Don Milani a lezione su una sdraio

MUGELLO – Si è tenuto sabato 20 gennaio a San Gimignano un seminario sulla figura di Don Milani. L’evento ha visto la partecipazione di figure di rilievo: tra queste Sergio Tanzarella, che è stato uno dei curatori delle opere complete di Milani nel Meridiano a lui dedicato, don Severino Dianich, fondatore e presidente dell’ATI (ass. Teologica italiana), Vanessa Roghi, storica e ricercatrice su temi educativi, Mariangela Maraviglia, scrittrice biografa di Adriana Zarri, Turoldo e Mazzolari, Pietro Domenico Giovannoni, studioso di La Pira e Balducci.

Tra i relatori anche il mugellano Andrea Banchi, che ha presentato il proprio contributo sul prete di Barbiana dal titolo “Il maestro don Milani: fare scuola ai ragazzi è credere in Dio”.
Ecco il testo integrale della relazione di Andrea Banchi:

Il maestro don Milani: fare scuola ai ragazzi è credere in Dio

Relazione in 4 quadri e 2 tesi

Primo quadro – Sono un parroco ma faccio scuola tutto il giorno: ve ne spiego il perché

3 gennaio 1962, Palazzo Vecchio

Don Milani incontra i direttori didattici fiorentini su invito di Fioretta Mazzei, assessore alla Pubblica Istruzione della Giunta La Pira. L’assessore svolge una breve presentazione, afferma di voler far conoscere don Lorenzo Milani ai direttori, ed essi a lui, perché tutte persone impegnate per i bambini, i ragazzi e per l’educazione.

Don Milani in inizio del suo intervento chiarisce come mai un parroco può fare della scuola la sua attività principale, anzi unica. Naturalmente questo avviene perché Barbiana ha 80 anime. Racconta che fa scuola perché vuol bene a questi ragazzi. Questa cosa affettiva non importa spiegarla, dirà. “Ho l’incarico di predicare il Vangelo”. I miei parrocchiani non intendono l’italiano, non son capaci di un discorso lungo, di un discorso complesso, “di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì, o nei pettegolezzi delle famiglie. Una lingua così povera non è assolutamente sufficiente per ricevere la predicazione evangelica”. Questa è la condizione di ordine pastorale che vi spiega un po’ perché mi occupo di questa cosa.

[…] “Alla fine è successa questa disgrazia d’innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro”.   

[…] “Sono partito con l’idea di fare della scuola il mezzo d’intendersi e di predicare, poi nel far scuola gli ho voluto bene ed ora mi sta a cuore tutto di loro, tutto quello che per loro è bene”.

E’ una scuola laica. Sono 25 ragazzi dai 10 ai 16 anni. Si fa scuola dalle 8 del mattino alle 8 di sera. 365 giorni nell’anno. Non si fa vacanza mai (1).

Questo estratto fa chiarezza di ciò che don Milani già indicava fin dall’inizio di Esperienze pastorali, quando concludendo la trattazione del Catechismo doveva sconsolatamente riconoscere che l’istruzione religiosa dei piccoli è tanto intensa quanto inutile: “non lascia nessuna traccia di sè al di là dell’età infantile”. Invece gli adulti vantano un abisso d’ignoranza religiosa, a causa della mancanza d’un  mezzo indispensabile: un minimo di preparazione linguistica e logica.  Poi parlando dell’esperienza svolta nella Scuola popolare don Lorenzo afferma che “quando un giovane operaio o contadino ha raggiunto un sufficiente livello d’istruzione civile, non occorre fargli lezione di religione”. Sui giovani illetterati tutto è stato inefficace “perché essi per pochezza intellettuale né avevano gusto di cercar queste cose, né potevano affrontarle con attenzione interiore, né possedevano sufficientemente la lingua ecc. da potersene servire” (2).

Senza istruzione, senza capacità di comprensione e d’utilizzo della parola, tutto è inutile. Il livello di vita di questi individui è destinato alla inevitabile attività di sussistenza, con orizzonti temporali brevi e ripetitivi, solo azioni elementari per sopravvivere, totale dipendenza dalla struttura sociale e di potere esistente, considerata come la natura, eterna e immodificabile. E’ la realtà della mezzadria, esistente da secoli, perpetuata nel tempo e profondamente interiorizzata.

