Il progetto trova un suo primo compimento per Ferragosto, con un evento originale e significativo (articolo qui). Ed è Cirri – che nelle campagne di Palazzuolo d’estate abita- a spiegare di cosa si tratta.
E’ abbandonato dagli anni ’70, quando l’Appennino si spopolò con una velocità drammatica – è una storia poco raccontata – e anche loro, i morti, se ne andarono, traslati altrove. Ad alcuni, io, si spezza il cuore davanti a questa cancellazione di memoria. Sono uno di quelli che trovano un non so che nel fermarsi in un cimitero di campagna e starci un po’ dentro.
Ce ne sono tanti, molti un po’ abbandonati. Due vallate più in là c’è un cimitero militare inglese, con i morti della guerra contro il nazifascismo. E’ ben curato, il prato rasato perfetto, le lapidi bianche. C’è una panchina in legno per sedersi un po’. Molto inglese. Su una delle lapidi un’incisione è in francese. E’ per un soldato del Quebec, Canada: genitori ci dicono che era il loro unico figlio.
In un altro cimitero, immenso, sul Passo della Futa, sono sepolti decine di migliaia di soldati tedeschi. Da molti anni, in estate, quelli di Archiviozeta ci recitano tragedie. Bellissime.
Per molti anni mi sono chiesto che cosa si possa fare di/in un cimitero abbandonato. Non sono arrivato a molto. Ho pensato, anche, che ci sono dei cicli e se i noccioli e i carpini, il bosco, si riprende quello che l’uomo ha abbandonato potrebbe anche andare bene così. Ma non mi sono convinto.
Poi mi è venuta in mente mia mamma che non diceva cimitero, diceva “Camposanto”. Un campo come gli altri ma con qualcosa in più: più buono, più puro, più giusto, più in equilibrio. E qualcosa in meno: un camposanto è il posto di quelli che non ci sono più ma continuano a far sentire la loro presenza. Una volta all’anno nel giorno dei morti o tutti i giorni nel tormento di un’assenza che ci spezza in due la vita.
Qui, in questo camposanto dove le sepolture ormai non ci sono più, c’è come un’assenza ulteriore. E’ rimasto il recinto delle mura con il cancelletto di ferro battuto. Questo camposanto abbandonato sull’Appennino è l’abbraccio all’assenza. Mura sbrecciate che circondano, accolgono, tengono dentro, concludono.
Considerazioni che non mi hanno portato a molto. Avevo letto “Storia della morte in Occidente”, anni addietro. L’editto napoleonico impone le sepolture fuori dalle mura delle città – per l’igiene – e allontana la morte dalla vostra visione. Così adesso, per non pensare alla nostra finitudine, guardiamo Rete 4.
Qualche mese fa ho portato Mirko Artuso a vedere il Camposanto. Quasi non lo ritrovavo più, il bosco si è infittito, le liane crescono con un’energia che il PD se la sogna e puoi passarci accanto senza accorgerti che c’è. Ma alla fine l’abbiamo trovato, strisciando sotto i rami dei ciliegi selvatici per entrarci dentro – un nocciolo maestoso è cresciuto come un’esplosione verde – e ho fatto a Mirko la solita domanda: a cosa serve un luogo così? Come, in cosa può aiutarci? Cosa si potrebbe fare in un camposanto che non è più un camposanto – non ospita più i corpi – ma continua ad esserlo?
L’Artuso non ha avuto esitazioni. “Teatro”, ha detto, “è chiaro”. A me non pareva così lampante. Ma non è che ti metti a discutere con uno come Mirko Artuso. Poi è arrivato un segno del destino: il comune lo mette in vendita, bene alienabile. Allora è il momento giusto. Allora proviamo.
Così abbiamo di fronte un mare di questioni: come si mette in sicurezza un cimitero usato? Come lo si restaura? Cosa fare perché ritorni ad essere visibile, lì dove è sempre stato, a segnare il limite tra prato e bosco, tra le nostre vite arruffate dalla fretta e quello che c’è dopo? E gli alberi cresciuti dentro saranno da tagliare? Tutti o alcuni? Qualcuno ha mai recuperato un cimitero usato? E gli alberi cresciuti fuori, nel prato diventato bosco, si possono tagliare?
Abbiamo chiesto ai Carabinieri Forestali, competenti e cortesissimi. Andremo a fare un sopralluogo, capiremo. L’Artuso dice che è un progetto aperto. A me pare più un delirio semistrutturato. Comunque non lasciateci soli. C’è una pagina Facebook Camposanto di Salecchio, una su Instagram ma ne sa l’Artuso e un indirizzo mail: camposantodisalecchio@gmail.com.
Nel Museo delle Genti di Montagna, a Palazzuolo su Senio, Iacopo Menghetti espone le foto di altri cimiteri di campagna. Quello di Salecchio è il più bello. Lunedì 15 agosto, il giorno più sacro dell’estate, andiamo tutti al cimitero di Salecchio, Palazzuolo sul Senio, Mugello, e poi seguiamo El Bechin e torniamo in paese. 200 e passa anni dopo l’editto napoleonico ci diciamo quello che siamo: Comuni Mortali. C’è Arianna Porcelli Safonov. E’ una garanzia.
Massimo Cirri
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 11 Agosto 2022
3 commenti
Sulla tomba del soldato canadese c’ è questo epitaffio:
Nous vous prion de remercier notre fil unique Pierre……
(mi scuso per il mio pessimo francese)
Vi è anche una tomba con la stella di Davide.
Sulla tomba del soldato canadese c’ è questo epitaffio:
Nous vous prion de remercier notre fil unique Pierre……
(mi scuso per il mio pessimo francese)
Vi è anche una tomba con la stella di Davide.
Il cimitero si chiama COMMONWEALTH WAR CEMETRY e si trova sul superstrada che porta a Coniale nel Firenzuolino.
Gli ho reso onore tutti gli anni per circa 40.
I vecchi cimiteri sono gli archivi storici cielo aperto più portanti che abbiamo. Raccontano chi ha vissuto nei nostri comuni, nei nostri territori e, quando si fa visita ad un cimitero si incontrano voi e persone che riportano alle vecchie famiglie dimenticate dalle nuove generazioni. I cimiteri sono un vero e proprio documento storico e Co.e tale andrebbero mantenuti