La “rivoluzione” stradale dell’età lorenese in Mugello.
Dalla strada di valico del Giogo alla nuova carrozzabile della Futa
Quando Francesco Stefano di Lorena venne a prendere possesso del granducato di Toscana il passaggio dell’Appennino era assicurato dalla strada Bolognese del Giogo, un’arteria viaria che risaliva al XIV secolo, caratterizzata da ripidi saliscendi che rendevano difficile il transito di carri e carrozze soprattutto nei mesi invernali. Nonostante le difficoltà del percorso il tracciato viario era stato sempre attivo ed aveva garantito tutti gli scambi ed attività commerciali tra Firenze, Bologna e il nord Italia. La strada partiva dalla Porta San Gallo di Firenze e risaliva fino a Pratolino, poi per l’Uccellatoio scendeva a Fontebuona e, costeggiando il letto del torrente Carza, arrivava a San Piero a Sieve dove un ponte in pietra permetteva di superare la Sieve ed infine raggiungere Scarperia di cui costituiva l’asse portante dell’impianto urbano. Da Scarperia iniziava il lungo tratto di montagna fino al valico del Giogo da cui iniziava la discesa fino a Firenzuola.
La strada aveva il piano viabile stretto e dissestato ma il peggio stava nel tracciato. Il Giogo mette in comunicazione il Mugello con la valle del Santerno che conduce a Imola, ma a Bologna porta la valle del Savena e la comunicazione con quella del Santerno avviene attraverso il passo della Radicosa, perciò venendo da Firenze, una volta arrivati a Firenzuola, bisognava risalire fino a 968 m., una contropendenza disastrosa a cui si aggiungeva che il fondo valle del Santerno, presso Firenzuola, era soggetto ad esondazioni del fiume e dei suoi affluenti[1].
Nel lunghissimo tratto di montagna la strada non fu mai una vera rotabile, neppure dopo secoli di attività. Secondo il diario di viaggio dei fiorentini Giuseppe e Giovan Gualberto Scarlatti, che percorsero con un amico la transappenninica del Giogo nel 1726, non poterono usufruire di un calessino per due persone ed uno dei tre, a turno, doveva seguire a cavallo[2].
Il marchese Guadagni veniva incaricato, pochi anni dopo, dell’impresa di rendere carrozzabile la grande arteria di valico; nel 1745 accompagnato da diversi periti effettuava numerosi sopralluoghi per studiare il tracciato migliore secondo cui far passare la strada e, nel 1747, lo stesso conte di Richecourt, in rappresentanza del granduca-imperatore, si recava sul luogo per decidere il tracciato[4].
Scartata una prima idea che spostava il percorso su Prato, si stabilì di condurre la strada come quella esistente, a Le Filigare (punto di confine col bolognese), migliorando il tracciato da Firenze a Novoli (San Piero a Sieve) e costruendo, da Novoli a Pietramala, un tratto nuovo attraverso il passo della Futa (m. 903); anche se la strada arrivava al passo ad una quota più alta del Giogo, riusciva ad evitare la ripida salita da Scarperia al valico e la successiva discesa a Firenzuola (di circa 400 m.) che bisognava poi risalire. Invece da Pietramala alla Futa il tracciato stradale poteva camminare in quota, accostandosi a Monte Beni e Sasso di Castro su un terreno molto più stabile di quello del Giogo e, inoltre, si eliminava l’attraversamento del Santerno.
Sulle direttive del Richecourt e del Guadagni l’ingegnere Anastagio Anastagi compilò il progetto esecutivo per una strada con massicciata di 8 braccia (m. 4,65) più le banchine di 2 braccia ciascuna (m. 1,16).
Il percorso definitivo fu il seguente: Firenze, Porta San Gallo – La Pietra – La Lastra – Trespiano – Pian di San Bartolo – Fontesecca – Pratolino – Fontebuona – Vaglia – Carlone – Tagliaferro – Novoli (San Piero a Sieve) – Trebbio – Cafaggiolo – Bilancino – Villa delle Maschere – Cintoia – Erbaia – Montecarelli – Poggio Bianco – Monte di Fò – Futa – Sasso di Castro – Traversa del Covigliaio – Montebeni – Pietramala – Le Filigare, per una lunghezza totale di 35,77 miglia.
L’Anastagi eseguì sopralluoghi e perizie di tutte le 35 miglia e le suddivise in 13 lotti di lavori[5].
