MUGELLO – Una straordinaria coincidenza, davvero. E per di più alla fine del mondo, in una pozza di sole. Il luogo è l’Appennino sopra Firenzuola, l’anno il 1916, agosto il mese. La guerra semina morte in tutta Europa.

Velia Ruffo è in villeggiatura a Covigliaio, hotel Baglioni. È la sorella di Titta Ruffo, il re dei baritoni del tempo, ed è la moglie di un sovversivo non ancora tristemente famoso: Giacomo Matteotti. A Covigliaio, Velia e Giacomo erano stati in vacanza da fidanzati, anni prima. Amano la montagna e l’aria buona, le passeggiate e la solitudine. Lassù, vicino al passo della Futa, si mangia bene e l’oste si perde in racconti  che destano meraviglia. Del resto, da quell’albergo – già hotel La Posta e più di recente hotel Gianna – è passata la storia. Siccome l’unica strada di collegamento tra Bologna e Firenze scorreva proprio qui, a Covigliaio hanno mangiato o dormito in parecchi. Ti basti sapere che un paio di papi e Carlo Alberto, lo zar e Garibaldi, De Sade e l’Alfieri, tutti in ottima compagnia, hanno sfilato tra questi poggi. Velia è da sola. Giacomo è rimasto a Rovigo a lottare contro la guerra. Nel consiglio provinciale del 5 giugno attacca violentemente il governo, sostiene che questa non è la sua patria. Scoppia il putiferio. Viene accusato di sovversivismo, è un disfattista, un uomo pericoloso. Il prefetto ne richiede addirittura l’arresto immediato. All’inizio di agosto la sentenza: condannato e spedito in esilio in Sicilia, a Messina. Scrive a Velia: vieni immediatamente. La lettera raggiunge la moglie il pomeriggio del 3. Legge e un nodo le stringe la gola. Si sono appena sposati e non si sono mai visti. Lei tra Roma e Fratta Polesine, lui sempre in giro, sedotto dalla politica, afferrato dal bisogno di fare, al servizio di quei poveracci di contadini che vivono in condizioni di miseria assoluta, le terre più povere d’Italia. Si rifugia in camera, spalanca le persiane, meditabonda getta lo sguardo oltre i monti, laggiù, verso Firenzuola, verso la piana. Si è intristita si colpo.

Non sa che di faccia a lei, a un paio di miglia dal Giogo (al Barco, per la precisione), una donna sta scendendo dall’Autovia. È di una bellezza eretica, ha quarant’anni , ha già visto tutto. Le lenzuola del suo letto sono state sgualcite da artisti e da letterati. È socialista, ma è pronta ad affrontare la rivoluzione del secolo. Senza nessuna paura. Ad aspettarla, un tale che ha una decina di anni meno di lei, giacca sdrucita, scarpe legate con lo spago, la testa fiammante. Un uomo bizzarro, una donna sul baratro. Lei è Sibilla Aleramo, lui è Dino Campana. Mentre Velia si dispera e prepara i bagagli per salutare il suo Giacomo, i due poeti si sfiorano appena con gli occhi. Si sono già innamorati.

Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 27 gennaio 2019

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