Secondo quadro – Decisi che avrei speso la mia vita per la loro elevazione civile e religiosa

16 ottobre 1965, Barbiana

Don Milani ha già scritto e confronta il testo della Lettera ai Giudici con il suo avvocato, Adolfo Gatti, nominato d’ufficio dal Tribunale di Roma per la difesa in giudizio dall’accusa di apologia di reato. E’ una bella mattina soleggiata, sono seduti ad un tavolo sotto il pergolato, a fianco della canonica. Il priore legge il passo in cui spiega ai giudici i motivi per cui ha scritto la lettera incriminata.

[…] “occorrerà prima sapere come mai oltre che parroco io sia anche maestro.

La mia è una parrocchia di montagna. Quando ci arrivai c’era solo una scuola elementare. Cinque classi in un’aula sola. I ragazzi uscivano dalla quinta semianalfabeti e andavano a lavorare. Timidi e disprezzati.

Decisi allora che avrei speso la mia vita di parroco per la loro elevazione civile e non solo religiosa.

Così da undici anni in qua, la più gran parte del mio ministero consiste in una scuola.

Quelli che stanno in città usano meravigliarsi del suo orario. Dodici ore al giorno, 365 giorni l’anno.

[…] La questione appartiene a questo processo solo perché vi sarebbe difficile capire il mio modo di argomentare se non sapeste che i ragazzi vivono praticamente con me. Riceviamo le visite insieme. Leggiamo insieme: i libri, il giornale, la posta. Scriviamo insieme” (3).

Rispetto alle motivazioni espresse nel ‘62 ai direttori didattici fiorentini qui il priore aggiunge una valutazione negativa sul servizio scolastico che viene fornito ai piccoli montanari. La pluriclasse di Barbiana lasciava i piccoli scolari semianalfabeti. Crescendo sarebbero stati contadini o pecorai  incapaci di protagonismo, così poveri e ignoranti che le ragazze non li avrebbero voluti come marito. Questa valutazione è nuova e riguarda come si fa scuola: tema che diverrà via via più importante per don Milani e i suoi ragazzi. Entrando sempre più nel merito si afferma in Lettera ad una professoressa, con accenti che oggi diremmo tipici di papa Francesco: “Ma se si perde loro, [i ragazzi difficili, i Gianni che non sanno esprimersi], la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile” (4).

Dunque a fine ‘65 per il priore l’elevazione culturale dei barbianesi è un valore valido in sé, non più strumentale all’evangelizzazione.

Pertanto la scuola deve funzionare, deve insegnare, deve riuscire ad offrire una pari opportunità di partenza a tutti i bambini, solo dopo ha senso parlare di merito. Per questo il differenziale culturale di famiglia tra Gianni e Pierino va affrontato con interventi formativi che aumentano le ore di lezione per i ragazzi svantaggiati e che mettono a loro disposizione esperienze che invece i più favoriti hanno a casa propria senza alcuna fatica: musica, teatro, cinema, nuoto, sci …   

Terzo quadro – Se vuoi trovare Dio e i poveri devi fare scuola

7 gennaio 1966, Barbiana

Arriva moltissima posta a Barbiana dopo la Lettera ai Giudici, ma il priore oggi sta male, è disteso su un lettino da campeggio in mezzo ai tavoli della scuola. Carla risponde alle lettere in modo sbrigativo, ma Adele Corradi si accorge che la destinataria di quella lettera è Nadia Neri, una giovane studiosa napoletana (5). Avverte allora don Lorenzo che sta cercando di dormire e che a fatica si alza per scrivere rapido una risposta.

“Cara Nadia, […] Arriva troppa posta e troppe visite e io sto piuttosto male. […] Ti dispiacerà che io faccia leggere la posta ai ragazzi, ma dovresti pensare che a loro fa bene. Sono poveri figlioli di montagna dai 12 ai 16 anni. E poi te l’ho già detto, io vivo per loro, tutti gli altri sono strumenti per far funzionare la nostra scuola. Anche le lettere ai cappellani e ai giudici sono episodi della nostra vita e servono solo per insegnare ai ragazzi l’arte dello scrivere cioè di esprimersi cioè di amare il prossimo, cioè di fare scuola.

[…] E allora se vuoi trovare Dio e i poveri bisogna fermarsi in un posto e smettere di leggere e di studiare e occuparsi solo di far scuola ai ragazzi. […] Naturalmente bisogna fare ben altro di quel che fa la scuola di stato con le sue 600 ore scarse. E allora chi non può fare come me deve fare solo doposcuola il pomeriggio, le domeniche e l’estate e portare i figli dei poveri al pieno tempo come l’hanno i figli dei ricchi.

Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura” (6).

Peccato non leggerla tutta! E’ una lettera straordinaria per intensità, che ci svela molto della limpida intimità di don Lorenzo. Vi si incrociano due temi, quello spirituale e quello relativo alla scuola, s’intrecciano e divengono un discorso solo.

C’è una frase d’un rigo “insegnare ai ragazzi l’arte dello scrivere cioè di esprimersi cioè di amare il prossimo, cioè di fare scuola” che esplicita bene come per don Lorenzo la cultura è valida solo se è comunicata, perché così diviene relazione. Il rapporto con gli altri conduce poi all’amore del prossimo, e questa è davvero un’affermazione che esprime fiducia completa nel senso d’umanità diffuso che si perfeziona se solo ne nasce l’occasione. Amare gli altri infine è fare scuola: come non regalare i frutti della tua fatica! Far sì che ognuno possa appropriarsi di ciò che impara perché a sua volta lo ponga a disposizione di altri piccoli …

Occorre appuntarsi questo pronunciamento così importante ed espresso in modo così poco solenne, ad esaltare l’autenticità d’un uomo stanco e malato.

Al termine della lettera ci aspettano però altri tesori. Non a caso le parole che seguono risultano tra le più citate di don Milani: “Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà trovarlo per forza perché non si può far scuola senza una fede sicura”.

E’ sul finale che vorrei richiamare la vostra attenzione. Vi è qui la ricca esperienza d’un maestro che conosce il sacrificio e l’esaltazione dell’insegnamento, il significato di mettersi in gioco nel processo di trasformazione dei ragazzi, che crescono e rilanciano con nuove richieste.

Ma che significa davvero non si può far scuola senza una fede sicura? Non credo abbia un senso semplicemente religioso, piuttosto ritengo che il priore voglia dire che quando scommetti sui ragazzi vuol dire che hai acquisito in te il senso della vita, e questo ti trascina in un generoso abbandono a svolgere quello che devi. C’è un mistero che accompagna il crescere del livello di umanità delle persone, fa salire la cordialità dei rapporti, cresce e si propaga ovunque facendo diverse tutte le cose. Quando ti travolge, tu assecondi questa vitalità fidandoti, serenamente in pace.    

Quarto quadro – La scrittura collettiva fa crescere tutti!

Una mattina del giugno 1967, Firenze – Via Masaccio (a casa di Alice Weiss)

Da pochi giorni Lettera ad una professoressa è nelle librerie. Pier Francesco Listri, giornalista della Nazione arriva dunque a casa della mamma di don Milani, dove sa di trovare il priore, per una intervista. Don Milani non è però in grado di parlare, ha la bocca rovinata dalle radiazioni, e incarica Adele Corradi di parlare per lui. La conversazione s’incentra sulla scrittura collettiva, si diceva infatti da parte di molti che il libro è scritto da Milani e che attribuirlo alla Scuola di Barbiana è una finzione letteraria.

Quando Listri se ne va, Adele torna dal priore per riferirgli di cosa ha parlato col giornalista. In particolare gli ha raccontato come è nato il libro. Ora però, che è sola con don Lorenzo, gli scappa detto che a lei sembrava che il libro fosse cosa sua.

Scossando la testa e sorridendo: “Lei non sa quanto mi piace questo libro”, le risponde il priore.

Adele rimane perplessa, poi in una fase successiva ci ripensa e così scrive: “Ma ora gli do ragione. Non sarebbe stata così la Lettera se l’avesse scritta da solo. Se l’avesse scritta da solo sarebbe stata diversa. Sono diversi gli altri suoi scritti. Io in quello che ha scritto da solo ci trovo ogni tanto un po’ di retorica […] E lo stile, alla Lettera, mi pare proprio che glielo abbiano dato i ragazzi. Ma certo nessuno di loro avrebbe saputo scrivere in quel modo senza l’aiuto degli altri. E anche a don Lorenzo non gli sarebbero certo nate in testa tante idee senza parlare con i ragazzi, senza ascoltarli, senza confessarli, senza discutere con loro. […] Per questo è giusto che di quegli otto che per nove mesi, tutte le mattine, hanno lavorato a quel libro non si sappiano i nomi. Loro per primi hanno riconosciuto e riconoscono che è giusto. […] Parla chiaro il loro lungo silenzio: autore della Lettera è la Scuola di Barbiana” (7).