- Dalla Porta San Gallo fino a tutto il prato del Marchese Corsi
- Dalla Villa del Marchese Corsi fino alla Chiesa di Trespiano
- Dalla Chiesa di Trespiano fino all’Osteria di Fontebuona
- Dall’Osteria di Fontebuona fino alla fornace di Novoli
- Dalla fornace di Novoli fino al fiume Sieve compreso il nuovo Ponte
- Dalla Sieve fino alla Villa dei Leoni
- Dalla Villa dei Leoni fino alle case di San Martino
- Dalle case di San Martino fino all’Osteria di Montecarelli
- Dall’Osteria di Montecarelli fino al Monte di Fò
- Dal Monte di Fò sopra detto Monte di Fò
- Da passato Monte di Fò fino all’Osteria della Traversa
- Dall’Osteria della Traversa fino alla Chiesa di Covigliaio
- Dalla Chiesa di Covigliaio fino a Pietramala
Per ciascun lotto venivano specificati tutti i lavori necessari per “ridurre” la strada “che si pratica abitualmente” al tracciato della nuova arteria e si corredavano le relazioni dei disegni esecutivi necessari.
Nei primi quattro lotti, dalla Porta San Gallo di Firenze fino alla fornace di Novoli, posta a circa 2 km da San Piero a Sieve, il tracciato restava lo stesso della vecchia via postale Bolognese; i lavori consistevano soprattutto in allargamenti (Porta San Gallo e Pellegrino), nella costruzione di muri a ponti, nella riparazione di ponti esistenti (Carzola, Carlone). Brevi ma importanti i nuovi tronchi: uno subito dopo il borghetto della Lastra, per ridurre la salita del Rigogli, uno dopo Fontesecca, dove si sarebbe aperta la strada nei prati a est, evitando la parte più ripida della salita dell’Uccellatoio[6].
A Novoli iniziava il “tramutamento” cioè il nuovo tracciato distaccandosi dalla vecchia postale che proseguiva per San Piero a Sieve – Scarperia – Giogo – Firenzuola. Parte del percorso utilizzava il tracciato di vie e viottole che collegavano le numerose ville disseminate nelle campagne, come si verificò per il viale dritto e pianeggiante che passava davanti alla Villa di Cafaggiolo e che, allargato di 4 braccia, portava alla Sieve (Bilancino) dove era prevista la costruzione di un ponte, il manufatto più importante dell’intero tracciato[7].
Dopo Montecarelli i lavori assumevano i caratteri tipici della strada di montagna: muri di sostegno, “scogliere”, per creare un piano artificiale su cui far passare la carreggiata, moltissimi ponticelli e ponti sui vari borri che si incontravano lungo il tracciato[9].
Se il tratto Montecarelli – La Traversa si presentava come quello di maggiore impegno, anche il successivo Traversa – Covigliaio – Pietramala, non era facile nonostante la presenza di un tracciato stradale che poteva essere in parte seguito; venne prevista la costruzione di massicciata, “scogliere” e ponti di una certa ampiezza, sbassamento e allargamento[10].
Finalmente a Pietramala si riprendeva la strada Bolognese “già praticata” fino al confine con lo Stato Pontificio.
Il 29 gennaio 1749 un Bando rendeva pubblica la volontà granducale di “ristabilire” la strada Bolognese, mentre si procedeva ad affidare i lavori tramite appalto pubblico; l’appaltatore fu il capomaestro Giovan Battista Ventani di Laterina che vinse la gara con un’offerta di 84.000 scudi.
Per provvedere alla copertura finanziaria necessaria si ricorse ad una “imposizione straordinaria” che interessava «tutte le comunità sottoposte alla giurisdizione del Magistrato dei Nove, e della città, contado e montagna di Pistoia, come pure sopra quelle delle case di Livorno e dei luoghi di Monte di questa città»[11], considerando l’opera di generale utilità.
Al Ventani vennero concessi tre anni per portare a termine l’opera ed anche se la scadenza venne rispettata[12], i lavori non vennero eseguiti secondo le norme contrattuali come ebbe modo di verificare l’ingegnere Anastagi inviato a controllare l’operato dell’impresario[13].
Così la strada si presentava in precarie condizioni ancora prima di essere aperta e utilizzata; ciò apriva il grave problema della manutenzione che doveva essere a carico delle comunità attraversate, Scarperia e Firenzuola, le quali non risparmiarono proteste e ricorsi sottolineando il carattere di pubblica utilità dell’arteria e chiedendo che gli oneri di manutenzione fossero sostenuti dallo Stato.
In tale situazione di conflittualità si provvide alla sostituzione dell’incaricato della manutenzione impegnandolo anche ad eseguire quella serie di lavori che il Ventani non aveva condotto secondo il progetto Anastagi[14].
