SCARPERIA E SAN PIERO – La zona del Cornocchio si colloca a nord ovest di Scarperia su un modesto rilievo dai caratteri tipicamente rurali e tutt’ora intensamente coltivato. Vi si giunge attraverso una breve deviazione che abbandonata la strada per Sant’Agata, piega decisa a sinistra appena superato il ponte sul Levisone ed il dismesso mulino ad acqua che portava l’identico nome del torrente.
La stradella segue il rincorrersi di luminosi campi coltivati e rigogliose radure ed in breve conduce al cospetto di San Gavino, antica prioria con facciata volta al Cornocchio, il torrente dal quale ha preso il nome. La chiesa è menzionata per la prima volta nelle Rationes Decimarum del 1276 quando era tassata per quattro libbre, con altre citazioni che la riguardano in alcuni documenti del 1344 riferiti agli Ubaldini che l’avrebbero costruita non lontano dalla loro Villa di Cignano. Altri illustri patroni della chiesa furono i Cavalcanti che nelle prime decadi del Quattrocento spartirono il titolo con l’antichissima signoria degli Ascianello, poi all’inizio del Seicento ne divennero tutori i Figiovanni che probabilmente mantennero l’incarico fino all’inizio del XVIII secolo quando il patronato passò ai Cattani di Barberino che ancora lo possedevano a metà dell’Ottocento.
La chiesa appare inserita in un complesso rurale dalle dimensioni imponenti, comprensivo della canonica ed altri annessi agricoli, tutti purtroppo in deplorevole stato di abbandono. Il fianco sinistro della chiesa si distingue per un paramento a vista di pietre accapezzate e inserti di cotto che prosegue su tutto il lato settentrionale della struttura e presenta nella parte mediana, una scala esterna con verone per l’accesso al piano superiore. La copertura è a due acque di ampiezze diverse, con manto di tegole e coppi che prosegue in maniera uniforme anche sull’edificio addossato alla parete tergale della chiesa conferendo un senso di uniformità e compattezza all’intero complesso. Sulla parte sinistra del tetto, in corrispondenza della scala esterna, è il campaniletto a vela con due fornici e due campane.
La facciata mostra un disegno elegante con due finestre rettangolari nella parte superiore ed un bel porticato che precede l’ingresso alla sinistra del quale è un piccolo avancorpo chiuso da un portale a sesto ribassato.
La tettoia del loggiato è sorretta da due semicolonne laterali e due colonne centrali realizzate con rocchi sovrapposti di laterizio e concluse da capitelli in pietra di ordine composito. Fra le molteplici lapidi apposte sotto il loggiato, appare significativa quella apposta da Don Faustino Landi in occasione del Giubileo del 1875 e della predica del 19 dicembre di quell’anno tenuta in chiesa dal dotto Agostino da Montefeltro, Padre Minore dei Francescani celebre nei suoi sermoni per la disamina di argomenti politici e patriottici. Fra le lapidi dedicate al ricordo dei popolani caduti nella Grande Guerra, suscita emozione per la delicatezza della prosa, una breve lirica che recita:
ne suoi rosei tramonti
vi circondi di fulgida aureola
dia baci alla vostra memoria il sole
e rammenti a noi
di riscaldare cogli ardenti baci
della preghiera
le belle anime vostre
perché purificate volino in seno a Dio
Il preoccupante stato di degrado e l’abbandono hanno determinato la chiusura dell’edificio che al momento non è visitabile. Tuttavia un’idea dell’aspetto interno della chiesa è ancora percepibile attraverso le descrizioni novecentesche di storici come il Prof. Francesco Niccolai, e soprattutto assorbibile dai documenti delle Visite Pastorali conservati nell’Archivio Storico Arcivescovile di Firenze. L’interno della chiesa dovrebbe dunque apparire secondo l’aspetto ed i caratteri propri dei luoghi di culto sette ottocenteschi, con pavimento di mattoni e soffitto a capriate lignee poggianti su tozze mensole a voluta. La parte superiore delle pareti decorata con una balza blu, delimitata da una finta cornice modanata di colore ocra che corre su tutto il perimetro dell’aula all’imposta della travatura. Una balza dello stesso colore e cornice analoga dovrebbe segnare le pareti in prossimità del pavimento. Sopra l’ingresso, estesa a tutta la larghezza dell’aula è la cantoria, con fronte decorato a pannelli lineari e sorretta da due colonne. Gli altari laterali sono due, con base di materiale e timpano triangolare.
Nella nicchia centinata aperta sull’altare di sinistra era in passato un semplice Crocifisso, mentre l’altare di destra ospitava la splendida tavola della Madonna col Bambino e i santi Gavino e Miniato. L’opera datata 1345 e firmata dall’enigmatico Maestro Nicholaus è ora godibile nella Raccolta di Arte Sacra Don Corrado Paoli a Sant’Agata. Nel 1615 il dipinto occupava lo stesso altare ma collocato all’interno di una cornice (anche questa conservata a Sant’Agata) riproducente i quindici Misteri del Rosario e commissionata in quell’anno a Filippo Santini, artista fiorentino. Per secoli l’immagine ebbe il ruolo improprio di Madonna del Rosario, probabilmente tenuta costantemente celata ai fedeli da un drappo e scoperta solo in determinati momenti dell’anno liturgico. Due confessionali di legno dalla foggia semplice dovrebbero occupare le pareti dell’aula in prossimità del presbiterio e sopra quello di destra Don Faustino Landi, negli anni settanta dell’Ottocento, aveva fatto costruire un piccolo pulpito accessibile dai locali della canonica. Il presbiterio è rialzato di un gradino e pavimentato in cotto come l’aula. Sulla parete di destra era una lapide marmorea con l’arme dei Baroni apposta in memoria di Don Giuseppe Baroni, morto e sepolto in chiesa nel 1856. L’Altare Maggiore è tinteggiato a finto marmo. Il Prof. Francesco Niccolai nella sua Guida del Mugello ricorda che sotto la mensa era un’epigrafe che recitava: “restituit ornavit et auxit Alexander Bisagnus florentinus” che vi fu priore nelle prime decadi del Seicento e si adoperò per un generale restauro della chiesa.
All’intervento del sacerdote potrebbe appartenere anche la mostra con cornici di pietra addossata alla parete di fondo che un tempo ospitava il Martirio di San Gavino, un olio su tela ora conservato al Museo Beato Angelico di Vicchio, dipinto da Ridolfo Turi nel 1621 e probabilmente apposto sopra l’Altar Maggiore dal precitato Don Alessandro Bisagni. Poco altro ci raccontano i documenti esaminati in merito all’aspetto e alla storia di questa chiesa di campagna, un luogo di culto che per lungo tempo ha rappresentato il riferimento istituzionale di potenti casate signorili del passato ma che certamente è stato anche rifugio spirituale e sociale di gente umile appartenuta ad uno dei popoli più numerosi di Scarperia. Fermarsi al suo cospetto, qui come in molti altri luoghi del Mugello, provoca amarezza e disagio ed amplifica il desiderio di un legittimo intervento conservativo che la preservi dall’oblio e ne valorizzi le peculiarità storiche, architettoniche e di costume, forse qualità che ormai mostrano un tono sbiadito per la mondanità dei nostri tempi.
Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 20 Ottobre 2024
1 commento
Macché restauri di Chiese e monumenti…. Meglio una bella ciclabile, una inutile illuminazione, Portano più consenso.