
SCARPERIA E SAN PIERO – Gabbiano è una splendida zona collinare situata a nord di San Piero a Sieve. Vi si giunge percorrendo la SP 129 e poi la Via di Gabbiano, che abbandonato il piano della Sieve poco a monte delle Mozzete, sale il piccolo promontorio disegnato dai torrenti dell’Anguidola e del Rimotoso.
La strada corre lungo uno stretto crinale che regala scenari incantevoli, con panorami suggestivi degradanti verso il piano alluvionale dei due torrenti. Il percorso si conclude in prossimità di Sant’Agata, all’innesto con la strada proveniente da Galliano, entrambi diverticoli minori o parti conclusive di un itinerario molto più importante che in antico saliva al Passo dell’Osteria Bruciata.
La frazione di Gabbiano si adagia nella parte mediana di questo tracciato, individuabile in un nucleo distinto ma anche in singole costruzioni collocate ai margini della strada, nelle quali spesso si riconoscono esempi di quell’architettura rurale tipica delle Toscana e delle coloniche più belle del Mugello.
Una zona probabilmente già frequentata in epoche remote, come lascia intuire la matrice latina del toponimo ma che non ha mai prodotto un’evoluzione urbana significativa. Dagli studi relativi all’organizzazione territoriale dei popoli nella prima metà del XIV secolo, sappiamo che nel marzo del 1350, era in Gabbiano un “resedio” (insieme di edifici) con più case, un cortile, un’aia, un forno ed una capanna.
Ad assistere spiritualmente questa piccola realtà urbana, doveva essere già presente la chiesa di San Lorenzo indicata nelle Rationes Decimarum del 1274-1276 e riconfermata poi negli stessi registri del 1302-1303.
Gli storici concordano sull’ipotesi che il piccolo luogo di culto abbia avuto origine e fondazione grazie ad un ramo cadetto dell’antica casata dei Da Cignano, ed è plausibile supporre che inizialmente il luogo avesse anche funzione di ospizio per il pellegrini che vi transitavano verso l’Appennino.
La chiesa fu per lungo tempo prioria dei Vallombrosani e come tale è ricordata in documenti del 1331 e del 6 ottobre 1372, dopo la visita di Don Simone da Gaville, canonico di quella congregazione.
Sul finire dello stesso secolo ebbe la guida di sacerdoti secolari della Diocesi fiorentina ma dopo la rinuncia (1393) di Rodolfo da Pulicciano, presbitero del duomo cittadino, la sede era divenuta vacante ed il patronato affidato al popolo. I parrocchiani, in accordo con Don Filippo de’ Medici, pievano di San Piero a Sieve, avevano facoltà di eleggere il nuovo rettore.
Dopo il 1496 la chiesa di San Lorenzo tornava a far parte della giurisdizione vallombrosana, per la nomina a priore di Tommaso di Lorenzo da Prato, conferitagli con una Bolla di Papa Alessandro VI.
Ed era ancora un vallombrosano Don Liberio Baralli da Castelfiorentino, il monaco pro tempore che ebbe in cura la chiesa nella prima metà del Seicento apportandovi i significativi interventi di ristrutturazione interna ed esterna ancora apprezzabile ai nostri giorni.
Nei tempi successivi la chiesa era affidata all’abate di Santa Maria a Vigesimo, canonico della stessa Congregazione e questo almeno fino alla soppressione degli Ordini monastici imposta dal regime francese agli inizi dell’Ottocento.
Nel corso dello stesso secolo fu parroco in San Lorenzo, Don Luigi Cipriani di San Piero a Sieve, che resse la parrocchia per ventisei anni. A lui, nel primo Novecento, seguirono altri secolari della Diocesi fiorentina, che si alternarono nei periodi di vacanza, durante i quali la chiesa era associata a quella di San Michele a Lumena. Nel 1970 vi era priore Padre Guido Chiarlo e più tardi, fino al 1994, la chiesa tornò ad avere il sostegno di Don Palanti parroco di Lumena.
Il complesso parrocchiale che vediamo oggi, mostra una struttura compatta, quasi anonima, percepibile dal campaniletto a vela sull’angolo posteriore destro di ricostruzione recentissima. Il fianco sinistro della chiesa è a stretto contatto con la strada, caratterizzato da un paramento a vista di bozze accapezzate, che portano i segni di periodici risanamenti. Nella parte mediana è collocato un robusto barbacane di rinforzo che si eleva fino al livello di copertura. Poco a sinistra di questo resta apprezzabile un grande portale tamponato.
Ai due estremi dell’immobile, l’evidente diversità del paramento, indica la presenza di due corpi di fabbrica aggiunti in tempi diversi, relativi alla sacrestia nella zona absidale e al portico d’ingresso.
La chiesa si presenta con un fronte completamente intonacato, che si affaccia su di un piccolo sagrato a destra del quale si collocano gli ambienti della canonica.
