FIRENZUOLA – In questo bel racconto, scritto circa 90 anni fa -tratto da “I giorni del castagno”, pubblicato nel 1933-, Tito Casini, scrittore di Cornacchiaia, racconta la preparazione del castagneto e l’inizio della raccolta. Sono pratiche che rimangono uguali anche oggi: si comincia dalla pulitura del castagneto, che con l’erba e gli arbusti tagliati diventa simile a un giardino, e si prosegue con la raccolta, fatta ancora oggi quasi esclusivamente a mano. 
E il racconto è interessantissimo anche dal punto di vista lessicale.
Il padrone cominciò dunque a pensare ai marroni. Avendo deciso di raccattarli da sé – di non venderli in pianta o di darli al terzo, come gli avrebbero chiesto – fissò per prima cosa i ricoglitori: un uomo, che lo avrebbe aiutato anche a siminare, e una ragazza, per contentare anche la massaia, una brava ragazza era stata già da lui per garzona. Questo fu di settembre, e col salario, tanto in quattrini e tanto in farina, fu stabilito anche, press’a poco, il giorno che dovevan venire. Intanto, il padrone, co’ suoi figlioli e con l’opre, si mise a preparare il marroneto. …
C’eran qua e là de’ monti di legna, ciocchi, potature, scamolli, e con le bestie e col carro, con ripetuti viaggi, la tirarono a casa… La scaricavano nell’aia, allargandola al sole, chè s’inalidisse, per bruciar meglio poi nell’inverno. Sbrattato così il terreno degl’impedimenti più grossi, presero delle falci e il pennato, presero delle granate di corniolo, e andarono a sterpare.
Perché il castagno, chinando i rami sempre più pesi, i rami dai mille seni sempre più gonfi, diceva al padrone: – Padrone, sbrìgati, metti all’ordine il letto, ch’io mi sento già molto stracco. Sento nei ricci entrar del rosso e svamparmi i marroni. Non li hai visti, già vergati, in mano ai ragazzi che già han cominciato a rodere, prendendomene dalle vette più basse?
Per ora il riccio si difende, e i ragazzi devon lavorar di scarpe, dopo averlo atterrato, per fargli aprir bocca; ma tra poco s’apriran da sé, i pungenti scrigni, e spargeranno sul muschio liberamente tutto il loro tesoro. Attento dunque che il muschio non te lo rubi, nascondendolo a’ tuoi occhi, per arricchirne poi gli animali. Via, perciò, i nascondigli! Via quei pruni, quei ginepri, quei roghi, via quelle caspe di scornabecco, via que’ macchiotti di felci, via que’ nebbiacci, que’ farfari, via que’ montastri, via quel paleo, e via anche le mie foglie, quelle mie foglie dell’anno scorso che sfuggirono alla tua granata quando tu le radunavi, di novembre, per farne letto alle tue vacche! –
Un po’ con la falce, un po’ col pennato, il padrone tosò tutto il suo marroneto. Poi, con le granate di corniolo, spazzò assieme, in tanti mucchi, la tosatura e le diede fuoco… Si vedeva da lontano il fumo uscire in colonne azzurre dalla superficie verde dei castagneti e vanire, senza lasciar traccia, entro l’azzurro del cielo.
Passò ancora qualche giorno, e il padrone tornò al marroneto con zappa e la paluccia. I ricci cominciavano ormai a sbiancare e anche la foglia schiariva in un verde oro il suo verde smeraldo; i rami s’erano avvicinati quant’era in loro alla terra, per consegnarle più dolcemente il loro frutto . Era dunque l’ora di preparare le culle. Perché il marrone, o l’intero riccio, cadendo in costa, ruzzola, se non ha riparo, e andrebbe forse a finir nel fosso, per esser portato via dall’acqua, o fuor di confine, per arricchir di sé chi non curò la pianta materna. A impedir questo, il padrone fece, o rinnovò, per ogni balzo le roste, ossia tante cunette, piccoli valli che arrestavano a tratti a tratti la ripidità della costa, e si sarebbero poi mutati in ricciaie.
Ecco che arrivarono, uno dopo l’altro, i ricoglitori. Prima arrivò l’uomo, e non salì neppure nella sua camera a posare il fagotto, chè, buttato in là il paniere e presa una zappa, volle subito andar nel campo, dove il padrone era già, con diverse opre, attorno alla semina.
Poi arrivò, accolta con festa, la ragazza. Aveva indosso i panni buoni, per la domenica, e nel fagotto, dentro il paniere, quelli da strapazzo, né si cambiò prima d’essere stata anche lei nel campo, a salutare il capo di casa. Un’ora dopo – s’era cambiata e aveva visto, o meglio rivisto, la sua camera, quella medesima dove aveva dormito garzona con una figliola della massaia – era come tutti gli altri al lavoro. Era con la massaia, l’ago in mano e un sacco sulle ginocchia e una massetta di sacchi accanto, e a quello metteva una toppa, a quello faceva un rammendo, a quello ricuciva il legacciolo… Perchè i marroni già cascavano, e un ragazzo, passando per il marroneto, ne aveva già raccolti una tascatella, che sua madre, per contentarlo, gli aveva messo sul fuoco, in un pentolo, e eran le prime ballotte.
Tito Casini

 

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