
VICCHIO – Il territorio di Rostolena occupa una propaggine collinare ad est di Vicchio, disegnata ed incisa ad arte dallo scorrere perenne dei torrenti dell’Arsella e del Botena. La zona vanta una posizione geografica altamente privilegiata che regala panorami di sorprendente bellezza naturale, punteggiata da ville signorili, fattorie e splendide case poderali poste ai margini di appezzamenti coltivati, memoria dell’intensa attività agreste perseguita nel tempo.
Nonostante la radice del toponimo richiami inequivocabilmente al periodo etrusco, la storia di Rostolena appare ben documentata solo dall’epoca medievale, quando il territorio era ormai consorteria dei Conti Guidi, concesso loro insieme al castello ed al resto dei beni, da Arrigo VI e Federico II con diplomi imperiali del 1191 e 1220 e mantenuto, dopo alterne vicende con la Repubblica fiorentina, almeno fino alla metà del XIV secolo.
Dalle carte degli Statuti relative all’antica organizzazione locale, apprendiamo che attorno il 1400 le località di Rostolena e Vicchio erano unite in un unico Comune, una condizione amministrativa autonoma che il popolo di Rostolena sembra aver mantenuto anche nella successiva scissione e dopo la costruzione del castello di Vicchio.
Le notizie più antiche della chiesa di Santa Maria a Rostolena sembrano risalire al 1135 e ad un atto notarile con il quale si cedevano alla Mensa vescovile diritti e proprietà fino ad allora appartenuti alla chiesa stessa.
La chiesa è nuovamente citata nel Bullettone del 1145 come suffraganea della pieve di Santo Stefano in Botena. Nel 1252 dipende ancora dal Vescovo di Firenze al quale deve un censo annuo pari a due staia di spelta, una sorta di grano tenero o farro. Per qualche tempo le sarà unita la chiesa di San Niccolò alla Torricella.
Pochissimo conosciamo della sua storia nel periodo compreso tra il XIV e XVI secolo, anche se alla fine del Cinquecento l’edificio di culto è rappresentato graficamente nelle Piante dei Capitani di Parte Guelfa, munito di un portico lungo il fianco sinistro e con la torre campanaria sistemata al centro della parete tergale.
Alla seconda metà dello stesso secolo dovrebbe appartenere anche la tavola rappresentante la Madonna col Bambino e San Giovannino al tempo presente sull’altare di destra. L’opera, attualmente traslata nella pieve di San Giovanni Battista a Vicchio, per la sua composizione ed i caratteri delicati delle figure, è ritenuta dagli storici del nostro tempo, prossima allo stile di Francesco Brina o ad un allievo della sua bottega.
Nel 1572 intanto, vi si era costituita la Compagnia della Natività di Maria, sodalizio destinato a concludere il proprio ruolo assistenziale nel 1783, in seguito alle soppressioni granducali volute da Pietro Leopoldo. Alla seconda metà del Seicento dovrebbe risalire la costruzione (in luogo del preesistente loggiato attiguo alla chiesa) della grande cappella della Compagnia, ancora presente nelle prime decadi del Novecento. Vi si conservava una reliquia di Santa Severa, per lungo tempo assai venerata e particolarmente cara alla devozione popolare.
Nel 1640 era parroco in Rostolena Pier Francesco Nannini, cui seguirono come priori fra Seicento e Settecento, vari membri della famiglia Fabbrini e fra questi Don Michele e Don Simone che nel 1707 dotarono la Compagnia di un nuovo altare di pietra destinato ad accogliere il più antico quadro della Natività di Maria.
Alla metà del Settecento risale forse una prima descrizione dell’edificio antico, orientato secondo l’asse nord-sud, munito di un porticato davanti all’ingresso. Notevole il palinsesto di opere pittoriche conservato al suo interno. Sopra l’Altar Maggiore doveva collocarsi un’Assunzione della Vergine di pregevole fattura, con altri dipinti agli altari laterali fra i quali il Mistero dell’Incarnazione e una Pietà dipinta sullo sportello del ciborio, tutti dipinti dei quali non resta oggi alcuna traccia. Nella stessa descrizione non compare alcuna citazione della Madonna col Bambino attribuita a Francesco Brina, anche se è lecito supporre che l’opera dovesse ancora trovarsi in chiesa.
Per la sua vetustà, all’epoca apparivano ormai evidenti le precarie condizioni di degrado strutturale dell’edificio, ricostruito quasi interamente nel 1770 e munito di una robusta torre campanaria a pianta quadrata, coperta a padiglione e con ampie monofore laterali.
Nel 1845, al tempo di Don Pasquale Cianti, il patronato della chiesa apparteneva al popolo e a S.A.R. il Granduca di Toscana, seguendo un periodo di serena e tranquilla attività pastorale, destinato ad interrompersi con il drammatico terremoto del 29 giugno 1919.
