MUGELLO – Il mese di settembre 1944 segna la liberazione del Mugello. Dopo l’insurrezione di Firenze partigiani e truppe alleate sono impegnate nella messa in sicurezza della città del fiore e poi avanzano verso la Romagna.
Nei primi di settembre tocca al Mugello e alla Val di Sieve. Nel volume “Scarpe rotte eppur bisogna andare”, Firenze, Pagnini e Martinelli, 2004, si raccontano i fatti per come sono stati vissuti da Ottavio Pini, un partigiano “azzurro”, era di ispirazione monarchica, componente nella Lavacchini, la Brigata borghigiana comandata da Donatello Donatini.
In ricordo di quei giorni viene estrapolato dal volume una parte del capitolo dedicato alla nostra zona.

“I tedeschi si ritirano incalzati dalle formazioni dei partigiani, gli alleati rallentano la marcia; il 6 settembre, nella zona di Firenzuola, i tedeschi cominciano lo sfollamento dei centri abitati, a Casanuova l’ordine è di muovere verso Medicina. Tra agosto e settembre i tedeschi uccideranno 13 civili delle località di Firenzuola. L’8 settembre bombe su San Piero a Sieve, tragico il bilancio di 10 morti. Sempre lo stesso giorno don Ubaldo Sazzini, priore di Polcanto, muore dilaniato da una mina mentre si reca da
un moribondo. Il 9 settembre arriva l’alba anche per Londa, il paese è liberato. Lo stesso
giorno la compagnia “Fanfulla” opera un rastrellamento tra Polcanto e San Piero, vengono catturati cinque tedeschi che sono consegnati alle truppe alleate; Borgo San Lorenzo minata viene salvata da un intervento del salesiano don Lorenzo Gasperi.
“Gli alleati martellano a tappeto. Ricordo un bombardamento con tutta l’artiglieria inglese, cominciò alle otto di sera e proseguì fino alle 4 del mattino aumentando sempre l’intensità, non c’era angolo dove non fosse cascato qualcosa. Avevo la febbre alta per un’influenza, ero riparato nella capanna di un contadino, della famiglia Landi, che addirittura mi portava qualche tazza di latte caldo per la gola. Le schegge cadevano dappertutto, con strani rumori, una di queste sembrava il motore di una motocicletta in
arrivo, invece era una scheggia piuttosto grossa che stava cascando vicino a noi” .
I tedeschi lasciano San Cresci e Monte Giovi, gli inglesi bombardano. Al partigiano Ottavio Pini, “Sparviero”, viene affidato il compito di effettuare una ricognizione di Borgo San Lorenzo assumendo informazioni e rendendosi direttamente conto della situazione – i tedeschi sono in fuga ma hanno lasciato truppe di retroguardia – e in nottata rientra alla formazione. Il giorno dopo due squadre della Brigata “Lavacchini” sono inviate a presidiare gli accessi del paese in vista del prossimo arrivo del
grosso della Brigata e degli alleati. “Nella notte tra il 9 e 10 settembre mi viene affidato da Giuseppe Maggi il comando della squadra GAP, quella degli esecutori, tra cui Leone, Scialuppa, Fiorino, Napoli, con l’ordine di andare a Borgo in perlustrazione. Accolgo la notizia con soddisfazione posso partecipare ad una missione importante. Si parte da Monte Giovi e scendiamo verso la casa del Mattioli; sento dentro
me un qualcosa che mi dice di fare attenzione, molta attenzione, che il pericolo era grande. Qualche giorno prima era avvenuta la morte di Sante Marrani, avevo chiesto la presenza in squadra del Poli di Scarperia, un grande amico, ma non mi era stato concessa. Questo sentimento continuava a turbarmi, ma dovevo andare e tiro dritto. Scendiamo il primo tratto di bosco a balzi, facciamo una sosta a Villa Rosselli, per riunirci e riformare la squadra. Da qui proseguiamo per Sagginale, ma non entriamo, era ancora
giorno. Raduno la squadra e avverto del pericolo: se scappano colpi siamo individuati, quindi sicura alle armi, silenzio e fila indiana; io avrei protetto la squadra marciando ultimo con la machine-pistol (che poteva sparare una quarantina di colpi se azionata a raffica). A Lutiano si fa una sosta, un partigiano esce dal gruppo attirato da suoni e rumori, poi torna senza aver visto niente, ma la mia attenzione è altissima. Rifacciamo la fila e marcia fino a Borgo San Lorenzo dove attraversiamo la Sieve, il ponte è crollato ci sono fasci di fili elettrici divelti, mi pervade un senso di pace e tranquillità. Non avvertivo più pericolo, sono le 6 e 5 del mattino. Raggiungiamo i Salesiani. Andiamo a Villa Pecori e incontriamo Poletto, un laico salesiano che faceva da trait d’union tra preti e partigiani, ci ragguaglia sulle novità e sui tedeschi. Il grosso dei tedeschi è in ritirata ma ci sono molti reparti di retroguardia. Ci avevano mandato a Borgo a vedere come stavano le cose, a fare presenza, non per attaccare combattimenti o roba del genere, sarebbe stata una catastrofe. Poi rientriamo dalla strada di Rabatta, raggiungendo San Cresci per un percorso diverso. Alla fine della missione ci avvista una “cicogna” che mitraglia, forse perché i nostri elmetti tedeschi li hanno ingannati. Noi facciamo cenni per farci riconoscere, Andrea Mercatali e un altro decidono di andare
