Nel 1766, in seguito a un’inchiesta ordinata in Toscana da Pietro Leopoldo di Lorena, e ai cui sopralluoghi pare partecipasse lo stesso Granduca, ci si rese conto delle misere condizioni di vita dei contadini e dello stato di arretratezza dell’agricoltura. Il Granduca, spinto da idee illuministiche, avviò una riforma del settore partendo proprio dalle abitazioni rurali. Si incaricò l’ingegner Ferdinando Morozzi di presentare dei progetti per delle razionali e confortevoli case per i lavoratori della terra. Queste sono le cosiddette case leopoldine, che avevano delle caratteristiche specifiche per ogni zona abitativa nella quale venivano edificate (montagna, pianura, collina ecc.); qui sono stati applicati i dettami per la case delle zone di montagna. Queste avevano alcune caratteristiche specifiche, adatte alla zona in cui avrebbe dovuto sorgere l’edificio, ed altre comuni alle tipologie delle altre zone. Innanzitutto l’abitazione doveva sorgere al centro del podere, avere dei muri molto spessi, almeno un braccio (circa 60 cm.), in modo da poter trattenere il calore nei mesi freddi, avere delle buone fondamenta e il tetto a padiglione. Davanti veniva lasciata un’ampia aia adibita a quei lavori che dovevano svolgersi all’aperto. Il primo piano, al quale si accedeva da una comoda scala, doveva essere adibito ad abitazione della famiglia; era dotato di una grande cucina con focolare e da un congruo numero di camere da letto, nelle quali dovevano posizionarsi non più di due letti. Era previsto anche un verone o loggiato superiore, per facilitare i lavori donneschi che dovevano svolgersi all’aperto.
Pietro Leopoldo avrebbe voluto anche la vecchia mezzadria in allivellamenti, ossia affitti, perpetui; questa riforma, comunque, non andò avanti, sia perché il canone annuo del tre per cento sul valore del fondo non era sostenibile per molti contadini, sia perché trovò una forte opposizione da parte dei grandi proprietari e anche della Chiesa.
Sergio Moncelli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – agosto 2023
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