Santa Maria all’Eremo

SAN GODENZO – I primi raggi del sole mattutino accarezzano la vetta del Monte Sinaia a 1019 metri di quota. Sottili nubi porporine pian piano schiariscono e si accendono le chiome dei faggi, il tenue paglierino dei prati. Panorami infiniti in un silenzio assoluto, rotto ogni tanto dal sibilo passeggero di un ultimo storno ritardatario. Siamo a nord di San Godenzo, lungo il sentiero forestale che porta alla Fiera dei Poggi, all’Eremo, all’Acquacheta. Un luogo dove la natura si propone con forme di straordinaria bellezza e regala quiete, serenità, armonia; un luogo adatto al raccoglimento, alla riflessione e alla preghiera.

La chiesa di Santa Maria all’Eremo e il paesaggio appenninico

Già nel VI secolo tali caratteristiche indicavano questa zona appenninica come ideale alla permanenza di realtà eremitiche. La chiesa di Santa Maria all’Eremo si materializza d’incanto al centro di un’ampia zona prativa prima che il sentiero di crinale (CAI 409-411) inizi la sua discesa verso la valle del Montone.

Elencata fra le chiese della Diocesi fiesolana già nel 1021, la chiesa avrebbe preso il nome da quella dell’Eremo, collocata molto più in basso in prossimità della cascata dell’Acquacheta. Il 25 febbraio del 1028, Jacopo il Bavaro vescovo di Fiesole, l’assegnava con tutti i suoi beni, al monastero benedettino di San Godenzo da lui stesso istituito. Nel 1051 il vescovo Atinulfo riconfermava la chiesa ed il piccolo priorato che vi si era costituito, allo stesso monastero di San Godenzo. Documenti analoghi di riconferma sarebbero stati emessi da Trasmondo nel 1070, da papa Onorio III nel 1216 e da Tedice di Aliotto Visdomini vescovo di Fiesole nel 1324. Nel dicembre 1472, il priore dell’Eremo annunciava un’indulgenza particolare per tutti coloro che avessero contribuito al restauro della chiesa. Al tempo, il priorato dell’Eremo pagava all’abbazia di San Godenzo un censo annuo di 6 quintali di grano, 6 libbre di cera e due forme di cacio. Appena dieci anni più tardi, nel 1482, papa Sisto IV concedeva l’abbazia di San Godenzo ai Servi di Maria del Convento della SS. Annunziata di Firenze.

ASF- I poderi di S.Maria in una carta del Convento della SS.Annunziata – Sec. XVI

La partenza dei benedettini da San Godenzo, determinava di fatto anche l’epilogo del priorato dell’Eremo, con i monaci benedettini sostituiti dai frati dell’Annunziata, questo almeno fino alla soppressione di quella comunità religiosa voluta da papa Innocenzo X nel 1652. Poco successivo a questa data è un importante restauro della chiesa compiuto da padre Gregorio Serra, curato di Santa Maria nel 1656. Accanto al lungo elenco di nuovi arredi provvisti per il culto, si registrano lavori di intonaco e imbiancatura interna ed esterna della chiesa, la ricostruzione del tetto, la sistemazione delle pietre del pavimento e della lapide alla sepoltura nell’aula e soprattutto si è “turato il cimitero con muraglie e fatto il cancello di ferro con croce”.

Santa Maria all’Eremo – Il cimitero

Anche se affidata ora ai secolari del clero, la chiesa appare ancora unita al convento della SS. Annunziata, e vi rimarrà fino al 5 aprile del 1784 quando un decreto di Mons. Ranieri Mancini la separava definitivamente dal cenobio cittadino dichiarandola inamovibile. Cadeva così anche la dote e il beneficio per il mantenimento della chiesa e degli arredi sacri fino allora sostenuta dai Padri Serviti del convento dell’Annunziata, definitivamente scomparso con la soppressione degli ordini religiosi, imposta dal Governo Francese nel 1810.

Tuttavia, una Visita Pastorale del 1823 descrive la chiesa in perfetta efficienza, operante su un circondario di 30 miglia, per l’assistenza spirituale di 247 anime e 37 famiglie di pastori, carbonai, boscaioli, meglio definiti come il Popolo dell’Eremo. Sarebbe trascorso un altro secolo e mezzo circa, prima che il boom economico dei metà Novecento rendesse vuota la montagna ed ogni altra zona rurale del Mugello. Private del loro ruolo pastorale, scomparvero molte piccole parrocchie di campagna ed anche quella di Santa Maria fu soppressa negli anni attorno il 1980.

