, cromaticamente luminosa e cangiante, le forme sinuose e dinamiche, caratterizzate anche da una certa astrazione, rimandano alla cultura figurativa del pieno Manierismo, mentre la semplicità dell’impaginazione complessiva, l’evidenza devozionale della composizione e il solenne equilibrio classicheggiante e monumentale richiamano l’insegnamento dei maestri del primo Cinquecento e in particolare di Andrea del Sarto.
Marco Pinelli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 aprile 2022