MUGELLO – Qualche giorno fa è stata intitolato alla parlamentare vicchiese Bianca Bianchi lo spazio Verdecultura, curato dallo Studio Noferini, in viale IV Novembre a Borgo San Lorenzo. Ecco la biografia completa. Su di lei nei giorni scorsi abbiamo pubblicato anche un articolo di Massimo Biagioni (articolo qui).
Tra le ventuno costituenti, solo due erano socialiste: Lina Merlin e Bianca Bianchi, tutte e due insegnanti. Bianca Bianchi era nata a Vicchio, in provincia di Firenze, in una famiglia di modeste condizioni: il padre, Adolfo, fabbro e segretario della locale sezione socialista, morì quando lei aveva sette anni e allora la madre, insieme con lei e con la figlia maggiore, si trasferì a Rufina presso l’abitazione dei suoi genitori. Fu proprio il nonno, un contadino antifascista, a stimolare Bianca con discussioni letterarie e religiose e a darle i primi rudimenti di politica. La giovane rivelò ben presto un grande interesse per lo studio e – grazie all’appoggio del nonno e nonostante la contrarietà della madre – si trasferì a Firenze per frequentare la scuola magistrale prima e la Facoltà di Magistero poi.
Nel 1939 si laureò con ottimi voti in Filosofia e Pedagogia con il prof. Ernesto Codignola, con una tesi sul problema religioso in Giovanni Gentile che fu pubblicata l’anno successivo. Insegnò in diversi istituti superiori di varie città ma i suoi metodi, ispirati alla libertà e al dialogo, erano in contrasto con i principi della scuola fascista. Entrata più volte in conflitto con i suoi dirigenti, abbandonò con grande fierezza l’insegnamento in Italia, accettando nel 1941 un incarico in Bulgaria.
Durante la campagna elettorale acquisì da subito molti consensi tra la base, anche grazie alle sue abilità oratorie, al punto che le fu proposto di presentarsi come capolista alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Ciò però suscitò non poche reazioni. In particolare i vecchi militanti, sventolandole sotto gli occhi la “tessera ingiallita dell’antimarcia” (“come se l’anzianità fosse sinonimo di intelligenza”), le rimproveravano, di fatto, la giovinezza: vedevano in lei “lo strumento giusto per accrescere voti e attirare le donne fuori dall’indifferenza. Servivo insomma ai fini della propaganda elettorale, ma in cuor loro speravano che non venissi eletta”. E, a ulteriore dimostrazione di quanto sia stato difficile il suo rapporto con il partito, a distanza di anni Bianchi racconterà che ai tempi della Costituente le fu chiesto “di firmare una lettera di dimissioni preparata in antecedenza”. Come capolista fu indicato Sandro Pertini, ma Bianca ottenne il doppio delle sue preferenze. Nel novembre del 1946 venne poi eletta al Consiglio comunale di Firenze, anche qui con il maggior numero di preferenze.
vestiva un abito color vinaccia e i capelli lucenti che la onorevole porta fluenti e sciolti sulle spalle le conferivano un aspetto d’angelo. Vista sull’alto banco della presidenza dove salì con i più giovani colleghi a costituire l’ufficio provvisorio, ingentiliva l’austerità di quegli scranni.
E commenta il giornalista Jader Jacobelli, che seguì i lavori della Costituente per la rubrica Oggi a Montecitorio: “La chiamavano tutti “la Biondissima”, come se fosse una vamp, e non una delle deputate più preparate che siano passate da Montecitorio”.
Inizialmente Bianca non capisce cosa stia succedendo, poi, metto insieme il mosaico di parole e di sguardi e: Dio, ce l’hanno con me. Sono io l’accusata. Non vogliono che parli sulle dichiarazioni del Governo. Chi mi ha autorizzato? Ho avuto forse l’incarico dal partito? Non so che ogni intervento in aula deve essere discusso e approvato dagli organi direttivi? […]. Non si può parlare quando si vuole […]. Posso essere brava a fare un comizio ma, che diamine, parlare alla Camera è un’altra cosa […]. La più accanita contro di me è Lina Merlin: ma guarda, penso, una donna contro un’altra donna, dovrebbe sostenermi, aiutarmi. Sono ferita nell’amor proprio e decido di non permettere nessun boicottaggio su di me. […] è diventata una sfida. Ingoio saliva amara, la pelle mi brucia addosso come fosse stata frustata, ma resto in silenzio. Non siamo i rappresentanti di coloro che ci hanno dato il voto? Per loro parlerò.
Il 22 luglio 1946, quando le viene data la parola, ha un momento di panico, ma poi inizia a parlare con calma e saggezza come si addice a un’aula parlamentare, quasi che una sapienza antica guidi il pensiero che non ha più paura. Quando finisco il presidente si alza, viene verso di me, mi stringe la mano e si congratula: l’assemblea si leva in piedi con un applauso prolungato. I miei colleghi di partito mi accolgono sorridenti. Il giorno dopo un giornale intitolerà A Montecitorio nasce una prima attrice giovane.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 13 marzo 2022