
PALAZZUOLO SUL SENIO – Recentemente, il comune di Cervia, è riuscito a porre una targa davanti alla villetta che fu la resistenza estiva di Grazia Deledda per quasi dieci anni fino alla morte nel 1936. Oggi la struttura appartiene a privati che la utilizzano come appartamenti da affittare durante la buona stagione, ma il comune è riuscito a intavolare un accordo con la proprietà per poterne usufruire, a fini culturali, durante il resto dell’ anno.
In principio la villetta fu chiamata “Nuvoletta” poi, quando il viale sul quale si affaccia prese il nome di Cristoforo Colombo anche la residenza si adeguò alla toponomastica venendo ribattezzata “La caravella” e questo fu il nome con cui “la casa color biscotto” viene conosciuta fino ad ora.
Anche in quel luogo, lungo il litorale adriatico, vi è passato un pò di Mugello tramite la presenza della mia prozia Rosina Gentilini che, per diverso tempo, fu la domestica della Deledda durante i suoi soggiorni cervesi. Rosina, nata a Palazzuolo nella parrocchia di mantigno nel 1911, appena compiuti i vent’ anni decise di andare a servizio da qualche famiglia benestante come già avevano fatto le sue sorelle e venne a sapere che una sua amica lasciava un buon posto presso una famiglia che dimorava durante la bella stagione a Cervia. Senza indugio chiese informazioni all’ amica e decise di proporsi come domestica alla scrittrice, già premio Nobel per la letteratura dal 1926. Una volta accettata la sua candidatura l’ amica che lasciava il lavoro l’ avvertì che la padrona che l’ aveva assunta era piuttosto particolare e di non facile comprensione per chi, come loro, proveniva dalla semplice vita contadina.
Rosina, ben presto, si rese conto che la sua amica aveva ragione e che la Deledda era ben poco incline ad essere una signora espansiva ed affettuosa, non solo nei suoi confronti, ma anche nei confronti dei suoi familiari. Gli avevano raccomandato di non disturbare mai la scrittrice quando, sul terrazzino della villetta, passava ore a contemplare la marina e, per lei dinamica montanara, appariva una gran perdita di tempo tutto questo apparente ozio che, però, era fondamentale per dare al premio Nobel l’ispirazione per i suoi componimenti. Rosina rimase colpita dalle piccole mani della sua nuova padrona e non si capacitava di come, una che in fondo lavorava con le mani, non le avesse grandi e callose come quelle dei contadini del suo paese. Infine il risvolto bizzarro apparve evidente quando, per una festa di Natale trascorsa a Cervia, la sua padrona le chiese di cucinare il cappone per la vigilia e il capitone per il giorno di Natale: una vera e propria stravaganza!
Però il clima in casa non era dei più sereni. Il figlio maggiore della scrittrice, Sardus, si diceva fosse affetto da qualche strana malattia, forse la tubercolosi, e questo impressionava molto Rosina. Il più empatico della casa si rivelò essere il marito Palmiro Madesani che prese in simpatia la giovane domestica e fu sempre molto comprensivo nei suoi confronti. La malattia di Sardus e la lontananza da casa cominciarono a pesare su Rosina che decise di tornare a Palazzuolo intorno alla metà degli anni ’30. Dopo essersi sposata si trasferì nella vicina Casola Valsenio dove morì, nonagenaria, ai principi del 2000 sempre ricordando, con molto orgoglio, di aver servito le bizzarrie dell’ unica donna premio Nobel italiana.
Gianfranco Poli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – ottobre 2023