La produzione lisiana si muove dall’opera teatrale (L’acqua, 1928; La via della Croce, 1953; Aspettare in pace, 1957), al racconto breve (Favole, 1933; La nuova Tebaide, 1950; La faccia della terra; 1959; La mano del tempo,1965), al romanzo (Il paese dell’anima, 1934; Diario di un parroco di campagna, 1942), al diario-memoriale (Amore e desolazione. Diario 1° gennaio – 31 luglio 1944, 1946; La parlata dalla finestra di casa, 1973), alla poesia (Aria su le quattro corde, 1930).
La fede cristiana, vissuta in maniera totalizzante, senza dubbi o incertezze, rappresenta la solida base della poetica di Lisi: essa è fondata sulla profonda fiducia nella Provvidenza divina, sul sincero amore per le creature e la natura e sul rispetto per il mistero che avvolge la vita umana, in un’ottica lontana da angosce esistenzialiste. La religiosità di Lisi è intrisa di positività e non concede spazio a raffigurazioni disperanti del male o a immagini plumbee del dolore. Nella prosa di Lisi il dolore e il male sono presenti e intuibili, così come il peccato, solo in filigrana. Non vi sono mai, infatti, insegnamenti o morali: ogni esperienza è raccontata in relazione all’interiorità del narratore, come immagine del divino, e la quotidianità è velata da una sorta di trascendenza sospesa sul reale. Nella sua opera più nota, Diario di un parroco di campagna, l’anziano parroco del paese annota i piccoli eventi di ogni giorno che, nella loro semplicità, appaiono miracolosi: la religiosità e la saggezza popolare segnano i confini di un universo poetico in cui la consapevolezza del proprio limite umano e la pace dell’aldilà fungono da cardine.
Nel testamento artistico e umano di Nicola, La parlata dalla finestra di casa, il narratore ricostruisce la propria esperienza in ordine non cronologico ma interiore: amici e conoscenti, dai celebri intellettuali fiorentini ai semplici contadini di Scarperia, sono raffigurati in un affresco corale, dipinti con gioia, secondo un modello pittorico che pone le fondamenta nell’opera di Giotto e di Beato Angelico, dichiarate fonti di ispirazione. La critica ha notato una vicinanza con la poetica del realismo magico, nel segno di un’attitudine a credere in presenze ultraterrene: la voce narrante delle opere lisiane è caratterizzata, infatti, da un animo contemplativo, candido e anacronistico nella propria fede, e rimane sempre fortemente connessa con il reale, lontana dal misticismo estatico. La casa di Ponzalla, a metà strada tra Scarperia e il Giogo, viene scelta da Lisi come rifugio meditativo e creativo: così, il Mugello e Scarperia, in particolare, percorrono l’intera produzione di Lisi e divengono veri e propri paesaggi idealizzati dell’anima, abitati da personaggi sia reali che immaginari; questi ultimi sono descritti, attraverso l’ironia e l’allegoria, come paradigmi di un mondo autentico nella sua antica ritualità e finiscono per disegnare uno spazio interiore affettivo e poetico. La prosa di Lisi è misurata ma immediata, caratterizzata da uno stile controllato ed essenziale, quasi una mimesi dell’ottica dei semplici e della natura toscana che essa tratteggia: una scrittura confessionale, intrisa di spiritualità intensa e meravigliata di fronte all’armonia del creato cristiano, in cui la figuralità del reale è la cifra distintiva.
Stella Fecchio