Ho voluto dedicare un quadro alla scrittura collettiva che è l’esemplificazione di come ha funzionato la scuola di Barbiana. Siamo ormai alla fine della breve vita di don Lorenzo. Questa straordinaria esperienza educativa plasmata sui monti del Mugello, dopo averla discussa ed esemplificata con la scuola di Piàdena di Mario Lodi, è una pietra d’inciampo con cui confrontarsi per chiunque voglia fare il maestro.

Diceva Lodi, il maestro del Movimento di Cooperazione Educativa, “sul piano metodologico [il priore] aveva operato durante gli anni un cambiamento radicale: […] dall’autoritarismo di ‘trasmettitore’ di cultura, di principi e di valori, era passato a quello di guida alla scoperta dei valori partendo dalle motivazioni della vita” (8).

I suoi allievi dunque lo superano scrivendo la Lettera? Questo è sempre l’obiettivo del maestro, ma è il priore che gli offre questo metodo, difficile perché richiede molta pazienza, molta dedizione, e soprattutto presuppone una serie di valori e di abitudini quotidiane del tutto condivise. Insieme si è in grado di esprimerci meglio, di rappresentare le varie ottiche di visuale, c’è più chiarezza, il discorso è piano, maturo e in grado di esser compreso da tutti (9).

Per cantare il gregoriano occorrono comunità coese, armoniche, disciplinate, che vivono in totale condivisione, così è anche per scrivere un libro utilizzando la scrittura collettiva. Nessuna voce svetta, nessuno sgomita per farsi notare, non c’è mai prevaricazione per far pesare il proprio punto di vista, al centro domina la realizzazione di un testo di tutti che riporta il frutto di un lavoro di limatura continua (michelangiolesca, come quella per liberare i Prigioni racchiusi in un blocco di marmo …).

A conclusione di questo schematico percorso vi presento due brevi tesi, non originali, ma con l’intento di offrire ulteriori chiavi di lettura di situazioni persone vicende, complesse e controverse.

Prima tesi: Milani, un uomo, un prete, in evoluzione continua

Il giornalista Giorgio Pecorini, grande amico di don Lorenzo, parla di tre conversioni di don Milani (10) e di una sua evoluzione continua, in tutto l’arco della vita, come si evince anche dai quadri precedenti. La triplice conversione la divide in politico-sociale, cultural-educativa-linguistica, pastoral-liturgica-anticatechistica. Non avvengono insieme, le prime due vanno spedite nella conquista di una consapevolezza crescente dei propri diritti-doveri di cittadino e di maestro. La terza è più lenta e difficile nella ricerca più produttiva e coerente di fare il prete. “Un prete costretto a inventarsi maestro, per la situazione in cui chiesa e stato l’han messo, a furia di inadempienze e omissioni, ma contemporaneamente deciso a non rinnegare la propria dignità e libertà responsabile di cittadino” (11).

Se a San Donato il riferimento politico è la Dc, perlomeno per la parte che don Milani credeva o sperava fosse di matrice e coerenza cristiana, a Barbiana guarda verso un Psi precraxiano. Se a San Donato è un maestro che spera di convertire qualche giovane, a Barbiana rinnega questa prospettiva sostituendola con l’impegno laico e civile di dare ai ragazzi gli strumenti linguistici e logici necessari a farsi cittadini-sovrani. Ma lasciando loro libertà e responsabilità di usarli o di rifiutarli, di salvarsi l’anima o di perderla. Anche la lingua cambia, sempre meno intellettuale (secondo il senso che dà la cultura istituzionalizzata), diviene più vicina alla cultura concreta dei poveri, ovvero coloro che sono esclusi dal potere.

Fabrizio Borghini, giornalista fiorentino che ha scandagliato con certosina pazienza “gli anni del privilegio” del giovane Milani (12), evidenzia con l’ausilio di molte testimonianze che c’è un grande lavorìo interiore che durante l’adolescenza porta il “signorino” a riflettere e lo condurrà poi a rifiutare la sua provenienza, maturando “un insistito stato di disagio provocato dal netto squilibrio sociale fra il tenore di vita della sua famiglia e gli altri”. Dunque Milani “abbraccia il classismo come riscatto dalla sua condizione di privilegiato” (13). Questo sofferto cambiamento lo predispose alla conversione al cristianesimo e alla decisione di farsi prete.