Semi abbandonata per qualche tempo ma viva nel cuore dei suoi popolani emigranti, la chiesa fu egregiamente restaurata e di nuovo inaugurata nell’estate del 2007. Oggi l’intero complesso occupa uno scenario naturale unico, tipico dei borghi appenninici, con costruzioni di pietra realizzate unicamente con bozze a vista di taglio medio finemente squadrate. Le coperture mostrano ancora qualche elemento di ardesia, mero ricordo del vecchio sistema a lastre che in passato caratterizzava i tetti in Appennino.

L’ingresso della chiesa si apre al centro della struttura principale, preceduto da un piccolo loggiato con due archi a tutto sesto e pavimentato con grandi lastre di arenaria, probabilmente molto simili a quelle che un tempo costituivano il pavimento dell’aula. Dal campaniletto a vela, posto sulla destra della facciata, pendono due antiche campane. La prima reca la data 1017 e proviene dalla chiesa dei Romiti mentre l’altra è del 1294, opera di tal Simon Dainensis.

Santa Maria all’Eremo – Interno

L’interno è ad unica navata, coperto a capriate lignee, con pavimento di mattoni leggermente inclinato, tipico delle chiese medievali, simbolo di ascesa verso l’Altare, luogo del Sacrificio e centro dell’assemblea. Pochi gli arredi, riconducibili ad un confessionale di legno ed una semplice Via Crucis. Nella parete dietro l’Altar Maggiore una teca di legno accoglie una statua della Madonna del Rosario apposta nel 2007.

Madonna del Rosario – Sec. XXI

In passato era presente in chiesa un dipinto murale o un’opera a fresco della Vergine, ancora visibile alla fine dell’Ottocento, testimonianza di un’antica devozione verso la Madonna del Latte e di episodi prodigiosi occorsi a giovani madri prive del latte materno, che riacquistavano facoltà di allattamento con l’invocazione alla Vergine.

Assorbite le ultime lusinghe storiche e paesaggistiche di Santa Maria, sale impellente il desiderio di una visita alla cascata dell’Acquacheta. La discesa, lunga ma gradevole in ogni periodo dell’anno, concede una completa riconciliazione con l’ambiente, con la natura vera, percorrendo un agevole sentiero che si interrompe sullo spazio erboso prima del grande salto d’acqua.

I Romiti – Stalla e seccatoio per le castagne
Il borgo abbandonato dei Romiti

Il borgo abbandonato dei Romiti si trova al lato dell’area prativa, posto su di una piccola altura che sovrasta la cascata. Fra le case di pietra semi crollate, si respira ancora il fascino delle vecchie borgate appenniniche, con gli ambienti usati dai carbonai e legnaioli, i seccatoi per le castagne, le stalle; testimonianze di vita parca e difficile, regolata da una natura spesso avara di risorse.

I ruderi della chiesa dei Romiti

I resti di un’arcata a tutto sesto di bozze squadrate e i fabbricati adiacenti ormai crollati, richiamano alla presenza dell’antica chiesa dei Romiti e agli ambienti di ricovero dei primi eremiti che realizzarono questo singolare luogo di culto in epoca lontanissima.

Cascata dell’Acquacheta

Poco più in basso, con un “cantico” ovattato, quasi discreto, il torrente scende nel suo alveo naturale e da vita alla cascata dell’Acquacheta. Una caduta d’acqua di oltre 70 metri, estesa su di un fronte roccioso largo 35 metri, scenario naturale altamente suggestivo, soprattutto nei mesi invernali con il torrente alla massima portata idrica. Proprio la particolare conformazione delle rocce, estesa sull’intero dislivello di caduta che favorisce più uno scivolo che un salto delle acque, deve aver offerto spontaneamente il nome originale della cascata. Un fenomeno naturale dal fascino inconsueto, che probabilmente ebbe effetto anche sull’animo del Sommo Poeta, che attraversati questi luoghi, volle rammentare la cascata nell’Inferno, al XVI canto della sua Commedia.

scheda e foto di Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 20 dicembre 2020

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