MUGELLO – Un altare ligneo, dorato e con intagli pregevoli, tuttavia invasivo rispetto all’architettura minimale voluta dall’architetto Michelozzo per conto di Cosimo il Vecchio, e anche sfarzoso per la quotidianità francescana. In alto troneggia lo stemma de’ Medici. Un dono di Ferdinando II Granduca, ultimo omaggio che questa famiglia ha riservato al convento di Bosco ai Frati. A distanza di secoli nessun riferimento su chi possa averlo progettato e realizzato. Tuttavia nell’area fiorentina uno simile, e precedente, si avvicina a questo per fattezze, stile e dimensioni, quello della chiesa di San Domenico a Fiesole. Un confronto.

Il Mugello è una goccia d’arte e di cultura nell’oceano fiorentino. Diverse opere d’arte non hanno un parere accademico. Altre sono liquidate con poche righe, di circostanza, negli inventari e nei cataloghi. In seppure rari casi, qualcuna anche dimenticata. Come il grande altare ligneo nella chiesa del convento di San Bonaventura a Bosco ai Frati, dono di Ferdinando II granduca di Toscana, l’ultimo dei tanti doni fatti dalla famiglia de’ Medici ai frati minori di San Francesco, nell’anno 1626. Un manufatto di notevoli dimensioni, che se da una parte appare invasivo nell’occultare l’architettura dell’abside progettata dall’architetto Michelozzo (1428-36) per conto di Cosimo il Vecchio, dall’altra genera meraviglia per la raffinatezza degli intagli, delle decorazioni e per la perfetta geometria della struttura. In alto reca lo stemma de’ Medici con le cinque semipalle di colore rosso sormontate da quella blu, proprio ad attestarne il patronato della commessa.

“Pianta e prospettiva della Chiesa dei Reverendi Padri di S. Francesco in luogo detto Bosco” –
 “Pianta e alzato della chiesa di Bosco ai Frati e del nuovo altare da fare in essa, come dettagliatamente spiegato nelle lunghe legende” – Archivio di Stato di Firenze – Fondo: Piante dei Capitani di Parte Guelfa

Un luogo, che di per sé, trasuda di storia medicea, dove quell’arme di famiglia, fra esterni e interni, è ripetuto per ventuno volte. Così meglio se ne comprende il valore affettivo, dunque l’importanza, per il fatto che tutto il complesso conventuale fosse sotto la tutela del loro governo, dalla Signoria, al Ducato e infine al Granducato. Ne reca testimonianza un documento d’archivio, un progetto, oggi si direbbe preliminare, per la realizzazione di un nuovo altare per un immobile di rilevanza demaniale, dello stato di allora: “Pianta e prospettiva della Chiesa dei Reverendi Padri di S. Francesco in luogo detto Bosco” – Archivio di Stato di Firenze – Fondo: Piante dei Capitani di Parte Guelfa – ed è indicato con questa dicitura: “Pianta e alzato della chiesa di Bosco ai Franti e del nuovo altare da fare in essa, come dettagliatamente spiegato nelle lunghe legende.”. Dall’immagine riprodotta qui sotto confrontata con il grande altare, il retablo, tuttora presente nella chiesa se ne evidenziano le differenze, quelle che solitamente possono esserci fra un progetto preliminare e l’allestimento definitivo. Tutto ciò, negli schedari conservati in convento, è identificato come un lavoro di “manifattura fiorentina”, senza alcun indizio alla paternità di chi possa averlo progettato ed altrettanto a chi lo abbia poi realizzato. Un vuoto documentale da colmare.

Ecco che, quantomeno per cercare di correlarlo ad opere simili, e per lo stile, e per il contesto storico, si possa confrontarlo con quello della chiesa del convento di San Domenico a Fiesole. Ebbene di quest’ultimo abbiamo qualche elemento descrittivo in più rispetto alla scarna citazione con cui è stato liquidato quello di Bosco ai Frati. In particolare nella scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali si legge: “Relativamente a questo pregevole e complesso arredo chiesastico sappiamo da alcuni documenti d’archivio trascritti dal Giglioli (1933) – Odoardo Hillyer Giglioli, 1873/1957 – che già si pensava di abbellire con un ciborio l’altare maggiore e il nuovo presbiterio in data 28 febbraio 1611, e che tale ciborio era già terminato, ad opera del Maestro Andrea Balatri legnaiolo, il 15 marzo 1617.”

Sicché Andrea Balatri, dall’anagrafica sconosciuta, recensito come “legnaiolo” o “maestro di legname”, una qualifica che però si presta ad essere correlata più alla maestria artigiana nel costruirlo che per averne stilato il progetto. Anche perché, a differenza del figlio Giovanni Battista Balatri – lui sì architetto registrato presso l’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze – lo si trova nei rari documenti disponibili sempre quale esecutore di opere lignee, appunto un “legnaiolo”. Come nel caso della struttura lignea realizzata per sostenere le campane della chiesa dei Santi Michele e Gaetano, in piazza degli Antinori, a Firenze.

I due altari, fra ipotesi e suggestioni. Il confronto visivo fra i manufatti corrobora l’ipotesi che possano essere stati ideati da un unico progettista ed altrettanto costruiti da un unico “legnaiolo”, o dalle maestranze della relativa bottega. In effetti ci sono degli elementi formali pressoché identici: i cornicioni della parte superiore, i capitelli e le colonne avvolte da decorazioni fitomorfe, le due nicchie con i balconcini prospicienti. Pertanto pur in assenza di prove documentali, quindi non certo per oggettività, per la particolarità delle due strutture, non è azzardato attribuire ad un solo “legnaiolo” i due altari individuandone l’autore in Andrea Balatri. Resta invece aperta la questione su chi ne sia il progettista, restringendo il novero dei candidati a Matteo Nigetti – architetto allievo di Bernardo Buontalenti, autore di diverse commesse per la famiglia de’ Medici, progettista di altari e cappelle per conventi e chiese fiorentine, attivo dal 1590 al 1647 – ed allo stesso Andrea Balatri, estendendo perciò la qualifica di legnaiolo ad architetto.

Gianni Frilli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 Febbraio 2024

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