Alberto era nato a Marradi nell’ottobre 1915 e molti lo ricordano ancora in paese perché per tanti anni ha gestito un bel negozio di scarpe. Era di aspetto elegante,rispettoso e gentile, con una vena di malinconia che lo accompagnava sempre,forse derivata dal segreto che portava con sé. Dopo la guerra, per tanti anni, quasi nessuno raccontava l’esperienza vissuta “nei campi”,per una forma di pudore, per la paura di non essere creduti o forse per cercare di esorcizzare quella drammatica esperienza e Alberto non era da meno e teneva ben celato nel cuore il suo segreto, anche con la famiglia condivideva poche notizie.
Poi quasi all’improvviso arrivò una lettera indirizzata al Signor Ciani, da uno storico tedesco che chiedeva di raccontare la sua prigionia a Mauthausen; subito decise di non rispondere, poi su insistenza della moglie Clara preparò una memoria che ancora oggi è un importante tassello per ricostruire quella terribile pagina di storia.
Alberto racconta che tutto iniziò il 22 maggio 1944: era nel suo piccolo negozio quando un gruppo di tedeschi che stavano rastrellando la zona per catturare giovani ragazzi, gli ordinarono di seguirli. Furono caricati su camion diretti a Pisa,senza avere neanche la possibilità di avvertire la famiglia ;da Pisa il viaggio continuò con destinazione “ Campo di Concentramento Fossoli” di Modena, mentre la paura e il senso di impotenza crescevano sempre di più.
Successivamente insieme a 150 deportati di varie nazionalità fu trasportato in un sottocampo denominato “ Impresa Rax” : imprese belliche sotterranee; lì si fabbricavano carri ferroviari e tender da carbone e gli venne affidato l’incarico di saldare e smerigliare. I giorni si susseguivano durissimi; il clima era inclemente e il vitto scarsissimo ( un po’ d’acqua nera, uso caffè al mattino, zuppa di rapa senza pasta con un po’ di pane a mezzogiorno,alla sera una fetta di pane con poco formaggio o salame). Per sopravvivere Alberto ricordava di avere mangiato bucce di patate prese di nascosto tra i rifiuti, fino a ridursi uno scheletro di 33 chili. Le angherie e le umiliazioni erano continue,senza scopo se non quello di annientare nel corpo e nello spirito quel che restava loro di umano. Poi, quando la morte era forse ormai vicina, a Steyr, un altro sottocampo, un mattino, i deportati sopravvissuti non trovarono più le guardie tedesche;era il 5 maggio e le truppe americane liberarono il campo, nei giorni e nei mesi successivi si occuparono di loro, a fine giugno rientrarono in Italia e il 9 luglio Alberto poté finalmente riabbracciare la famiglia che non aveva mai perso la speranza di poterlo rivedere.
Come tutti sopravvissuti Ciani cercò di nascondere il dramma vissuto e, piano piano di riappropriarsi della sua vita,ma forse non ci riuscì fino a quando nel 1989 insieme alla moglie e ad una figlia riuscì a tornare a Mauthausen e, durante la proiezione di un filmato sulla vita nel campo, scoppiò in un pianto, forse liberatorio ,riuscendo a fare un po’ di pace col suo passato vissuto in quei luoghi spaventosi.
La testimonianza di Alberto è significativa e commovente,dovrebbe essere conosciuta da tutti, specialmente i giovani, il ricordo è davvero un obbligo morale,senza i quale non può esserci futuro. La Giornata della Memoria deve essere ogni giorno,specialmente in questo presente così travagliato che, ancora una volta ci dimostra che l’uomo poco ha imparato dalle storie come quella del Signor Ciani.
Fedora Anforti
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 7 febbraio 2024