PALAZZUOLO SUL SENIO – Era marzo del 1942, la guerra appariva ancora un brontolio lontano, e la notizia della visita pastorale del card. Dalla Costa tolse dal torpore invernale la valle di Campanara. L’Arcivescovo faceva capo al convento di Quadalto da dove partiva per visitare le parrocchie del comune e, quella volta, venne deciso che sarebbe stata visionata anche quella la chiesa di san Michele, che non vedeva un cardinale dalla visita di Cecconi nel 1886.

Gise’ venne incaricato di andare a prendere il presule al convento e partì, di buon ora, con il priore, don Grandi: entrambi avevano una somarella il prete ci stava a cavallo e Gise’ se la trascinava dietro per non stancarla troppo. Giunti a Ca’ di Carpine legarono le loro cavalcature agli anelli del muro della casa e si diressero al monastero. Trovarono Dalla Costa in preghiera in chiesa vestito in abito corale: talare rossa, rocchetto bianco, mozzetta e un bel paio di scarpe nere luccicanti che coprivano un paio di calzini paonazzi. Terminate le orazioni, il Cardinale mise la berretta e si incamminò di buon passo verso le somarelle distanti dalla chiesa un mezzo chilometro.

Non era di molte parole, Dalla Costa, teneva la fronte sopra il breviario e, di tanto in tanto alzava gli occhi quasi si volesse concentrare su di un pensiero che gli era balzato in capo per poi ritornare nella lettura. Montato a cavallo, Gise’ trascinò la bestia su per i sentieri, fino a che, arrivati sul piano, si attaccò alla coda per farsi trascinare lui stesso. Don Grandi rimase sempre saldamente in sella parlando, di tanto in tanto, delle miserie dei suoi parrocchiani e della sua speranza di andare a sostituire qualche sacerdote in curia, speranza celata dietro un poco convincente interessamento nei confronti della salute dei confratelli fiorentini. Passarono attraverso sentieri fioriti di primule e di violette, con ancora alcune rose invernali che resistevano all’ avanzare delle primavera. L’aria era dolce e il cielo terso raffreddava appena l’aria che si intiepidiva durante la mattina. Oltrepassate alcune siepi di rovo e d’albaspina giunsero a vedere la chiesa, il cui campanile svettava dietro una curva e sembrava attender la visita tanto gradita.

L’Arcivescovo cantò la messa e visitò la canonica osservando la povertà dei mobili e degli arredi. Visto che la miseria imperava in quel luogo, don Grandi, aveva stabilito che il pranzo sarebbe stato consumato a Castagneta, abitazione di Gise’, dove il cardinale avrebbe passato la notte nel piano superiore, messo a disposizione dei Conti Strigelli. Annina, moglie di Gise’, profuse tutto il suo impegno per allestire un pranzo degno di nota, ma non riuscì, con le poche sostanze raccolte, a mettere in tavola nulla di più che tagliatelle condite con un sugo di funghi secchi, formaggio e un salame trafugato dalla casa di una sua qualche cognata. Elia dalla Costa, piuttosto pallido in volto, impartì la benedizione sul cibo e sui commensali: ieratico, distante, quasi freddo, mangiò con impegno ogni cosa gli venne proposta. Seguì un lungo riposo nel piano superiore. Scese a sera inoltrata e si unì alla famiglia intenta a recitare il rosario dinanzi al camino acceso. Partì la mattina successiva lasciando, sulla tavola, qualche spicciolo e alcune caramelle ginevrine.

Gianfranco Gipo Poli

© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 febbraio 2020

 

 

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