La scrittura rimane l’unico suo modo per presentarsi al mondo, per far sapere che anche lui esiste ed è parte di esso, che ha vissuto e che forse è stato anche felice. La sua era una vita fatta di piccole cose, di gesti e riti quotidiani, legata a tanti formalismi che l’avrebbero condizionata, ma non meno importante di quella di tanti sapienti. Col suo diario ci tramanda un mondo fatto di fatica, di sacrificio e di poca soddisfazione che lui affrontava quasi con distacco, anche negli eventi più tragici come la morte della madre. Ci narra in maniera cruda e scarna i fatti piccoli e grandi di tutti i giorni: i litigi con i familiari, la mucca che si gonfia perchè mangia l’erba medica fresca o il passaggio del fronte, senza indugiare sui suoi pensieri o sui suoi stati d’animo.
Un libro piccolo che si legge in fretta e tutto d’un fiato ma ci immerge nel mondo contadino che fu, che ci fa camminare accanto ad una persona piccola ma importante agli occhi del Signore in cui lui crede con tanta fede.
Scrisse forsennatamente una cinquantina di quaderni che gli venivano regolarmente gettati via, dal personale del manicomio, con la scusa di riordinare la camera e perché ritenuti insignificanti. Se ne salvarono solo tre. Il primo e il secondo, datati 1981 e 1982, riportano episodi della vita di Primo dalla nascita all’età di 60 anni; il terzo riporta la narrazione fatta dal padre del periodo della prima guerra mondiale alla quale aveva partecipato come combattente; racconta di come il suo babbo partecipò alla presa di Gorizia, alla battaglia del Montegrappa e alla disfatta di Caporetto. Riporta i racconti, mescolando a volte la realtà con la fantasia, sulle battaglie del fronte presentando il padre quasi come un eroe che affronta con coraggio quasi incosciente il conflitto; ci narra anche molti particolari della vita di ogni giorno, nelle zone di combattimento, che danno sapore alla narrazione. In ultimo fa un cenno anche all’influenza spagnola della quale si ammalò anche la mamma, e che, secondo lui, era dovuta all’aria che si era infettata per tutti quei gas e quelle bombe che buttarono durante la guerra. Una prima stesura degli scritti di primo fu pubblicata su “ L “, una rivista quadrimestrale edita dalla cooperativa “ Il posto delle fragole “ che a Trieste gestiva alcuni spazi lasciati liberi dopo la dismissione del manicomio cittadino.
Un capitolo dedicato a Primo Vanni, è scritto anche sul libro “L’aria ride“, di Paolo Cambi e Elisabetta Mari, dedicato all’incontro fra Sibilla Aleramo e Dino Campana al Barco e alla loro permanenza a Casetta di Tiara. Da questo libro fu tratto anche uno spettacolo teatrale nel quale vennero accostate le personalità di Dino e Raccino. Due personaggi provenienti da due mondi differenti, uno colto e letterato che troverà posto tra maggiori poeti del Novecento, l’altro contadino quasi analfabeta, ma accomunati entrambi da una grande voglia di scrittura, dal periodo felice passato a Casetta e dalla fine in ospedale psichiatrico.
Infine trascrivo un componimento di Primo Vanni riportato al termine dei quaderni che narrano la sua vita, e scritto nel 1964 mentre si trovava a Casetta a spaccare la legna:
Io sto pensando dalla sera alla mattina
che in Italia c’è un progresso che porta alla rovina
Di molti abbandonano i poderi
con l’idea di far i signori
eppoi vanno giù in città
Ma la roba rincarisce e la và più in su
e la gente si lamenta che non c’arriva più
Ma invece chi resterà in campagna
alla fine si vedrà chi più guadagna
Chi terrà pecore, vacche, maiali, polli e pollastre
e che va a fare il signore in città mangerà le lastre.
Sergio Moncelli
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 maggio 2020