La gualchiera è un macchinario detto anche follone, o a volte l’intero l’edificio di epoca preindustriale che lo ospita. Dedicato in parte alla lavorazione della carta, era soprattutto usato per l’infeltrimento e battitura della lana. La macchina funzionava con l’energia idraulica e per questo motivo in antico veniva installata vicino a canali e mulini. Pensate, era già in uso in epoca romana e poi longobarda (100-700 d.C.), tanto che una traccia di questo sistema e marchingegno è stata addirittura identificata negli scavi archeologici di Pompei. Il macchinario fu usato sempre nei secoli successivi finendo per dare il nome a tanti luoghi, a cominciare dalle Gualchiere di Remole sull’Arno. Anche in Mugello se ne trovavano diversi sistemati prevalentemente nei mulini; ve ne sono esempi nella zona di Sant’Agata (vedi il Mulino Parrini) e Barberino, probabilmente per il collegamento che la cittadina ebbe con Prato nel trattamento dei filati tra Settecento e Novecento. “Tra stridor di mulini e di gualchiere”, dice il Carducci in una sua bella poesia spiegandoci il mistero, anche se poi quest’attività è stata sorprendentemente dimenticata da tutti in pochi decenni.
Nota dell’autore: Nel lontano 1333 Giotto era appena tornato a Firenze da Napoli quando una rovinosa alluvione rischiò di danneggiare anche la sua bottega zeppa di opere pregiate. Firenze fu infatti colpita da questa calamità che, oltre a danneggiare la città, distrusse tutti i mulini e le qualchiere all’epoca collocate su zattere di legno ancorate alle sponde dell’Arno. Una delle cause della calamità fu attribuita proprio a questa scomoda presenza, in quanto avrebbe ostacolato il libero corso del fiume. Il comune deliberò che nessuna nuova gualchiera potesse essere ricostruita per 400 braccia a valle del Ponte alla Carraia e per 2000 a monte del Ponte di Rubaconte (Ponte alle Grazie). Si pensò che i governanti avessero preso la palla al balzo. Era da tempo che volevano porre rimedio alla disastrosa situazione igienico sanitario con quel continuo battere dei magli giorno e notte che non facevano riposare. Inoltre, il grande uso di orina come ammorbidente delle fibre di lana, vi assicuro che non rendeva l’aria per niente profumata e salubre.
Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 5 dicembre 2019