Così bisognò arrivare al 1766 perché la carrozzabile potesse dirsi compiuta, almeno nel versante toscano. Nel versante bolognese le cose erano andate a rilento e solo nel 1759 la Toscana era riuscita a far sì che il Senato bolognese approvasse il restauro di 20 tronchi di strada in modo da renderla interamente carrozzabile, anche se non agevole come dalle Filigare a Firenze. Il tecnico incaricato di redigere la perizia e il progetto esecutivo fu l’architetto pubblico Gian Giacomo Dotti che presentò il suo progetto il 7 maggio 1759[15].
Anche dalla parte bolognese si dovettero registrare inadempienze degli appaltatori, rallentamenti nell’esecuzione dei lavori e difficoltà nella copertura finanziaria, ma con il 1762 iniziava il transito di carri a carrozze anche su questa parte del tracciato.
Se l’apertura della carrozzabile incise sostanzialmente sull’organizzazione insediativa della regione appenninica centrale, non minore fu l’impatto del cantiere sull’ambiente; per provvedere il legname necessario per l’armatura di muri e ponti non si esitò ad operare il taglio indiscriminato dei boschi mentre venne concessa la facoltà di cavare pietra da “ogni luogo”, il tutto senza tener conto della proprietà di terreni e beni. Quando l’immenso cantiere cominciò ad occupare le terre coltivate e gli uomini al servizio dell’appaltatore a tagliare piante ed invadere i campi seminati, i proprietari iniziarono a tempestare di lettere di protesta il Provveditore della Parte, invocando l’intervento della guardia contro lo stesso appaltatore.
Anche l’occupazione dei suoli per le varianti creava non pochi problemi: l’impresario rilevava l’appezzamento di terreno necessario per il nuovo tracciato e poi dilagava fuori dei limiti concordati con l’impianto del cantiere, non riconosceva la differenza dal pattuito e procedeva senza alcun riguardo per le colture dei terreni adiacenti il cantiere.
Alcuni di questi cantieri contavano fino a 300 uomini che invadevano i terreni limitrofi con tutte la strutture di servizio come le fornaci, i depositi del pietrame, i recinti per le bestie adibite al trasporto dei materiali ecc…
Effetti dirompenti si ebbero poi sull’organizzazione degli abitati; infatti la variante di Novoli, lasciando fuori dal percorso i centri di San Piero a Sieve, Scarperia e Firenzuola che dovevano alla vecchia strada Bolognese la loro nascita e vitalità, andò a privilegiare Barberino e gli insediamenti vicini, spostando ad ovest traffici e commerci.
Comunque la carrozzabile della Futa, anche se non ebbe quei risultati economici previsti, rimase, fino a quando non si aprì la transappenninica Modenese dell’Abetone, l’unico percorso che collegava il nord e la pianura padana con il centro Italia, passaggio obbligato per il transito di tutti i mezzi rotabili tra Firenze e Bologna.
Strutture di servizio lungo la strada: Poste e Dogane
Perché il transito di uomini e mezzi potesse avvenire con regolarità e sicurezza la strada venne dotata di numerose stazioni di Posta che potevano garantire il cambio dei cavalli e fornire, all’occorrenza, ospitalità ai viaggiatori.
Le stazioni di Posta furono collocate ad una distanza compresa tra le 5 e le 12 miglia ma potevano verificarsi varianti a seconda delle difficoltà del tracciato stradale. Gli edifici che ospitavano le Poste erano di proprietà dei privati, spesso degli stessi postieri, oppure appartenevano alla Camera delle Comunità di Firenze e in un secondo tempo passarono al Dipartimento generale delle Poste; si utilizzavano per lo più stabili già esistenti.
Le stazioni di Posta «erano situate in un punto della strada visibile da lontano e sulla facciata avevano un’insegna in ferro battuto che rappresentava un cavallo al galoppo o una diligenza con la scritta Posta a cavalli. Potevano essere miseri casolari o addirittura dei pagliai, ma anche edifici a uno o due piani con alloggi muniti di finestre o inferriate»[17].
Uniti o comunque vicini agli edifici principali vi erano altri fabbricati di servizio: fienili, camerate per i vetturini, la bottega del fabbro, piazzali selciati con scarichi, fogne e pozzi. Inoltre l’edificio della Posta era caratterizzato da un porticato o una tettoia per far riparare i viaggiatori dagli agenti atmosferici. Le stalle erano spesso piene di correnti d’aria e così rovinate che ci pioveva dentro ed il freddo uccideva i cavalli stremati dalla fatica dei duri percorsi compiuti. I postieri erano obbligati alla manutenzione degli immobili e in caso di mancata realizzazione dei lavori più urgenti la Direzione Generale interveniva intimando l’adeguamento delle strutture se non si voleva incorrere nella chiusura della Posta.
Le più antiche Dogane della strada Bolognese furono quelle di Barberino, Firenzuola e Pietramala mentre quella della Futa venne istituita come “passeggeria” con l’apertura della nuova strada; l’antica Dogana delle Filigare fu ripristinata e destinata a controllare le precedenti sotto il Dipartimento Doganale di Firenze[18].
