
In un articolo precedente ho rammentato le borre rinvenute a Vitigliano (articolo qui) spiegando la loro importanza per capire quali piccoli mammiferi vivano nel nostro Mugello. Sappiamo che esse sono formate dal pelo e dalle ossa degli animali predati dagli uccelli notturni, in particolare dal barbagianni e dalla civetta.
Ma anche gufi, allocchi ed assioli sono uccelli notturni (Strigiformi come gli altri) e producono borre: come mai allora non ne parliamo? Per il semplice motivo che quest’ultimi hanno in genere i loro posatoi nel bosco e lasciano cadere nell’erba e tra i cespugli le borre, che vengono così ben presto distrutte. Invece il barbagianni e la civetta molto spesso vivono in edifici abbandonati o poco frequentati (ad esempio i campanili di chiese dismesse) dove i loro resti si possono conservare a lungo, soprattutto se ben riparati dalle intemperie.
Quando cominciai ad aprire le borre mi accorsi subito che non c’erano solo resti di cadaveri ma contenevano spesso anche larve e qualche adulto di insetti. Non feci esami più approfonditi finché non giunse al Liceo di Borgo San Lorenzo un giovane professore, Giuseppe Meucci, nativo di Palazzuolo, anche lui appassionato della natura.
Discutendo sull’argomento ci venne in mente di provare a fare un allevamento per vedere cosa usciva da queste misteriose pallottole di pelo. Così mettemmo una per una, in contenitori diversi, varie borre che avevamo prelevato da un deposito sopra l’abside della Pieve di San Cassiano in Padule, presso Vicchio.
Raccogliemmo ogni insetto adulto da ogni contenitore, man mano che usciva. L’operazione ebbe tempi lunghi, perché decidemmo di fare due allevamenti in tempi diversi per validare le rilevazioni: uno dall’ottobre del 1986 all’aprile del 1987 e un altro dal giugno del 1986 al marzo 1988. Fu il prof. Meucci a seguire materialmente tutti gli allevamenti mostrando grande attenzione e oculatezza nella gestione di questo esperimento, tutt’altro che facile.
L’impegno profuso fu premiato perché rinvenimmo 557 esemplari di insetti adulti (300 dal primo allevamento e 257 dal secondo). Per la loro esatta classificazione ci rivolgemmo ad esperti entomologi di mezza Italia (Verona, Firenze, Milano e Torino), vista la nostra parziale competenza in materia.
Nell’elenco dei reperti erano comprese due specie di tignole, quella dei tappeti (Trichophaga tapetzella) e quella delle pellicce (Tinea pellionella), una moschina (Scenopinus fenestralis), due specie di coleotteri (Ptinustestaceus, presente anche con una forma partenogenetica indicata come Ptinus latro, e Ptinusfur), e una vespina ( Apantelessp., di una specie non classificata).
A questo punto disponevamo di informazioni utili per rispondere alla domanda: che tipo di relazioni intercorrono tra questi insetti che vivono tutti nello stesso ambiente? Dalle abitudini alimentari di ciascuna specie si poteva ipotizzare una vera e propria “catena alimentare”, alla cui base però non c’erano vegetali, come nelle catene classiche, ma il pelo delle borre, costituito da una proteina, la cheratina. Il pelo è di fatto la base alimentare delle larve di tignola: solo delle larve, perché gli adulti non si nutrono ma devono solo riprodursi. Le larve vivono in una specie di bozzolino grigio scuro, da cui fuoriescono solo le zampe per spostarsi, e che in qualche modo le mimetizza e le protegge. Le due specie di tignole non sono in competizione, data l’abbondanza del cibo, ma la tignola dei tappeti sembra comunque la più adatta a questo ambiente perché più numerosa e, da un controllo fatto su borre provenienti dalla Versilia, questa è stata l’unica specie lì rinvenuta.
Le larve di tignola sono però il cibo delle larve della vespina, la quale pone le uova sulle larve di tignola che vengono mangiate al momento che le uova stesse si schiudono. Lo stesso fa la moschina con le sue larve. Non in tutte le borre era presente la vespina e così si è potuto osservare anche la mortalità naturale delle larve di tignola, che oscilla da un terzo a metà del totale. Dove ci sono le vespine supera, ovviamente, anche i tre quarti. I coleotteri ptinidi, invece, essendo detritivori, si nutrono dei resti del pelo e di altri resti, quali gli involucri delle crisalidi di tignola, abbandonate dopo l’uscita dell’insetto adulto.
Così, una volta di più, si vede bene che in natura nulla va sprecato, nemmeno gli scarti costituiti dalle borre.
Si potrebbe poi riflettere sul fatto che le tignole sono insetti nocivi che ogni anno provocano danni di valore incalcolabile. Individuare dunque i loro predatori naturali può significare la scoperta di un sistema ecologico per decimarli e impedirne l’azione, seguendo il criterio della lotta biologica che ha avuto successo in tanti casi, come nella lotta alle malattie del castagno.
Paolo Bassani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 maggio 2021
1 commento
Bellissimo articolo, grazie