La violenza del sisma determinò il crollo di molte case coloniche della zona. Della chiesa rimasero in piedi solo il campanile e poche parti delle mura perimetrali. Già nel febbraio del 1920 il Genio Civile aveva provveduto ad erigere accanto alle rovine una struttura metallica entro la quale il popolo poteva riunirsi a pregare. I documenti dell’epoca indicano che la chiesa fu ricostruita nel 1923 ma visse la gioia di una ricognizione pastorale solo quattro anni più tardi, benedetta il 6 novembre del 1927 da S.E. il Cardinale Alfonso Maria Mistrangelo in visita alle chiese ricostruite dopo il terremoto nel territorio di Vicchio.
Il nuovo edificio di culto si presentava nelle forme che ancora oggi lo caratterizzano. Pochissimo si era potuto utilizzare delle precedenti strutture e ogni parte fu praticamente ricostruita. Il campanile mantenne la sua collocazione originale ma fu necessario modificare la parte in elevato, sostituendo la copertura a padiglione con l’apice cuspidato che ora vediamo, munendo la cella di bifore a sesto acuto secondo lo stile neo medievale adottato per l’intera ricostruzione.
Come allora dunque, la facciata si presenta a capanna, realizzata in blocchi di arenaria ben squadrati e allineati.
Nella parte superiore è un’apertura a Croce greca ottenuta con la scomposizione del paramento e più in basso, al centro della facciata, l’oculo circolare con vetrata policroma recante la scena dell’Annunciazione.
Il portale architravato è chiuso da una porta di legno a due ante mirabilmente scolpite da Giovanni Banchi, abilissimo falegname di Vicchio, nell’ultimo quarto del XIX secolo. L’artigiano vi eseguì motivi a rilievo con fiori, grappoli d’uva e oggetti liturgici.
Sopra la porta è apposta una lunetta cuspidata con l’immagine in terracotta policroma della Visitazione di Maria a Sant’Elisabetta, donata dalla famiglia Zaccagnini in ricordo della piccola Anna Maria scomparsa a causa del terremoto.
La parete laterale sinistra della chiesa mostra invece un paramento diverso, ottenuto con l’assemblaggio di pillore e conci sbozzati.
Nella parte prospiciente il presbiterio è un altro portale di accesso preceduto da quattro gradini di pietra e sormontato da una lunetta in terracotta policroma recante la figura di un Angelo che sostiene il simbolo Eucaristico, opera eseguita dallo scultore Edoardo Minazzoli nel 1926. La porta ha due ante lignee, come quelle della facciata scolpite da Giovanni Banchi che qui ha proposto il concetto del trapasso terreno con le figure dell’Angelo annunciante il Giudizio, il teschio e la fenice, forse a sottolineare lo scopo di quel passaggio laterale, un tempo regolarmente attraversato per accompagnare i defunti in chiesa alle funzioni di commiato. Entrambe le porte sono state oggetto di un accurato restauro eseguito da Giuseppe Cipriani, nipote del falegname scultore Banchi.
L’interno è a navata unica, con copertura a capriate lignee, illuminato dalle monofore a sesto acuto aperte sulle pareti laterali. Nell’aula si collocano due altari laterali di pietra, entrambi poggianti su esili colonnette.
Quello di destra, con lesene scanalate e cherubino alato sulla trave databile alla seconda metà del XVII secolo, ospita una copia della precitata Madonna col Bambino e San Giovannino, mentre a sinistra è invece la tavola centinata della Natività di Maria, di ambito toscano della prima metà del XVII secolo, proveniente dalla scomparsa cappella della Compagnia.
Il presbiterio è rialzato di due gradini e delimitato da un’imponente arcata a sesto acuto, con l’Altar Maggiore ancora orientato Versus Deum, secondo l’uso precedente l’adeguamento suggerito dalle norme post conciliari; si conclude in una piccola scarsella rettangolare illuminata da una stretta monofora con vetrata policroma raffigurante l’Assunzione di Maria eseguita nel 1949 da Ascanio Pasquini per la Manifattura Felice Quentin di Firenze.
Come in molte zone della nostra campagna, verso la metà del Novecento si manifestò anche a Rostolena il massiccio esodo verso il miraggio cittadino, tanto da rendere vano il ruolo spirituale della parrocchia, soppressa ed unita alla pieve di San Giovanni Battista a Vicchio nel 1986.
Fortunatamente l’impegno e le amorevoli cure di operosi volontari, hanno permesso la programmazione di periodici interventi conservativi e di restauro, garanti l’integrità futura di chiesa e canonica. Oggi l’intero complesso è adibito a struttura per l’accoglienza di campi scuola e ritiri religiosi; un luogo ancora in grado di offrire stimoli e giuste condizioni per il raccoglimento e la riflessione, con l’opportunità di vivere uno degli angoli più suggestivi ed integri del Mugello.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 28 novembre 2024