A questo punto, è bene ricordare che un mammifero è un animale a sangue caldo, coperto di peli e che allatta i piccoli. Esistono tre tipi di mammiferi: i Monotremi (echidne ed ornitorinchi), che depongono uova, i Marsupiali, che partoriscono embrioni ai primi stadi di sviluppo, ed i Placentati, che partoriscono prole sviluppata (completamente o quasi), perché sono dotati di placenta. Gli studi di Heidmann (e non solo) hanno dimostrato che i retrovirus che producono le sincitine hanno infettato le diverse linee evolutive dei mammiferi in tempi diversi: i Marsupiali (da 80 milioni di anni), i Primati (di cui anche noi facciamo parte, da 40 milioni di anni; i Roditori ( da 20 milioni di anni) e i Ruminanti (da 30 milioni di anni). Invece i Monotremi non sono mai stati infettati. Ma che gruppo è quello dei mammiferi, così diversificato al suo interno? Ma allora, come funziona l’evoluzione? A quanto pare sembra assomigliare ad un intrico inestricabile, più che all’albero con cui viene comunemente rappresentata.
Già avevamo visto che il concetto di specie poteva essere messo in discussione. Ma la conoscenza del nostro genoma ce lo rende ancora più fragile. Infatti tra i nostri geni ce n’è un 2-3% che provengono dall’uomo di Neanderthal, il che sta ad indicare che fenomeni di ibridazione, anche se abbastanza sporadici, in passato si sono registrati. Ora, l’ibridazione in teoria non dovrebbe esistere tra specie diverse, e invece non c’è solo il fenomeno eclatante del mulo, ibrido di cavallo e asino, ma a quanto pare ci siamo anche noi, anche se per poco. Inoltre, l’ibridazione è un fenomeno molto diffuso tra le piante e, se si va a livello di batteri ed archei, è praticamente la regola, dato che qui il trasferimento genico orizzontale è la norma. D’altronde anche negli animali e nelle piante si trovano esempi di trasferimento genico orizzontale. Abbiamo parlato a lungo di retrovirus e DNA retrovirale, per cui, una volta di più il concetto di specie non può basarsi su un isolamento genetico che di fatto non c’è. Resta allora il problema di ridefinire il concetto di specie, oppure limitarsi a considerarlo una categoria di distinzione pratica, ma senza un vero valore concettuale. La nostra linea evolutiva si è separata dai progenitori dei Neanderthal intorno a 600 mila anni fa: noi restammo in Africa e loro vennero in Europa, dove originarono i Neanderthal, di pelle bianca e capelli rossi (lo sappiamo perché Svante Paabo ed il suo team hanno decodificato il loro DNA). Quando noi lasciammo l’Africa, tra 100 e 60 mila anni fa, trovammo i Neanderthal in Palestina e lì facemmo qualche ibrido. Poi ce ne venimmo in Europa, oltre che in Asia e in Australia, noi neri, poi divenuti bianchi per motivi di sopravvivenza, mentre i primi europei si estinguevano. Gli africani rimasti in Africa non hanno tracce del genoma neanderthaliano, perché non li hanno mai incontrati. Ma nel nostro genoma ci sono persino alcuni autentici geni di scimpanzè! Sì, è proprio vero: il nostro genoma è un mosaico.
Anche il concetto di individuo è un po’ incerto. Se noi ci sentiamo ciascuno un individuo, basti pensare che noi ospitiamo un 100 triliardi di altre cellule (individui?) senza le quali non potremmo vivere. E tra le formiche, ad esempio, l’individuo è l’operaia, che non può riprodursi, la regina, che si riproduce, ma non può vivere da sola, o l’intera colonia, che riassume in sé tutte le funzioni vitali?
Ancora, se l’evoluzione è un fenomeno ormai sicuramente certo, così non è per le sue modalità. La selezione naturale sulle variazioni che si presentano ad ogni generazione, come sosteneva Darwin, è una delle modalità, ma probabilmente non la principale. Nella storia della vita ci sono momenti (estinzioni o nuove comparse) che sono troppo repentini per poter essere giustificate da meccanismi darwiniani. Una giustificazione può essere il trasferimento genico orizzontale, con le sue varie modalità: ma esso configura un meccanismo di acquisizione dei caratteri che è di tipo lamarckiano, non darwiniano. Una volta di più siamo travolti dalla complessità dei fenomeni che chiamiamo vita.
Lo spunto per questi miei ultimi interventi me lo ha fornito un libro trovato nella biblioteca comunale di Borgo San Lorenzo: “ L’albero intricato”, di David Quammen, edito da Adelphi nel 2020. Per me è stato una scoperta avventurosa. Mi auguro che possa esserlo anche per altri.
Paolo Bassani
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 ottobre 2021