BARBERINO DI MUGELLO – Non sono mai mancati i cantori che dalle cronache sportive hanno esaltato la figura di Gigi Riva nello stesso modo in cui in un poema epico si narrano le gesta leggendarie di un eroe. La chiave di lettura dello spettacolo, presentato al Corsini, “Riva Luigi ‘69-‘70” è completamente diversa. Senza dimenticare il campione sportivo, emerge in modo prepotente dalla narrazione l’uomo-Gigi Riva.

Usciamo così dalla rappresentazione con la convinzione che il bomber, senza quello spessore umano, si troverebbe ridotto, nel ricordo collettivo, a un’arida macchina da goal, senza finire nel mito. Un’infanzia difficile, un carattere indipendente e ribelle, l’orgoglio di far parte di un contesto sociale che lo ha accolto e in cui si trova completamente a proprio agio, la fedeltà a ogni costo a quella gente, a quella terra, la rinuncia a occasioni “imperdibili“, perché nella sua scala di valori la corsa al denaro passa in secondo piano di fronte alla riconoscenza e all’ammirazione di quella popolazione. Tutto questo ti rimane impresso nella mente alla fine dello spettacolo. E solo dopo pensi che, sì, c’erano anche i suoi goal. Per quanto riguarda testo e realizzazione, abbiamo assistito a uno spettacolo che mi ha ricordato il miglior Paolini, nell’abilità dell’autore-attore Alessandro Lay, di creare atmosfere e descrivere stati d’animo. Mi ha colpito in modo particolare la sua gestualità, i movimenti delle mani che sembravano muoversi talvolta quasi come un direttore d’orchestra che dirigeva una musica che non potevamo udire e in altri momenti come delicate pennellate d’artista su una tela immaginaria. La citazione, penso autobiografica, di quell’ “amico” del narratore non ha stonato affatto; al contrario, ha contribuito ulteriormente a umanizzare il mito.
Insomma, secondo i miei gusti, un secondo spettacolo della stagione da 10 e lode. Peccato che troppo pochi ne abbiano goduto.

Danilo Nucci
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 novembre 2019

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