MUGELLO – Continuiamo il nostro cammino verso la Pasqua, riflettendo in profondità sul suo significato originario. E lo stiamo facendo proponendo a tutti la meditazione che anno scorso il marradese Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia, chiamato a questo compito da Papa Francesco, tenne nella Via Crucis del Venerdì Santo, al Colosseo, a Roma, il 25 marzo di un anno fa.
L’abbiamo divisa in due parti, per facilitare la lettura e anche per scandire i giorni. Ieri, Venerdì Santo la prima parte, oggi, Sabato Santo, la seconda. Per arrivare davanti al Sepolcro vuoto, al luogo dove Gesù è risorto.
VIII stazione
Gesù incontra le donne di Gerusalemme

Dal Vangelo secondo Luca 23, 27-28
Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli».
Gesù, anche se è straziato dal dolore e cerca rifugio nel Padre, sente compassione per il popolo che lo segue e si rivolge direttamente alle donne che lo stanno accompagnando sulla via del Calvario. E il suo è un forte appello alla conversione.
Non piangete per me, dice il Nazareno, perché io sto facendo la volontà del Padre, ma piangete su di voi per tutte le volte che non fate la volontà di Dio.
È l’Agnello di Dio che parla e che, portando sulle sue spalle il peccato del mondo, purifica lo sguardo di queste figlie, già rivolto verso di Lui, ma in modo ancora imperfetto. «Che cosa dobbiamo fare?» sembra gridare il pianto di queste donne davanti all’Innocente. È la stessa domanda che le folle avevano rivolto al Battista (cfr Lc 3, 10) e che ripeteranno poi gli ascoltatori di Pietro dopo la Pentecoste, sentendosi trafiggere il cuore: «Che cosa dobbiamo fare?» (At 2, 37).
La risposta è semplice e netta: «Convertitevi». Una conversione personale e comunitaria: «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti» (Gc 5, 16). Non c’è conversione senza la carità. E la carità è il modo di essere Chiesa.
Signore Gesù,
la tua grazia sostenga il nostro cammino di conversione per tornare a te,
in comunione con i nostri fratelli,
verso i quali ti chiediamo di donarci le tue stesse viscere di misericordia,
viscere materne che ci rendano capaci di provare tenerezza e compassione gli uni per gli altri,
e di arrivare anche al dono di noi stessi per la salvezza del prossimo.
IX stazione
Gesù cade per la terza volta
Dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi 2, 6-7
Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.
Gesù cade per la terza volta. Il Figlio di Dio sperimenta fino in fondo la condizione umana. Con questa caduta entra ancora più stabilmente nella storia dell’umanità. E accompagna, in ogni momento, l’umanità sofferente. «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Quante volte gli uomini e le donne cadono a terra. Quante volte gli uomini, le donne e i bambini soffrono per una famiglia spezzata. Quante volte gli uomini e le donne pensano di non avere più dignità perché non hanno un lavoro. Quante volte i giovani sono costretti a vivere una vita precaria e perdono la speranza per il futuro.
L’uomo che cade, e che contempla il Dio che cade, è l’uomo che finalmente può ammettere la propria debolezza e impotenza senza più timore e disperazione, proprio perché anche Dio l’ha provata nel Figlio suo. È per misericordia che Dio s’è abbassato fino a questo punto, fino a giacere nella polvere della strada. Polvere bagnata dal sudore di Adamo e dal sangue di Gesù e di tutti i martiri della storia; polvere benedetta dalle lacrime di tanti fratelli caduti per la violenza e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. A questa polvere benedetta, oltraggiata, violata e depredata dall’egoismo umano, il Signore ha riservato il suo ultimo abbraccio.
Signore Gesù,
prostrato su questa terra riarsa,
sei vicino a tutti gli uomini che soffrono
e infondi nei loro cuori la forza per rialzarsi. Ti prego, Dio della misericordia,
per tutti coloro che sono a terra per tanti motivi:
peccati personali, matrimoni falliti, solitudine, perdita del lavoro, drammi familiari,
angoscia per il futuro.
Fai sentire che Tu sei non distante da ciascuno di loro,
poiché il più vicino a Te,
che sei la misericordia incarnata,
è l’uomo che avverte di più il bisogno del perdono e continua a sperare contro ogni speranza!
X stazione
Gesù è spogliato delle vesti
Dal Vangelo secondo Marco 15, 24
Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti, tirando a sorte su di esse ciò che ognuno avrebbe preso.
Ai piedi della croce, sotto il Crocifisso e i ladroni sofferenti, ci sono i soldati che si contendono le vesti di Gesù. È la banalità del male.
Lo sguardo dei soldati è lontano da quella sofferenza ed è distante dalla storia che li circonda. Sembra che quello che sta accadendo non li tocchi. Essi, mentre il Figlio di Dio subisce i supplizi della croce, continuano imperterriti a condurre una vita in cui le passioni hanno il sopravvento su tutto. È questo il grande paradosso della libertà che Dio ha concesso ai propri figli. Di fronte alla morte di Gesù ogni uomo può scegliere: contemplare il Cristo o “tirare a sorte”.
