BORGO SAN LORENZO – Superato l’abitato di Ronta, la strada si inoltra in una stretta gola scavata dallo scorrere perenne del torrente Ensa. Il paesaggio fin ora più aperto si mostra oppresso dai fianchi ripidi e scabrosi del monte Giuvigiana.
Ossuti boschi di castagno hanno in breve lasciato spazio alle sagome snelle di robusti faggi e a un sottobosco più aperto, tipico delle zone più elevate dell’Appennino. Poi, in quest’angolo appartato del Mugello, dove la natura sembra non voler concedere spazi e ospitalità, ecco materializzarsi quasi inatteso, il piccolo borgo di Razzuolo. Poche case raccolte attorno alla chiesa, lambite dal borbottare timido di un’Ensa ancora giovane che ne circuisce gli spazi abitabili e si lascia attraversare da due antichi ponticelli di pietra.
Un luogo appartato e integro come la natura che lo accoglie, un luogo di facile suggestione che lascia spazio ad atmosfere e vecchie reminiscenze, ad epoche non troppo lontane legate al lavoro dei carbonai, alla pastorizia e alle difficili attività agresti della montagna che lo animavano ancora nella seconda metà del secolo scorso. Un’economia certamente povera, destinata ad assolvere esclusivamente le necessità locali, basata sulle risorse di rari appezzamenti seminativi difficili da coltivare o alla raccolta di poche castagne, comunque in grado di attivare nella zona ben due mulini ad acqua, il primo proprio nel borgo e l’altro nella parte più elevata del torrente.
Tuttavia la storia più antica e autentica di Razzuolo non va individuata nella natura parca della sua trascorsa economia agricola per altro comune a molti nuclei rurali presenti un tempo sull’Appennino, ma bensì ricercata nell’opera monastica di San Giovanni Gualberto e nella relativa presenza dell’antica Badia intitolata a San Paolo.
Nonostante il complesso momento storico e i tumultuosi eventi che avevano segnato indelebilmente la sua giovinezza, Giovanni Gualberto seppe trasformare la propria esistenza dedicandola al perdono e alla carità cristiana attraverso la vita monastica. Fu infatti fondatore dell’Ordine Vallombrosano e autore di una radicale riforma che avrebbe liberato la Chiesa dalla simonia e dalle eresie del tempo.
Nato a Firenze nel giugno del 985, già sul finire della prima decade del Mille aveva costituito una propria famiglia monastica, riconosciuta dal vescovo di Fiesole e più tardi dal Papa.
Consacrata la splendida Acqua Bella (Vallombrosa) nel 1015, proseguì la sua tenace opera di austera santità costruendo l’Abbazia di Moscheta (1034) e professando una dottrina di profonda fraternità che riconciliava il popolo con la Chiesa. Tale era divenuta la sua fama che le genti si radunavano per vederlo e ascoltarlo, accogliendolo come padre dei poveri, in amore e rispetto della sua umiltà e dei suoi miracoli, una realtà che ormai aveva scosso anche le coscienze nella nobiltà del tempo.
Per rimediare alle proprie debolezze terrene, Ottaviano degli Ubaldini, signore di quelle contrade, gli avrebbe offerto il pacifico possesso della montagna di Razzuolo e del Crocifero, luoghi austeri e solitari, ideali per la meditazione e la preghiera, ma soprattutto adatti alla presenza di un monastero.
Così, probabilmente verso la metà dell’XI secolo, poco dopo il 1047, Giovanni Gualberto faceva erigere in Razzuolo la terza Badia vallombrosana dedicandola a San Paolo e affidandone la guida all’abate Teuzzo o Teuzzone e ad altri otto monaci suoi seguaci. Rammentata in una bolla di Pasquale II del 1115 e poi in un’altra di Innocenzo III del 1198, la Badia era munita di un ospizio per i poveri, le strutture di accoglienza tipiche dell’epoca che Giovanni Gualberto aveva fatto aprire in molti luoghi lungo le vie più transitate, per dare rifugio ai pellegrini e a sventurati senza dimora.
