MUGELLO – Si è rapidamente spenta, o per meglio dire non s’è mai riaccesa, la controversia intorno al luogo natale di Giotto poiché in realtà mancano – e su questo tutti sono d’accordo – documenti e prove inoppugnabili. Comunque nessuno degli esegeti che si sono appassionati alla questione è riuscito a scalfire la potenza di una leggenda che da tempo circolava a Firenze, amplificata a metà Quattrocento ad opera di Lorenzo Ghiberti che nei suoi Commentarii annotava come Cimabue, di ritorno da Bologna, incontrasse nei pressi di Vespignano un pastorello chiamato Giotto intento a disegnare su una lastra una pecora e come ne fosse tanto ammirato da chiedere al padre di portarlo con sé per istruirlo nella sua bottega.
Non s’è quindi inventato nulla Giorgio Vasari, che ripete la storia in termini pressoché identici nelle pagine delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, edite per la prima volta nel 1550, compreso il finale che tutti conosciamo: un allievo così dotato d’ingegno e di innata inclinazione per l’arte del disegno, sotto la guida di un tale maestro, riuscì in breve tempo a rivoluzionare la pittura dell’epoca abbandonando la “goffa maniera greca” col metodo di “ritrarre bene di naturale le persone vive, il che più di dugento anni non s’era usato”.
L’umile bambino che supera il più grande artista dell’epoca: vera o falsa che fosse, questa narrazione ha suggestionato per secoli letterati e artisti. Fu soprattutto in epoca romantica che il soggetto divenne popolare in tutta Europa e particolarmente in Italia, che pur essendo stata la culla della civiltà occidentale e del cristianesimo, sembrava condannata a rimanere una “mera espressione geografica” o ancor peggio una pur celebre “terra dei morti”. Al pari delle tombe di Santa Croce, esaltate dal Foscolo come glorie d’Italia, i grandi personaggi dell’arte e della letteratura italiana divennero il simbolo del riscatto morale e della volontà di rendere libera e indipendente la nostra nazione. Nessuno come Giotto aveva innovato nel campo della pittura, così come Dante aveva fatto nel campo della letteratura. Entrambi erano a pieno titolo i capostipiti e i patriarchi di un paese che voleva scrollarsi di dosso una servitù secolare. La tendenza a rievocare gli episodi più valorosi della nostra storia si accentuò negli anni che precedettero e seguirono i moti del 1848. Nel febbraio 1845 una mostra organizzata dalla Società promotrice delle Belle Arti di Firenze esponeva un’opera del capostipite del Romanticismo toscano, Giuseppe Bezzuoli, intitolata La partenza di Giotto dalla casa paterna mentre ne prende la protezione Cimabue e una scultura in gesso di Girolamo Torrini raffigurante Giotto fanciullo che disegna la pecora. Di Bezzuoli (artefice della grande tela raffigurante “l’Angelo Consolatore” sull’Altare Maggiore del Santuario del SS. Crocifisso di Borgo San Lorenzo, commissionata dopo il terremoto del 1835) sono noti anche due disegni a matita non ben databili, il primo dei quali è stato battuto più volte all’asta da Christie’s.

Giuseppe-Bezzuoli (1784-1855 ) Cimabue e Giotto Collezione privata
Giuseppe-Bezzuoli (1784-1855 )
Cimabue e Giotto Collezione privata
Giuseppe Bezzuoli (1784-1855)
La partenza di Giotto – Collezione privata

La rappresentazione di Cimabue in piedi che osserva il giovincello inginocchiato a svolgere il suo giocoso compito è stata riprodotta dal 1930 sulle scatole di pastelli e album da disegno della FILA divenendo così una vera e propria icona per un’intera generazione di scolari italiani. La decorazione si ispira chiaramente a un dipinto ad olio su tela realizzato da Gaetano Sabatelli nel 1846 ma non riporta il cavallo da cui è sceso Cimabue e il vago paesaggio del Mugello riconoscibile per la catena dei monti e per la presenza di fortezze, ville e castelli. Il quadro piacque molto al granduca Leopoldo II che l’acquistò per la sua collezione e infatti ora è conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Per i lettori mugellani si ricorda che l’autore pochi anni prima aveva portato a termine con il padre Luigi un episodio del ciclo della passione di Cristo, commissionato dal Santuario del SS. Crocifisso di Borgo San Lorenzo, raffigurante La cattura nell’orto. Alla morte del genitore, nel 1850, Gaetano non seguitò come i fratelli il mestiere di famiglia e abbandonò la pittura.

