Stasera, lei ha affrontato un tema delicato con uno spirito di leggerezza. Charlie Chaplin diceva che per ridere veramente, bisogna essere in grado di sopportare il dolore e giocare con esso. È d’accordo con questa affermazione? Sono perfettamente d’accordo. La comicità che io ricerco è proprio quella che costituisce una risposta alla pesantezza del mondo. Le battute sulla fame di Totò derivavano infatti da un problema serio su cui l’artista voleva scherzare: quindi, la battuta, era un modo per affrontare questioni importanti e dolorose. È proprio il confronto con il dolore che fa uscire un desiderio di gioia, che è la vena creativa della mia comicità.
E, quindi, si può ridere di tutto? Si può ridere di tutto se per risata si intende l’analisi attenta di una determinata situazione e non una battuta fine a se stessa. Ci deve sempre essere il rispetto alla base e un principio etico che guidi la nostra spiritosaggine. Come ho detto nello spettacolo, io ho tanti amici disabili, che spesso si sono lamentati del fatto che i comici non facessero battute su di loro. Questo li faceva sentire diversi, mentre volevano essere trattati come tutti gli altri. Per questo, ritengo importante scherzare anche sulle malattie. Ovviamente tutto deve essere teso a un voler accogliere l’altro, non ad escluderlo, altrimenti si ottiene il contrario di quello che ci siamo proposti.
Uno dei suoi lavori più famosi è “Benvenuti in casa Gori”, di cui è stato regista. Il tema del ritrovo è centrale in questo film. Spesso si dice che la condivisione di riflessioni profonde non necessariamente debba avvenire in contesti alti, ma si possono produrre argomentazioni importanti anche in una semplice cena o, appunto, a casa di un amico. Tutto questo è mancato nel periodo del lockdown. Pensa quindi che ci sia stato un impoverimento anche a livello speculativo e culturale? A dire la verità, a casa mia non è mancata la riflessione. L’esperienza del lockdown è stata un modo per parlare di più con la mia famiglia. Mi ritengo molto fortunato, perché noi ci vogliamo molto bene e stare un anno insieme ai familiari mi ha fatto pensare e, devo dire, che questi pensieri non sono sempre stati allegri. Einstein parlava della crisi come di un momento che permette la nascita del progresso e dell’invenzione creativa. Diceva infatti che la creatività nasce dall’angoscia come il giorno dalla notte oscura. Secondo me, questo è verissimo. Un’esperienza così amara ci ha portato automaticamente a cercare delle risposte, talvolta tristi ma a volte anche speranzose. Per questo ho scelto di chiamare lo spettacolo “Panico, ma rosa”: il rosa è sicuramente un colore più debole del nero, ma è un colore tenace. Chissà, forse avrà la meglio.
Ha lavorato molto con Francesco Nuti. Che ricordo ha di questa esperienza? Il periodo in cui abbiamo formato il gruppo dei “Giancattivi” stato molto bello, ma anche complesso: non era facile trovare un accordo fra tre teste matte come Francesco, Athina Cenci ed io. Tre talenti indiscussi, ma sicuramente ciascuno aveva idee diverse e non è stato facile trovare un punto di incontro. Però questa esperienza mi ha rilasciato un messaggio importante: insieme si possono vincere le difficoltà della vita, anche le più pesanti.
Caterina Tortoli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 23 luglio 2019
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