La sua presenza a San Godenzo è nota. Partecipa all’incontro tra guelfi bianchi e ghibellini, nel 1302. Il mese è giugno, la sede l’abbazia. Obiettivo: muovere guerra contro Firenze, trasformare gli esuli in esercito, ricercare alleanze. Dante viene prescelto quale ambasciatore della ‘Parte bianca’: ha prestigio, è un uomo raffinato, colto, è anche un soldato.
Il Falterona gli è ben noto. Ne ha scalato le pendici? Probabile. Ne La Commedia vi è un riferimento preciso, e non è l’unico nei suoi scritti. Vicino al monte scorreva la strada per il Casentino, la terra dei Guidi, e a Romena il poeta venne ospitato.
Quanto al salto dell’Acquacheta, beh, basta leggere l’Inferno dantesco, il canto XVI. Nella rappresentazione del Flegetonte il poeta si avvale proprio della cascata appenninica. Una bellezza spaventevole.
Il nodo da sciogliere riguarda Montaccianico e Pulicciano, entrambi luogo di feroci battaglie. La mia opinione: fu sicuramente nel castello degli Ubaldini, chissà se partecipò allo scontro di Pulicciano.
Gli Ubaldini sono alleati dei bianchi, il loro odio verso la città è antico e radicato. Dante è in fuga, esule, sta preparando la missione presso la corte di Scarpetta degli Ordelaffi, a Forlì. C’è bisogno di un alleato forte. Montaccianico è una dimora sicura, protetta, vigila le vie del Giogo e dell’Osteria Bruciata, indispensabili per risalire verso il settentrione, verso la Romagna. Il castello è il posto ideale per rifocillarsi e ripartire.
A Pulicciano la disfatta delle speranze. Notte fonda. Ghibellini e Guelfi bianchi vengono messi in fuga dalle forze fiorentine guidate da Fulcieri da Calboli, il podestà. Dante scriverà di lui, parole di fuoco. Il ritratto di una belva assetata di sangue. Quel che è certo è che dopo la sconfitta la prospettiva di Dante cambia. Intuisce che battere Firenze è pressoché impossibile. Smarrisce la fiducia. L’esilio si allunga. Avrà fine? Ne dubita. Forse assiste alla battaglia dalle mura di Montaccianico, o forse c’era davvero. Come a Campaldino, come a Caprona, nel pisano. Del resto era un soldato, non ancora il Poeta. Non lo sappiamo. Possiamo solo costruire congetture confidando nelle tracce che la storia ci ha consegnato.
Un fatto è indiscutibile: il Mugello conobbe il diplomatico e l’uomo d’armi, l’esiliato in cerca di pane. Non il poeta. Ma il poeta trasse anche da qui materia per la sua opera maggiore. È così. Ne La Commedia i monti, i cieli stellati, le acque, forse addirittura le scene più crude di corpi che si azzuffano, lottano, si mescolano al fuoco e al sangue – le battaglie, appunto – prendono vita quassù. Sono reali. Mugello!
Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 ottobre 2018
1 commento
Dal 1° Canto della Comedia:
“Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
. . . . . . . . . .
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle
. . . . . . . . . . .
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso”
Provate a risalire dalla valle dell’Acquacheta, dalla Casa Castelli verso la strada della Colla della Maestà (dove c’è la sbarra della forestale), la mattina presto e poi ditemi se questi versi Vi ritorneranno in mente.
Anzi, direi che Vi appariranno in tutta la loro straripante verità, anche se sono trascorsi 700 anni.