Sabatelli, Gaetano (1820-1893)
Cimabue e Giotto (1846) – Firenze, Galleria d’Arte Moderna

Un dipinto altrettanto noto è quello di Tommaso De Vivo: all’ombra di una grande quercia il vecchio Bondone con la barba bianca e la cornamusa sembra riflettere pensieroso sulla proposta di un seducente Cimabue incappucciato, che regge con la mano sinistra la cartella di lavoro e il lembo dell’elegante mantello rosso e con l’altra mano tocca la spalla del docile adolescente. Si noti la posa accademica di quest’ultimo, vestito di una improbabile tunica bianca e comodamente seduto sul vello di pecora. De Vivo, nato in provincia di Caserta, studiò all’Accademia di Belle Arti di Napoli e qui insegnò fino al 1861 rimanendo sempre fedele al suo stile accademico con soggetti di tipo religioso o storico.


De Vivo, Tommaso (1790-1884)
Giotto e Cimabue (1843) – Caserta, Museo del Palazzo Reale

Già prima il tema era stato trattato da pittori e scultori francesi, fortemente attratti dall’arte del Trecento italiano.
Nel 1827 il Salon di Parigi ospitava un Cimabue rencontrant Giotto, eseguito dal pittore François Éduard Bertin (1797–1871), ispettore delle Belle Arti di Parigi e anche direttore del “Journal des Débats”. Il dipinto non è oggi purtroppo reperibile o riproducibile.
Si sa che il museo Antoine Vivenel di Compiègne possiede dal 1847 un Cimabue et Giotto, dipinto nel 1841 da un allievo di Corot, Paul Gourlier (1813-1869) ed esposto in quell’anno nel Salon parigino, dove l’artista fu poi ospite stabile fino alla morte.
Altri artisti francesi preferirono concentrarsi solo sulla figura di Giotto. Legende-Heral lo ritrae in piedi mentre con disinvoltura manovra un bastoncino per tracciar segni sul terreno. Ziegler se lo immagina intento nella lettura di un ponderoso trattato, osservato nello studio di un pensieroso Cimabue preoccupato per la fine del suo primato artistico. Lo scultore Marque invece forgia il pastorello in una flessuosa posa di matrice classica.

Ziegler, Jules (1804-1856)
Giotto dans l’atelier de Cimabue (1847 ca.) – Bordeaux, Musée de Beaux-Arts
Marque, Albert (1872-1939?)
Giotto (ultimi anni del sec. XIX) – Bayonne, Musée Bonnat-Helleu

Un curioso Giotto “alla moda spagnola” è quello di Léon Bonnat, vissuto per alcuni anni a Madrid, dove eseguì questo dipinto quando aveva solo 17 anni. Il ragazzo ha in testa un sombrero ed è mollemente seduto su uno sperone roccioso; alle sue spalle si intravede un’ampia vallata verso la quale è rivolta la capra in primo piano. Secondo la critica è il momento migliore della produzione di questo artista, che ha il merito di aver fatto conoscere la pittura spagnola in Francia. Trasferitosi a Parigi nel 1854, soggiornò poi in Italia dal 1858 al 1860 e quando morì gran parte delle sue opere furono donate alla città natale di Bayonne.

Bonnat, Léon-Joseph-Florentin (1833-1922)
Giotto gardant les chèvres (1850) – Bayonne, Musée Bonnat

Henry-Joseph de Forestier tratteggia l’ambiente di Vespignano con caratteristiche più rupestri che bucoliche. Cimabue, attrezzato con bastone da viaggio, porta sottobraccio l’immancabile cartella di bozzetti e Giotto su un lato della roccia ha addirittura scolpito anche il suo profilo con tanto di firma. Più in alto, con un gesto fin troppo plateale, un pastore porge ad altre capre delle foglie d’edera. Non manca il cane a guardia del gregge. Un tono classicheggiante è dato da una colonna marmorea, omessa però in una variante dello stesso dipinto (li proponiamo entrambi).

Di Guillaume Bodinier si conoscono due lavori dedicati al tema. Nel primo Cimabue viene inquadrato tra due grandi alberi con un bastone nella mano destra (la sinistra è solo abbozzata) mentre ammira Giotto seduto su un pietrone a ritrarre una capra ferma davanti a lui.

Bodinier, Guillaume (1795-1872)
Cimabue et Giotto (1840) – Angers, Musée des Beaux-Arts

In un altro acquerello Cimabue, accompagnato da servitori e da un asino carico di panieri, accarezza la testa di Giotto inginocchiato che lo guarda. Sul fondo il riarso paesaggio retrostante è mitigato dalle fronde di un grande albero.