La tipologia di questi immobili era molto semplice, si sviluppavano per due o tre piani e l’elemento caratterizzante era la loggia o un androne, prospiciente la strada, destinato a riparare dagli agenti atmosferici viaggiatori e merci; spesso vi erano accanto osterie e posti di ristoro e talvolta si cambiavano anche i cavalli.
[1] * Il testo riprende il saggio pubblicato nella Rivista «Storia dell’Urbanistica», Toscana/V, 1997, a cui sono state apportate alcune revisioni e aggiornamenti. Cfr. D. Sterpos, Evoluzione delle comunicazioni transappenniniche attraverso tre passi del Mugello, in Percorsi e valichi dell’Appennino fra storia e leggenda. Futa, Osteria Bruciata, Giogo, Firenze, Giorgi e Gambi, 1985, pp. 7-22
[2] Ivi, p. 15
[3] D. Sterpos, Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Bologna-Firenze, Novara, De Agostini, 1961, pp. 83-84; D. Sterpos, Evoluzione, cit. p. 42
[4] D. Sterpos, Comunicazioni, cit., pp. 127-131; G. C. Romby, Le grandi transappenniniche toscane: le strade carrozzabili bolognese e modenese, in «Storia dell’Urbanistica», Toscana/V, 1997, pp. 91-112
[5] Le Relazioni e le perizie furono presentate il 24 gennaio 1749, Cfr. Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Capitani di Parte numeri neri, f. 1704 e per i disegni Capitani di Parte piante C. 12
[6] Gli interventi di questo primo tratto sono descritti nel Le Relazioni, nn. 1-4
[7] Relazioni, n.5
[8] Relazioni, nn. 6-8
[9] Relazioni, nn. 9-11
[10] Relazioni, nn. 12-13
[11] D. Sterpos, Comunicazioni, cit. p. 136
[12] Dal settembre 1752 cominciò a decorrere la manutenzione.
[13] Cfr. ASFi, Capitani di Parte numeri bianchi, f. 37, Relazione del 18 agosto 1749 «… Nel passeggiare che feci più volte detta nuova strada, osservai sul Montebeni che per lungo tratto non vi è stato fatto l’inghiarato nel modo dimostrato in detto profilo ma gli semplici sbassamenti e taglio per la lunghezza della strada che dove resta di passaggio braccia diciotto e dove braccia venti incirca, onde ritrovandosi in detto luogo la qualità del terreno di sua natura resistente e breccioso, ha creduto per tale motivo il Ventani potersi esimere da farvi l’inghiarato nel mezzo a forma del suddetto per la supposta resistenza del suolo, che quanto a me parrebbe che anco in detto luogo vi si dovesse fare l’inghiarato per maggior cautela e sicurezza della strada, come si protestò di fare nel decorso di tempo che deve mantenerla. Suggerii parimente allo stesso Ventani di dare maggiore scarpa al terreno superiore dove cadono gli tagli ed allargamenti poichè in diversi luoghi essendovene stata lasciata sì poca, mi da motivo di credere che inzuppato che sia detto terreno dall’acque, in specie dove non vi è sasso, possino facilmente cadere della frane nella strada…»
[14] Cfr. ASFi, Capitani di Parte numeri neri, f. 1705, f. 1706. Su sollecitazione di un gruppo di proprietari di Scarperia che proponevano come appaltatore per la manutenzione l’impresario Romolo Noferini, il Ventani venne sostituito con atto del 28 marzo 1764 e il Noferini assunse la manutenzione della Bologna-Firenze nel territorio del Granducato fino al 31 agosto 1772, a decorrere dal 1 settembre 1763.
[15] Cfr. Archivio di Stato di Bologna (ASB), Assunteria di Governo. Strada di Toscana, n. 16
[16] G. Casali, I luoghi di sosta e di controllo: poste e dogane nei sec. XVIII-XIX, in AA. VV., Percorsi e valichi dell’Appennino fra storia e leggenda. Futa, Osteria Bruciata, Giogo, Firenze, Giorgi & Gambi, 1985, pp. 63-76
[17] Ivi, pp. 66-67
[18] La Dogana delle Filigare, con la ristrutturazione ottocentesca, venne ingrandita con gli annessi di servizio nelle due ampie ali laterali.
Scarica cliccando qui il pdf con il saggio La “rivoluzione” stradale dell’età lorenese in Mugello.
1 commento
Pingback: Il portale della musica del Mugello VIDEO - Mozart in Mugello. I brani della Corale Santa Cecilia e della Camerata dei Bardi a Scarperia - Il portale della musica del Mugello