Dopo Teuzzo, in epoca più tarda, fu abate di Razzuolo il Beato Alberto, fiorentino e poi i Della Casa, Antonio e Francesco, con quest’ultimo che avrebbe ricevuto la Badia in commenda.
Nel XVII secolo i monaci abbandonarono Razzuolo per trasferirsi nella sede di Ronta, relegando la Badia ad un ruolo di culto marginale.
Importanti interventi di restauro del monastero furono compiuti nel 1687 e poi nel 1730, anche se le disposizioni leopoldine di fine Settecento che decretavano la fine di tutti gli ordini monastici, ne avrebbero determinato la definitiva soppressione. Pur costituendo il simbolo di un particolare fenomeno religioso localmente radicato e ampiamente diffuso nel resto della Toscana, la Badia di San Paolo rischiava ora di scomparire anche fisicamente dal contesto sacro architettonico del Mugello.
L’alba del XIX secolo vedeva infatti la profonda ristrutturazione socio economica di tutto il Granducato, con particolari interventi di adeguamento verso quelle strutture pubbliche come le strade, potenzialmente garanti della crescita futura e dello sviluppo degli scambi e del commercio. Per la sua posizione geografica, la Badia di Razzuolo costituiva un intralcio reale per il transito sulla futura Faentina, allora poco più che un sentiero.
Per l’allargamento della strada fu indispensabile demolire la parte absidale della Badia, riducendola allo stato in cui ora ci appare. Furono per sempre perdute le strutture del transetto, del coro e dell’Altar Maggiore, sotto al quale probabilmente riposavano le spoglie del Beato Teuzzone, sconvolgendo radicalmente l’aspetto originale dell’edificio.
Difficile comprendere oggi quali fossero le linee architettoniche autentiche della struttura primitiva, della quale si conservano tuttavia parte dell’aula della chiesa e forse alcuni ambienti del monastero. Pur nella sua severa austerità il complesso appare profondamente trasformato con campaniletto a vela munito di tre fornici e relative campane, poggiante sul lato settentrionale della sacrestia, con gli ambienti della canonica aggiunti secondo le necessità in epoche diverse. I lavori ottocenteschi di adeguamento determinarono l’inversione dell’orientamento della chiesa, con l’ingresso volto oggi a levante, accessibile da alcuni gradini che salgono al piccolo sagrato pavimentato.
Nella parte tergale dell’edificio resta ancora visibile la porta originale tamponata e delimitata da stipiti monolitici, sormontata da una lunetta con vetrata policroma.
Nel presbiterio le statue della Madonna e del Sacro Cuore ornano le pareti laterali. Sopra l’ingresso è un quadro di grandi dimensioni del pittore La Naja raffigurante San Paolo.
I miracoli di San Giovanni Gualberto
La storia della Badia di Razzuolo appare intimamente unita alla vita di San Giovanni Gualberto, estesa ad un lungo periodo di grande valore sociale e spirituale dovuto all’opera del Santo, alla sua dottrina di fraterna carità punteggiata di episodi miracolosi che avevano segnato profondamente gli animi di ogni ceto sociale.
Anche Razzuolo ebbe il suo evento miracoloso, forse il più celebre e pregnante la devozione popolare.
Le memorie di Teuzzone narrano infatti di un viaggio del Santo lungo i sentieri di Razzuolo in compagnia di don Ugone pievano di San Giovanni Maggiore, quando un enorme faggio sradicato dal vento avrebbe sbarrato il cammino impedendo loro di proseguire. Tale era la mole dell’albero che neppure molte paia di buoi avrebbero potuto rimuoverlo ma su invito e per l’intercessione del Santo, don Ugone riuscì a sollevarlo come fosse un fuscello, liberando la strada.
Scheda e foto di Massimo Certini
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 4 gennaio 2020