È enorme la distanza che separa il Crocifisso dai suoi carnefici. L’interesse meschino per le vesti non consente loro di cogliere il senso di quel corpo inerme e disprezzato, irriso e martoriato, in cui si compie la divina volontà di salvezza dell’umanità intera.
Quel corpo che il Padre ha «preparato» per il Figlio (cfr Sal 40, 7; Eb 10, 5) ora esprime l’amore del Figlio verso il Padre e il dono totale di Gesù agli uomini. Quel corpo spogliato di tutto fuorché dell’amore racchiude in sé l’immenso dolore dell’umanità e racconta tutte le sue piaghe. Soprattutto quelle più dolorose: le piaghe dei bambini profanati nella loro intimità.
Quel corpo muto e sanguinante, flagellato e umiliato, indica la strada della giustizia. La giustizia di Dio che trasforma la sofferenza più atroce nella luce della risurrezione.
Signore Gesù,
vorrei presentarti tutta l’umanità sofferente.
I corpi di uomini e donne, di bambini e anziani, di malati e disabili non rispettati nella loro dignità. Quante violenze lungo la storia di questa umanità hanno colpito ciò che l’uomo ha di più suo, qualcosa di sacro e benedetto perché viene da Dio.
Ti preghiamo, Signore,
per chi è stato violato nel suo intimo.
Per chi non coglie il mistero del proprio corpo, per chi non l’accetta o ne deturpa la bellezza, per chi non rispetta la debolezza e la sacralità del corpo che invecchia e muore. E che un giorno risorgerà!
XI stazione
Gesù è crocifisso
Dal Vangelo secondo Luca 23, 39-43
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».
Gesù sta sulla croce, «albero fecondo e glorioso», «talamo, trono ed altare» (Inno liturgico Ecco il vessillo della croce). E dall’alto di questo trono, punto d’attrazione dell’intero universo (cfr Gv 12, 32), perdona i suoi crocifissori «perché non sanno quello che fanno»(Lc 23, 34). Sulla croce di Cristo, «bilancia del grande riscatto» (Inno liturgico Ecco il vessillo della croce), risplende una onnipotenza che si spoglia, una sapienza che si abbassa fino alla follia, un amore che si offre in sacrificio.
Alla destra e alla sinistra di Gesù ci sono due malfattori, probabilmente due omicidi. Quei due malfattori parlano al cuore di ogni uomo perché indicano due modi differenti di stare sulla croce: il primo maledice Dio; il secondo riconosce Dio su quella croce. Il primo malfattore propone la soluzione più comoda per tutti. Propone una salvezza umana e ha uno sguardo rivolto verso il basso. La salvezza per lui significa scappare dalla croce ed eliminare la sofferenza. È la logica della cultura dello scarto. Chiede a Dio di eliminare tutto ciò che non è utile e non è degno di essere vissuto.
Il secondo malfattore, invece, non mercanteggia una soluzione. Propone una salvezza divina e ha uno sguardo tutto rivolto verso il cielo. La salvezza per lui significa accettare la volontà di Dio anche nelle condizioni peggiori. È il trionfo della cultura dell’amore e del perdono.
È la follia della croce nei confronti della quale ogni sapienza umana non può che svanire e ammutolire nel silenzio.
Donami, o Crocifisso per amore, quel tuo perdono che dimentica
e quella tua misericordia che ricrea.
Fammi sperimentare, in ogni Confessione, la grazia che m’ha creato
a tua immagine e somiglianza e che mi ricrea ogni volta che io pongo la mia vita, con tutte le sue miserie,
nelle mani pietose del Padre.
Che il tuo perdono risuoni per me come certezza dell’amore che mi salva,
mi fa nuovo e mi fa stare con te per sempre. Allora io sarò davvero un malfattore graziato e ogni perdono tuo sarà
come un assaggio di Paradiso, già da oggi.
XII stazione
Gesù muore in croce
Dal Vangelo secondo Marco 15, 33-39
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».
Buio a mezzogiorno: sta accadendo qualcosa di assolutamente inaudito e imprevedibile sulla terra, ma che non appartiene solo alla terra. L’uomo uccide Dio! Il Figlio di Dio è stato crocifisso come un malfattore.
Gesù si rivolge al Padre gridando le prime parole del salmo 22. È il grido della sofferenza e della desolazione, ma è anche il grido della completa «fiducia della vittoria divina» e della «certezza della gloria» (Benedetto XVI, Catechesi, 14 settembre 2011).
Il grido di Gesù è il grido di ogni crocifisso della storia, dell’abbandonato e dell’umiliato, del martire e del profeta, di chi è calunniato e ingiustamente condannato, di chi è in esilio o in carcere. È il grido della disperazione umana che sfocia, però, nella vittoria della fede che trasforma la morte nella vita eterna. «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo all’assemblea» (Sal 22, 23).
Gesù muore in croce. È la morte di Dio? No, è la celebrazione più alta della testimonianza della fede.