incontro agli inglesi per far cessare i bombardamenti, visto che c’era anche un ospedale. Devono aver detto ospedale e soldati, oppure ci avevano riconosciuto anche troppo bene, eravamo una formazione “rossa”, in ogni modo le bombe continuarono a cadere. Al rientro rapporto a Donatello.”
Il giorno dopo viene decisa una nuova missione. Vengono formati due gruppi con il compito di incontrarsi a Borgo, destinazione Villa Pecori Giraldi. Una squadra è comandata da Ottavio Pini (con Eugenio Belli “Pirata”, Giacomo Belotti “Stoppaccio”, Paolo Lapucci “Stioppo”, Alfredo Poli “Carrista” e Aldo Tartarelli “Furia”) e si muove da Rabatta, l’altra è guidata da Benito Paoli “Naso” (con Luigi Frandi “Tecnico”, Renato Lavacchini “Figaro”, Giovanni Pini “Tatta”, Fiorino Fiorelli “Fiorino”, “Grandine”) e segue il
percorso da Lutiano. “Partiamo di notte, viaggiando al chiar di luna e alla luce dei bombardamenti che non erano mai cessati. Scendiamo percorrendo la strada sul versante di Vicchio, arriviamo a Sagginale, oltrepassiamo il ponte e a Rabatta, alla prima curva, facciamo sosta dai Landi, entriamo in casa, ci
dicono che i tedeschi si stanno ritirando, la strada per Borgo è libera e transitabile ma attenzione perché nei pressi ci sono le retrovie.
Improvvisamente al Tartarelli, che aveva un moschetto corto con la baionetta ripiegabile, parte un colpo; fortunatamente non ci sono conseguenze, neanche per lui che spesso aveva l’abitudine di appoggiarci il mento. Segue un’arrabbiatura da parte mia con l’ordine di mettere le armi in sicurezza; i tedeschi sono vicini. Proseguiamo, superiamo un’altra curva e incontriamo altre persone; tra il Tartarelli e il Lapucci nasce una discussione sulla posizione della leva per mettere la sicura al fucile tedesco Luger, nel provare viene esploso un altro colpo. Sono preoccupato, mi prendono i “cinque minuti”, il colpo dai Landi era stato ovattato dalle mura, ma questo così all’aria aperta, no. Ci rimettiamo in marcia verso Borgo camminando
sotto la strada, marciando ben intervallati, se scoppia una mina saltiamo tutti insieme.
“Arriviamo a Villa Pecori per aspettare la squadra del Paoli, l’ordine è – se possibile – di presidiare, di occupare alcuni punti del paese, come gli ingressi, sempre senza attaccare combattimenti. Il Paoli non arriva, usciamo e avanziamo fino alle macerie di Viale IV Novembre all’incrocio per Ronta, spara anche l’artiglieria tedesca, le granate cadono alle Fornaci Brunori. Ripartiamo verso Via Marconi, ne approfitto per una sosta a casa, c’erano stati i soldati e avevano sporcato e orinato in tutte le stanza, come un segno distintivo così come fanno cani e gatti per segnare il territorio, però i mobili c’erano tutti (ci penseranno gli inglesi dopo, portarono via ogni cosa) anche se la casa era stata danneggiata dal primo bombardamento.
Avanti, proseguiamo per Via Marconi fino ai bastioni. In fondo “lo stradone”, a Sieve, vediamo una jeep della sussistenza, che per noi era un mezzo sconosciuto, con due inglesi a bordo. Ci avviciniamo, la jeep era carica di scope, una cosa che mi è rimasta talmente impressa che ho ben presente tutte queste scope messe per ritto, e gli occupanti non avevano certo un’aria bellicosa, gli diciamo che Borgo è libero e sotto nostro
controllo. Dopo arriva un carro armato, di quelli grandi, qui c’era un ufficiale che volle tutte le informazioni di cui disponevo, e io riferii quanto sapevo”. “Eugenio Belli corre sul Monte Giovi ad avvertire il grosso della Brigata, che arrivò con ritardo perché i comandanti sospettavano che gli inglesi fossero in realtà tedeschi camuffati pronti a sparare, come avevano già fatto in altre località. Arrivano alcuni grandi camion inglesi e bonificano le macerie del ponte dove c’era una mina inesplosa che la squadra partigiana
non aveva visto. Sistemato il ponte sulla Sieve entrano i mezzi, il primo rimane bloccato in Via Mazzini, il carro armato era troppo grande e non passava; l’istinto degli inglesi fu quello di buttare giù gli angoli che
ostruivano il passaggio, ma si convinsero a non farlo e tornarono indietro. Il comando si installa alla Caserma del carabinieri. La sera dell’11 settembre arrivano anche due carabinieri italiani, inviati a prendere
possesso della caserma. Il primo borghigiano che passa è il “fornaino” Aldemaro Vitartali, Fortunato
Bugiardi (che sarà guardia notturna) issa il “Tricolore” sulla Torre dell’Orologio e suona la campana, il Lapucci, “Truciolino”, attacca a cantare l’Internazionale davanti alla bottega del capo fascista Tesi in
piazza Cavour: qualcuno non la conosce e ascolta in silenzio. Arriva la Brigata “Lavacchini”, poi giungono le truppe alleate, per prime quelle greche.
E’ tornata la libertà.”

Massimo Biagioni
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 Settembre 2020

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