Bodinier, Guillaume (1795-1872)
Cimabue et Giotto (1826) – Angers, Musée des Beaux-Arts

Per i pittori d’Oltralpe l’Italia era un passaggio obbligato nella formazione artistica (si pensi a Ingres, Corot e via dicendo). Anche Bodinier, formatosi nella bottega di Pierre-Narcisse Guérin, venne a Roma nel 1822 quando il suo maestro fu nominato direttore della Villa Medici. Dipinse molto durante le sue escursioni nella campagna romana e napoletana.
Invece per Paul Narcisse Salières il mitico incontro sembra svolgersi in un canalone della catena pirenaica, non lontano dalla nativa Carcassonne. Il pittore fu allievo di Paul Delaroche e di Ingres all’Ecole de Beaux-Arts di Parigi e partecipò alle esposizioni del Salon dal 1848 al 1870 con opere di gusto sia intimistico che storicista.

Narcisse Salières, Paul (1818-1908)
Cimabue incontra Giotto (1876) – Carcassonne, Musée de Beaux-Arts

Come poteva il fantasioso incontro non contagiare l’ambito tedesco? Ne abbiamo l’esempio con Clemens von Zimmermann, nativo di Dusseldorf. Divenuto professore all’Accademia di Monaco di Baviera, venne in Italia per eseguire vedute di Roma e nella campagna laziale, chiaramente evocata in questo dipinto.

Zimmermann, Clemens von (1788-1869)
Cimabue e il giovane Giotto (1841) – Monaco di Baviera, Neue Pinakothek

Com’è noto la pittura inglese dell’epoca vittoriana prestò molta attenzione a temi di ambientazione medievale. Di John William Godward (1861-1922) si conoscono quasi esclusivamente conturbanti figure muliebri in abiti greci o romani ma l’artista non mancò di eseguire un efebico Giotto in dolce posa con il suo gregge, inondato dalla luce rosata di un sereno tramonto. È solo, ma in fondo alla scalinata si sta approssimando Cimabue.

John William Godward (1861-1922)
Giotto drawing from nature – Collezione privata

Non furono solo i pittori romantici o neoclassici ad essere attratti dal fatidico avvenimento. Con forti toni chiaroscurali Théodule-Augustine Ribot (un seguace di Courbet e della corrente realista) caratterizza bene i due personaggi adombrando il presentimento di Cimabue che l’allievo sarà presto in grado di oscurare la fama del maestro.


Théodule-Augustin Ribot (1823-1891),
Cimabue apprenant à Giotto à dessiner – Collezione privata

Grazie a José Maria Obregón l’eco di questo mito giunse anche in America. Tra le opere più note del pittore messicano figura infatti questo dipinto, premiato al Salone dell’Accademia di San Carlo di Città del Messico che aveva frequentato dal 1852 sotto la direzione del suo maestro Pelegrin Clavé.

Torniamo a Firenze, dove il professore dell’Accademia Antonio Ciseri (1821-1891) lavorava in quegli anni nel prestigioso studio di via delle Belle Donne. Questi eseguì per il mosaicista Gaetano Bianchini (di cui sposerà la figlia) un cartone per un grande piano di tavola che fu esposto alla rassegna mondiale di Parigi del 1855 col titolo Incontro di Cimabue con Giotto giovinetto. La tavola realizzata dal laboratorio Bianchini in via del Canto dei Nelli appartiene ancora agli eredi di questa famiglia ma non si conosce dove sia il progetto originale.

José María Obregón (1832-1902)
Giotto y Cimabue (1857) – Città del Messico, Museo Nacional de Arte

Ben noto è invece il disegno eseguito nel 1876 da Giuseppe Moricci che coglie il momento in cui Giotto parte dalla famiglia per seguire Cimabue. L’autore aveva esordito nel 1834 come pittore di genere con Un arrotino ambulante. Fu poi tra i frequentatori del Caffè Michelangelo lavorando come Fattori su tematiche care al patriottismo risorgimentale.

Giuseppe Moricci (1806-1879)
Giotto parte dalla famiglia per recarsi a Firenze accompagnato dal suo maestro Cimabue (1876) – collezione privata

Sconfiniamo infine nel Novecento per trovare un’opera di un pittore che pur essendo vissuto fino al 1931 appartiene per tutta la sua produzione al gusto ottocentesco. Si tratta del fiorentino Raffaele Sorbi, allievo di Ceseri all’Accademia di Belle Arti, che si dedicò sin da giovane a soggetti di gusto romantico o ambientati nel Medioevo. Ebbe un grande successo di pubblico, anche fuori d’Italia, ma fu accusato di essere troppo legato alla logica di mercato. Negli anni successivi si avvicinò ai macchiaioli e ai puristi prediligendo rasserenanti scene all’aria aperta. Qui i protagonisti sono inondati dalla tersa luce del giorno, resa ancor più abbagliante dalla candida veste di Cimabue sceso da cavallo per ammirare il disegno del prodigioso ragazzo.

Sorbi, Raffaele (1844-1931)
Giotto e Cimabue (1919) – Collezione privata

Adriano Gasparrini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 1 febbraio 2018

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