PALAZZUOLO SUL SENIO – Fra le innumerevoli storie che, più o meno dimenticate, ruotano attorno alla data della liberazione d’ Italia dal giogo nazi-fascista c’ è anche quella di Giovanni Bandini, ucciso dai partigiani il 10 luglio 1944.
Giovanni Bandini, padre del più famoso Lorenzo pilota di formula uno morto in un incidente durante il gran premio di Monte Carlo del 1967, aveva a lungo vissuto nella Libia italiana dalla quale, dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, se ne era andato per fare ritorno al suo paese: San Cassiano di Brisighella. Lì aveva aperto una macelleria e viveva con la moglie e i due figli.
Durante la permanenza africana sembra che avesse fatto parte del corpo di repressione antipartigiano attivo nella colonia e mostrava spesso fotografie di ribelli libici impiccati alla forca dai sui compagni.
Nel marzo del ’44 vennero uccisi due partigiani a Marignano, vicino a Brisighella, e Bandini venne riconosciuto come il responsabile di questo fatto di sangue. Per lungo tempo gli uomini della trentaseiesima brigata Garibaldi “Bianconcini” diedero la caccia al colpevole.
Ai primi di luglio, infine, riuscirono ad arrestarlo e lo condussero a Ca di Vestro, nel comune di Palazzuolo, dove era situato il comando della brigata e dove operava il “tribunale del popolo” incaricato di giudicare coloro che venivano accusati di compiere atti contro la resistenza. Il comandante della brigata era Luigi Tinti detto “Bob” (1920-1954) e il commissario politico era Guido Gualandi detto “il Moro” (1908-1964).
Anche Giovanni Bandini, come buona parte di coloro che venivano giudicati da quel “tribunale” fu riconosciuto colpevole e condannato alla “cura del cespuglio”, come ricorda don Rodolfo Cinelli, presso la Ca di Sotto, poco distante dalla sede del comando. Come si può ben supporre questa “cura” era la condanna a morte che per Bandini fu eseguita il 10 luglio del 1944.
Di lui e della sua memoria si è perso il ricordo e solo sporadicamente se ne è parlato in alcune pubblicazioni. Queste poche righe vogliono essere uno spunto alla riflessione riguardo a quanto doloroso sia stato percorrere il sentiero che ha condotto alla liberazione del nostro Paese. A quanto ancora ci sia da scavare per ricomporre l’insieme della storia comune e fare si che diventi una storia condivisa e da osservare con la dovuta oggettività e onestà.
Gianfranco Poli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 24 Aprile 2023