MUGELLO – La professoressa Carla Romby presenta la mostra “I segni del sacro tra memoria e abbandono” di Francesco Noferini, allestita ai Diacci, e aperta fino al 30 ottobre (articolo qui).
Nascoste fra campi e boschi o al contrario bene in vista su piazze e strade, isolate o al centro di abitati, grandiose e ricche di ornati preziosi o invece frugali e spoglie, chiese, pievi, cappelle, oratori, sono testimoni della vita di popoli e paesi che hanno affidato alla divinità le stagioni della vita e della morte. Perciò gli edifici religiosi pure nelle diverse e articolate declinazioni, descrivono un paesaggio che non è solo terreno ma investe le speranze di persone e popoli e infine ne disegna e distingue caratteri e peculiarità.
Nelle campagne del Mugello medievale spesso oggetto di saccheggi e incendi durante le non infrequenti azioni belliche o guerricciole e incursioni tra fazioni, la popolazione si rifugiava nella chiesa plebana che poteva offrire una sicurezza fra le proprie mura costruite in pietra e non di rado difese dalla torre campanaria che poteva trasformarsi rapidamente in una struttura anche armata. Quando imperversavano epidemie e pandemie la pieve oltre ad amministrare i sacramenti che affidavano l’ammalato alla Provvidenza, poteva trasformarsi in ospedale e offrire i primi soccorsi o anche in occasione di eventi e calamità naturali come terremoti e alluvioni, l’edifici ecclesiastico rimaneva punto di riferimento e di accoglienza; infine nella pieve si battezzavano i nuovi nati, si celebravano matrimoni e uffici funebri e i popoli vi facevano riferimento in occasione di ricorrenze rituali stagionali (rogazioni). Ma se le pievi erano i caposaldi della rete ecclesiastica, le chiese suffraganee costituivano il tessuto connettivo della religiosità e devozione delle campagne e davano conto delle dinamiche del popolamento. Le chiese suffraganee sorte con lo specifico scopo di garantire l’assistenza spirituale della piccole comunità rurali disperse nelle campagne, seguivano l’andamento della popolazione nel corso del tempo per cui potevano venire abbandonate e ricostruite anche in luoghi diversi; così la distribuzione e quantità delle chiese suffraganee mette in luce la varietà dei territori plebani e la rispettiva maggiore o minore ricchezza di ogni pieve matrice. Nelle campagne di età moderna alla crescita del popolamento testimoniato dalla fitta rete di case contadine corrisponde la permanenza di chiese, oratori e cappelle a servizio delle comunità ed in cui si celebravano le feste comandate e le variegate devozioni locali, mentre negli anni più vicini all’oggi il decremento demografico delle campagne ha significativamente condotto alla chiusura ed all’abbandono di molti organismi religiosi.
Ma l’abbandono, la scomparsa di un edificio religioso non si limita ad una perdita/riduzione del patrimonio culturale ma si riverbera in una più generale perdita della memoria che investe luoghi e persone. Allora di fronte a situazioni di mutazione profonda così come all’abbandono e/o distruzione degli edifici religiosi diviene importante documentarne la permanenza materiale attraverso tutti gli strumenti possibili di cui la ricognizione fotografica rappresenta quello più immediato ed efficace.
Ed è l’azione proposta dal lavoro fotografico di Francesco Noferini.
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