La facciata vera e propria è preceduta da un portico aggiunto agli inizi del Novecento, delimitato da tre aperture con volta a tutto sesto, con le laterali ridotte alla base da un muretto basso. Sotto il portico, insieme a pochi resti di pitture murali, restano visibili le lapidi commemorative dei sacerdoti Don Luigi Cipriani e Don Attilio Piersanti e quella dei reduci della Grande Guerra.
Ancora sotto il portico, sulla parete destra era appesa un tempo, una Croce Penitenziale in legno con i simboli della Passione databile alla fine del XIX secolo.
L’ingresso alla chiesa è delimitato da un elegante portale in pietra serena, con trave modanata e timpano interrotto dal simbolo dell’Ordine Vallombrosano. L’epigrafe in latino ricorda il nome del committente, Liberio Baralli, e l’anno della realizzazione, il 1635.
L’interno è a navata unica e sorprende per l’eleganza e la ricchezza della sua architettura, che richiama immediatamente allo stile tipico dei luoghi di culto vallombrosani.
Per motivi di sicurezza, l’aula ora è spoglia anche del più piccolo elemento di arredo ma non è difficile immaginare il suo aspetto e quali fossero le emozioni trasmesse in passato da un ambiente come questo.
La copertura è divisa in due campate, sorrette da volte a crociera e ben gli si adatta il termine di “Volta reale” adottato dagli storici del passato.
Gli altari laterali sono due, collocati in prossimità dell’ingresso e di esecuzione speculare. Hanno la mensa sorretta da mensole a doppia voluta, impreziosita dall’effige di cherubini. Quello di sinistra presenta un timpano arcuato, interrotto dal monogramma mariano, vi si conservava una Madonna col Bambino prossima allo stile di Jacopo Vignali.
Al centro dell’aula, prima di salire i gradini del presbiterio, una lapide dall’epigrafe consunta, indica il luogo di sepoltura dei parroci, realizzato dal Baralli verso la metà del XVII secolo.
Il presbiterio è delimitato da una balaustra con colonnette quadrangolari apposta nel 1760. L’Altar Maggiore è in pietra serena, dedicato a San Lorenzo martire, come si legge nell’incisione sulla trave. Anche questo fa parte della radicale ristrutturazione della chiesa compiuta da Don Liberio Baralli nella prima metà del Seicento. La mensa poggia su quattro esili colonnette con capitelli figurativi a piccole foglie d’acanto.
Sotto l’altare una lapide ricorda il nome del committente e la data di esecuzione (1632) ottenuta col beneplacito del Reverendissimo Tommaso Davanzati presidente generale di Vallombrosa.
Ai lati dell’altare, sulla base delle alzate, è scolpito il simbolo dell’ordine vallombrosano. Sopra queste si elevano le colonne sulle quali poggia il grande timpano, interrotto dal simbolo eucaristico.
Dietro il ciborio di pietra serena finemente lavorato, resta l’imposta per una grande tela dipinta ad olio della Madonna col Bambino e i Santi, Lorenzo, Bernardo degli Uberti, San Giovanni Gualberto e un Santo Vescovo, forse San Pietro Igneo.
La tela, ora conservata nella Raccolta di arte sacra Don Corrado Paoli a Sant’Agata, è tradizionalmente attribuita a Jacopo Vignali, commissionata da Liberio Baralli nel 1632, stesso anno di costruzione dell’Altar Maggiore. La rimozione del dipinto dall’imposta, ha riportato in luce frammenti di uno splendido affresco databile agli inizi del XV secolo.
Dell’opera originale restano visibili, solo il volto della Vergine e parte di quello del Bambino, precedenti una struttura con linee geometriche che potrebbero appartenere ad un trono. All’Altar Maggiore si affiancano due portali laterali in pietra serena datati al 1680 che danno accesso alla sacrestia.
Entrambi recano sulla trave un timpano a conchiglia finemente scolpito e interrotto da un fregio con tre pigne; simbolo che si ripete anche sulla chiave dell’arco di un bel lavabo di pietra, collocato sulla parete posteriore della sacrestia.
Tornati all’esterno, poco prima del sagrato e a stretto contatto con la strada, si colloca un esile tabernacolo con l’immagine in terracotta policroma della Madonna col Bambino. La lapide sottostante, riporta i nomi dei soldati di Gabbiano reduci della seconda Guerra Mondiale. Come la precedente sotto il portico, relativa al primo conflitto, fu apposta in onore e come ringraziamento alla Madonna, che aveva protetto i soldati durante le due guerre, permettendo a tutti di tornare illesi alle proprie case di Gabbiano. Due episodi analoghi che resero meno tristi momenti fra i più difficili della nostra storia; una rarità o un privilegio del destino che non ci è dato rilevare in altre comunità del Mugello.
Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 1 marzo 2025