MUGELLO – Una domenica, un sabato, quando vuoi tu. Scarponcini, cappello e bastone, l’acqua la trovi dovunque. Niente Google Map, niente cellulare. Solo mappe cartacee. Altroché Santiago de Compostela. Di più, molto di più. Eccola, la Terra di Mezzo, neanche fossimo sprofondati nel Signore degli Anelli.

Bosco ai Frati (sito internet qui), tra gli alberi rasoiate di luce. Pater noster in solitudine inginocchiato a una panca, un tuffo nella bellezza di faccia al Cristo di Donatello e poi via. Soffermati sul portale del convento. C’è lo stemma degli Ubaldini di Soli. È proprio lì che devi andare, su quel poggio battuto dal sole e dal vento. Un tempo vi svettava un tabernacolo con un’opera di un Della Robbia. Se la portò via un Gerini per abbellire la sua villa fiorentina. Da Soli scendi a Galliano, tagli per il corso senza fermarti. Hai camminato poco più di tre miglia. E però non correre. Guardati attorno. Sulla destra, appena dopo porta Fiorentina, nel palazzo dei Torrigiani si trovavano le stanze di proprietà medicea. La moglie di Lorenzo il Magnifico, nei giorni terribili della congiura dei Pazzi, venne proprio qui a nascondersi con i suoi figli. Si sentiva al sicuro quassù. Esci da “vetta porta” (porta Bolognese fu abbattuta un secolo fa ma il nome non è stato cancellato dal tutto) e sulla destra t’imbatti nello Spedalino. È lì da un millennio. Un antico ricovero per i pellegrini che agganciavano il passo dell’Osteria Bruciata, proprio nel cuore dei possedimenti ubaldini, la chiave di volta del loro potere. Gli affreschi hanno subito l’onta dei secoli (e delle candele) ma valgono una sosta veloce.

Oltre il paese la strada s’inoltra nei campi, sale, punta decisa verso le sorgenti pregiate di Marcoiano. D’estate trionfano grilli e campi di girasoli. Fai scorta d’acqua fresca. È la stessa che si gusta nei migliori ristoranti della Grande Mela con la differenza che qui la bevi alla fonte, tuffando il naso in una polla. Dal bosco – il sentiero è segnato – risali all’Osteria Bruciata. Girava voce che l’oste, una volta derubati gli ospiti più facoltosi, li uccidesse e poi, squartati ben bene, o li nascondesse nella foresta o – udite udite – li servisse in tavola a pezzettini. A sugo, con erbe di campo, con contorno di funghi. A scelta del cliente, insomma. E così ci faceva un doppio guadagno.

Il sentiero si getta su Sant’Agata a rotta di collo. Fermata vera, qui non si scherza. In chiesa, e di corsa, e al museo, magari dopo aver letto la storia (la leggenda?) della Santa e aver spulciato gli innumerevoli templi cristiani che ospitano le sue altrettanto numerose reliquie. Alla pausa culturale segua, è un ordine, il pasto. Alla botteghina del paese, naturalmente. C’è di tutto, come nei vecchi empori del West, ma soprattutto ci sono salumi superrimi. Assaggiare per credere. Se non è così, pago io.

Siediti nella piazzetta e divora schiacciata croccante e vin bono in una pozza di luce. Ultima tappa: Montaccianico. Con la promessa che prima di arrivare lassù devi aver studiato almeno i fondamentali per apprezzare il castello e chi lo fondò. La roccaforte è davvero importante, la posizione suggestiva, struggente, costituiva il perno difensivo dell’impero del cardinale Ottaviano, ghibellino e feroce nemico della Dominante. Per conquistarla i fiorentini impiegarono anni. La piegarono solo grazie al tradimento di un ramo della famiglia. Pecunia non olet.

Sei arrivato alla meta. Una ventina di chilometri, una meravigliosa giornata. Sempre che tu non preferisca lo struscio con panino di gomma tra i denti e la moglie che ti trascina a forza in un negozio di porcellane.

Riccardo Nencini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 marzo 2019

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