Crespino_4La piccola chiesa abbaziale di Santa Maria Nascente si offre allo sguardo del visitatore sul lato destro di una piazzetta, appena defilata dalla strada statale per Firenze, una decina di chilometri dopo Marradi, tra modeste case del secolo XIX.

Sopra la porta laterale della canonica è murato lo stemma di Vallombrosa: la mano che fuoriesce dalla manica del saio e poggia su di una stampella a forma di tau. L’insegna di pietra serena appare all’interno di una elegante cornice scolpita di fattura seicentesca, simbolo di un’ospitalità perdurante nei secoli fin dal primo decennio dopo l’Anno Mille.

La facciata, semplice, a capanna, è stata più volte restaurata; né il finestrone, né il portale riflettono le forme originali eil campanile merlato risale a tempi molto vicini a noi. Egualmente recente è la ceramica raffigurante la “Madonna della Seggiola” collocata sopra il portale, forse a ricordo di una preesistente lunetta dipinta, elemento decorativo presente in molte chiese vallombrosane delle origini.

L’interno, semplice e raccolto, nonostante i rifacimenti conserva invece l’austero carattere primitivo. Ricordiamo che il fondatore dell’Ordine, San Giovanni Gualberto, impose d’autorità ai suoi monasteri modelli architettonici di chiese povere e spoglie, in polemica con le tendenze mondane del suo tempo, senza lusso nella decorazione né immagini appariscenti. Niente che potesse ricordare un palazzo. La chiesa doveva essere luogo di raccoglimento e di preghiera per i suoi monaci e per i laici che cercavano Dio nella violenza di quei tempi segnati dalla miseria della povera gente, sfruttata e angariata dai potenti. Una sola navata, transetto con bracci corti, abside e coro poco sporgenti, copertura a capriate lignee, e pavimento a lastre di pietra: quanto basta per isolarsi dal frastuono del mondo, nel silenzio dello spirito.

Solo qualche brandello di muro rimane del piccolo monastero adiacente. Fondato secondo la leggenda dallostesso San Giovanni Gualberto (come altri nella stessa area,sui quali si elevò per importanza quello dedicato a Santa Reparata in Marradi), da alcune fonti parrebbe invece risalire al più remoto anno 1024. Nell’impervia vallata appenninica del Lamone, i monaci vallombrosani di Crespino impiantarono la loro piccola oasi di spiritualità e di accoglienza. Essa sorgeva in posizione strategica lungo il percorso dell’antica Via Faentina, di fondazione romana, e offriva il suo sostegno ai pellegrini, ai viandanti, ai poveri, e cure mediche ai malati costretti a sostare.  La loro cultura di agronomi fu applicata nell’impianto di vasti castagneti, ancora oggi presenti nella zona, fonte di sostentamento alimentare nelle rigide stagioni invernali. Il monastero divenne così una comunità ben strutturata e prospera, attirando però la cupidigia dei violenti signorotti feudali che spadroneggiavano in quelle vallate. Nella sua storia conobbe momenti bui e momenti di gloria. Spicca fra tutti l’avvenimento del 1250: a Faenza, nella chiesa di Sant’Apollinare in Arco, sede cittadina dei monaci di Crespino, l’Abate scese per la solenne vestizione di Santa Umiltà, fondatrice dell’Ordine Vallombrosano femminile.

Di un momento glorioso sono pure testimonianza i due eleganti altari laterali del transetto, molto simili fra loro, entrambi di pietra serena e pietra forte (alberese), materiali del territorio. L’altare di sinistra porta incisa sul pilastro destro la data MDIIIIC (1596). Dai documenti si può desumere che i due altari fossero costruiti al tempo dell’abbaziato di Marco Lavacchi da Pelago, vallombrosano di grande ingegno e di grande energia, insediato a Crespino nel 1592.

Sopra l’altare di sinistra è collocato il quadro raffigurante Cristo risorto tra i Santi Giovanni Gualberto e Antonio Abate, opera interessante di ispirazione fortemente controriformistica, eseguita da un ignoto pittore toscano, forse un monaco, sul finire del secolo XVI.

Sopra l’altare di destra è collocato il più prezioso gioiello d’arte della chiesa crespinese: la tavola frammentaria della Vergine in trono col Bambino e Angeli, datata 1342, opera del pittore Jacopo del Casentino, allievo, forse diretto, del grande Giotto.

Livietta Galeotti Pedulli

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