Credo che queste evidenze consentano di poter escludere affermazioni generiche su cosa pensasse don Milani. Se non si contestualizza e si data in modo attento, il continuo cammino di ricerca e di critica serrata, che gli è così tipico, non lascia spazio ad attribuizioni poco accorte.

Seconda tesi: occorre una nuova Lettera, ma chi la scrive, e a chi?

Ci sono parecchie persone che vorrebbero riproporre Lettera ad una professoressa, aggiornandola alla situazione, 56 anni dopo. Se c’era selezione nella scuola classista degli anni ‘60 che bocciava i figli di contadini e operai, oggi la scuola fa lo stesso nei confronti dei ragazzi più difficili, provenienti da contesti di emarginazione o di lontananza dalla città. Lo strumento classista di selezione è sempre la bocciatura e l’abbandono della scuola. Si tratta spesso di bambini stranieri, figli di madri sole, bambini di famiglie povere e numerose. Numericamente è un bambino su 5.

Su questo tema il testo esiste già. Non ha la lingua secca e precisa dei barbianesi, ma è davvero ricco di dati: l’ha fatto il Garante dell’Infanzia e della Adolescenza nel giugno 2022, s’intitola La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale (14). Ci dice che oltre ai bambini che lasciano la scuola ci sono quelli che arrivano in fondo al corso di studi, ma non imparano neppure il minimo di ciò che è previsto dagli studi che hanno svolto (cd. dispersione implicita). Benché l’analisi sia chiara, e il libro contenga numerose schede per interventi mirati, evidentemente non ha ricevuto l’attenzione che meriterebbe, nè dai genitori, né dagli insegnanti, nè tantomeno dall’attuale Governo.

Il libro non è comunque riuscito a porre al centro del dibattito pubblico il tema della scuola come strumento privilegiato per l’attuazione dell’art. 3 della Costituzione, cioè la pari opportunità per tutti i cittadini.

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  1. Cfr. Don L. Milani, Tutte le opere, Tomo primo, Milano, Mondadori, 2017 p. 1159 e segg.

  2.      Cfr. op. cit. p. 55 e segg.

  3. Cfr. Op. cit. p. 940.

  4. Cfr. Op. cit. p. 698.

  5. Divenuta in seguito psicologa e analista di fama, studiosa di Jung e di Etty Hillesum.

  6. Cfr. Op. cit., Tomo secondo, p. 1221, vedi anche A. Corradi, Non so se don Lorenzo, Milano, Feltrinelli, 2012, p. 100.

  7. Cfr. A. Corradi, Non so se don Lorenzo, Milano, Feltrinelli, 2012, p. 132- 133.

  8. Cfr. P. Cristofanelli, Pedagogia sociale di don Milani, Bologna, EDB, 1975 p. 233. Riporta una conversazione di Mario Lodi con Renato Francesconi su don Milani.

  9. Su pregi e caratteristiche della scrittura collettiva é illuminante la lettera di don Milani a Mario Lodi del 2 novembre 1963, scritta in seguito ad una visita a Barbiana del noto pedagogista con Giorgio Pecorini. Ad essa è allegata la Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena. Cfr. Don L. Milani, Tutte le opere, Tomo secondo, Milano, Mondadori, 2017, p. 946 e segg.

  10.    Cfr. Don L. Milani, I care ancora. Lettere, progetti, appunti e carte varie, a cura di G. Pecorini, Bologna, EMI, 2001, p. 210 e segg. 

  11.    Anche Pier Paolo Pasolini era convinto di questo: la vera conversione non è quella del ‘43, ma è molti anni dopo e consiste nella riscoperta del mondo laico, borghese. Insieme a pesanti critiche Pasolini riconosce a Milani di imporsi come personaggio fraterno, figura disperata e consolatrice, per lo spirito critico che egli ha esercitato sempre, nei riguardi degli uomini e della società. Cfr. P.P. Pasolini, Scritti corsari, Milano, Garzanti, 1975, p. 125 (è la recensione di Lettere alla mamma, ne Il Tempo dell’ 8 luglio 1973).

  12. Cfr. F. Borghini, Lorenzo Milani. Gli anni del privilegio, Milano, Jaca Book, 2004.

  13. Cfr. Op. cit. p. 23.

  14. Cfr. Autorità Garante per l’Infazia e l’Adolescenza, La dispersione scolastica: un’analisi multifattoriale, Roma, Tip. Eurosia, 2022.

Andrea Banchi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 gennaio 2024

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