Il XX secolo è stato definito il secolo dei martiri. Esempi come quelli di Massimiliano Kolbe ed Edith Stein esprimono una luce immensa. Ma ancora oggi il corpo di Cristo è crocifisso in molte regioni della terra. I martiri del XXI secolo sono i veri apostoli del mondo contemporaneo.
Nel grande buio s’accende la fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!», perché chi muore così, volgendo in speranza di vita la disperazione della morte, non può essere semplicemente un uomo.
Il Crocifisso è l’offerta piena.
Non si è tenuto niente, né un lembo di veste, né una goccia di sangue, né la Madre.
Ha dato tutto: «Consummatum est». Quando non si ha più niente da dare perché si è dato tutto,
allora si diventa capaci di veri doni. Spogliato, nudo, mangiato dalle ferite, dalla sete dell’abbandono, dagli improperi: non c’è più figura d’uomo.
Dare tutto: ecco la carità.
Dove finisce il mio, comincia il paradiso.
(don Primo Mazzolari)
XIII stazione
Gesù è deposto dalla croce
Dal Vangelo secondo Marco 15, 42-43. 46a
Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il Regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce.
Giuseppe d’Arimatea accoglie Gesù prima ancora di aver visto la sua gloria. Lo accoglie da sconfitto. Da malfattore. Da rifiutato. Richiede il corpo a Pilato per non permettere che venga gettato nella fossa comune. Giuseppe mette a rischio la sua reputazione e forse, come Tobi, anche la sua vita (cfr Tb 1, 15-20). Ma il coraggio di Giuseppe non è l’audacia degli eroi in battaglia. Il coraggio di Giuseppe è la forza della fede. Una fede che diventa accoglienza, gratuità e amore. In una parola: carità.
Il silenzio, la semplicità e la sobrietà con cui Giuseppe si avvicina al corpo di Gesù contrasta con l’ostentazione, la banalizzazione e la fastosità dei funerali dei potenti di questo mondo. La testimonianza di Giuseppe ricorda, invece, tutti quei cristiani che anche oggi per un funerale mettono a rischio la propria vita.
Chi poteva accogliere il corpo senza vita di Gesù se non colei che gli aveva dato la vita? Possiamo immaginare i sentimenti di Maria che lo accoglie tra le sue braccia, lei che ha creduto alle parole dell’Angelo e ha serbato tutto nel suo cuore.
Maria, mentre abbraccia il suo figlio esanime, ripete ancora una volta il suo «fiat». È il dramma e la prova della fede. Nessuna creatura l’ha sofferta come Maria, la madre che tutti ci ha generato alla fede ai piedi della croce.
Ripeteva la preghiera del mondo: «Padre, Abbà, se è possibile…».
Solo un ramoscello d’olivo dondolava sopra il suo capo
a un silenzioso vento… Ma non una spina tu gli levasti dalla corona.
Trafitto anche il pensiero non può, non può lassù
il pensiero non sanguinare! E non una mano
gli schiodasti dal legno: che si tergesse dagli occhi il sangue
e gli fosse dato di vedere
almeno la Madre là, sola…
Perfino potenti
e maestri di ferocia e gente, al vederlo si coprivan la faccia
e Lui a fluttuare dentro una nuvola:
dentro la nuvola del divino abbandono. E dopo, solo dopo.
Tu e noi a ridargli la vita. (Padre Turoldo)
XIV stazione
Gesù è deposto nel sepolcro
Dal Vangelo secondo Matteo 27, 59-60
Giuseppe prese il corpo [di Gesù], lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò.
Mentre Giuseppe chiude il sepolcro di Gesù, Egli scende negli inferi e ne spalanca le porte.
Quella che la Chiesa Occidentale chiama “discesa agli inferi”, la Chiesa Orientale la celebra già come Anastasi, cioè “Risurrezione”. Le Chiese sorelle comunicano così all’uomo la piena Verità di questo unico Mistero: «Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37, 12. 14).
La tua Chiesa, Signore, ogni mattina canta: «Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte» (Lc 1, 78-79).
L’uomo, abbagliato da luci che hanno il colore delle tenebre, spinto dalle forze del male, ha rotolato una grande pietra e ti ha chiuso nel sepolcro. Ma noi sappiamo che tu, Dio umile, nel silenzio in cui la nostra libertà ti ha posto, sei all’opera più che mai per generare nuova grazia nell’uomo che ami. Entra, dunque, nei nostri sepolcri: ravviva la scintilla del tuo amore nel cuore di ogni uomo, nel grembo di ogni famiglia, nel cammino di ogni popolo.
O Cristo Gesù!
Tutti camminiamo verso la nostra morte e la nostra tomba.
Permettici di fermarci in spirito accanto al tuo sepolcro.
Che la potenza di Vita,
che in esso si è manifestata, trafigga i nostri cuori.
Che questa Vita diventi
la luce del nostro pellegrinaggio sulla terra. Amen.
(San Giovanni Paolo II)
(Foto di Marta Magherini – riproduzione riservata)
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 3 aprile 2020
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