Formazione Marnoso-arenacea

Il substrato roccioso di gran parte dell’Appennino tosco-romagnolo, quindi della media ed alta vallata del Senio, è costituito da un’enorme pila di strati spessa complessivamente quasi 3 km. Le rocce prevalenti, l’arenaria e la marna (rispettivamente sabbia e fango consolidati da carbonato di calcio), determinano l’appellativo di Formazione Marnoso-arenacea (FMA) dato a questo imponente corpo geologico la cui origine si deve alla sovrapposizione di migliaia di particolari “frane” sottomarine di sedimento misto ad acqua note col nome di correnti di torbida. Queste, nel corso del Miocene medio-superiore (tra circa 16 e 7 milioni di anni fa), andarono depositandosi su fondali marini confinati in ampie fosse allungate con andamento grosso modo parallelo a quello dell’attuale crinale appenninico. A causa dei normali processi di decantazione ogni singolo strato torbiditico risulta composto da una “coppia” di strati rocciosi differenti: uno arenaceo alla base, più grossolano, che sfuma gradualmente in uno marnoso verso l’alto, più fine (gradazione).
Tra un evento di torbida e il successivo potevano trascorrere anche migliaia di anni, durante le quali decantavano sui fondi abissali dei finissimi fanghi chiari (emipelagiti) ricchi di microfossili planctonici.
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Tracce fossili
In generale, le rocce di ambiente marino profondo sono solitamente assai povere di resti di antichi organismi e i depositi torbiditici della F.ne Marnoso-arenacea (FMA) non fanno eccezione.
In tali sedimenti assumono perciò una grande rilevanza le tracce fossili (o icnofossili) dell’attività biologica di svariati tipi di organismi che, per mancanza di parti dure o per condizioni inadatte alla loro fossilizzazione, non si sono preservati: in pratica, quelle che erano piste di spostamento o tane scavate nei soffici fondali marini da molluschi, “vermi”, crostacei, celenterati o echinodermi si sono potute talora conservare sotto forma di impronte o calchi naturali di arenaria o marna (in origine, sabbia e fango). Siccome risulta quasi impossibile identificare l’organismo che ha prodotto un certo tipo di traccia, gli icnofossili vengono classificati basandosi sul loro significato etologico, cercando cioè di riferirli al tipo di attività biologica che li ha prodotti. Dei 9 principali gruppi individuati dagli scienziati, 5 risultano ben rappresentati negli strati della FMA:
“tracce di pascolo”, piste spesso meandriformi lasciate da organismi – principalmente molluschi, anellidi e artropodi – che si spostavano sulla superficie del substrato in cerca di nutrimento (es. Helmintoraphe);
– “tracce di spostamento”, vale a dire solchi, piste e gallerie (con andamento rettilineo o lievemente sinuoso) lasciate dal passaggio di animali che si spostavano sulla superficie o all’interno del fondale marino (es. Scolicia, prodotta da echinoidi irregolari).
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I depositi torbiditici dell’Appennino romagnolo, tendenzialmente assai poveri di macrofossili, a volte inglobano sporadici blocchi calcarei – spesso riccamente fossiliferi – definiti “Calcari a Lucina” (CAL) per la caratteristica presenza di vistosi bivalvi affini al Genere Lucina. La loro genesi, assai dibattuta in passato, è stata recentemente assimilata alle ricche comunità biologiche situate nei fondali oceanici in prossimità di emissioni fredde di fluidi (cold seeps), soprattutto metano (CH4) e idrogeno solforato (H2S).
a) CAL di Poggio Cavalmagra, i più antichi del settore in esame (Langhiano superiore, circa 15 milioni di anni), inglobati in un orizzonte caotico di frana sottomarina spesso 60-80 m ed esteso per una trentina di km;
b) CAL di Le Colline/Gruffieto e dei Prati Piani/Monte Faggiola (Serravalliano inferiore, circa 13 milioni di anni), entro la successione prevalentemente marnosa di una frana sottomarina di 40-50 m di spessore e 50 km di estensione.
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