prima poesia - sui fianchi dell'appenninoSui fianchi dell’Appennino è caduta la manna delle fonti:

una labile coltre, facile preda di clivi

e di fossati, basta a ridare forza

al flusso tortuoso dei torrenti.

Ogni anno aspetto la prima spruzzata

di questa candida grazia

che rimette in circolo le acque

e non allaga ma suona cristallina

in miti scorrimenti.

Vorrei sempre sentire

un ritmo agile e blando

nelle vene del mondo: sparire,

né incenerito né annegato, disciolto

come un pugno di neve

in linfe rinascenti.

(2.12)


Recidiva parola, non ti misurare

col ritorno del verde a San Cresci.

Qua il paesaggio è sempre ameno

ma a mezzo Aprile è di magia.

La ritornata primavera non sarà diversa

da quelle che infusero speranza

a Cosimo il Granduca

quando veniva a chiedere un erede

alla virilità fatta metafora

di questo santo indigete.

Ma l’erede non venne.

Quiete, rassegnata estinzione,

concede il nume da secoli:

non ha mai fatto la grazia

di un risveglio.

(27.04)


Spira da giorni a San Cresci un vento ossessivo

che sgretola gli antichi muriccioli

ed agita vortici di verde. Strani uccelli

vengono dal sud, dalle calvane,

e fanno striduli schiamazzi

tra le crepe della cappella cadente.

Nessuno è riuscito a quietare i cani della pieve

che hanno visto passare chi non deve passare.

Questo turbine lungo che nel cuore dell’estate

investe la collina e la tormenta,

E’ spia di una presenza

o di un’assenza, entrambe perniciose.

In ogni luogo è fragile la quiete e, di continuo,

alle porte si accalca lo scompiglio.

Quando il tempo è stregato, l’ospite sbarra

porte e finestre, poggia accoratamente

la fronte ai vetri , vigila l’invisibile.

Forse tutto è di là da venire, ma c’è qualcosa

che cresce, un inquietante passo

che sale le colline, un’intrusione inescludibile

Di là dai vetri quel volto pallido e depresso

sembra non reggere più le sfide del mutamento.

(23.06)


SAN CRESCI

Dolce pianoro issato a bassa quota,

libero dalla nebbia di cui è colma

la pàtera valliva. Ogni giorno

emergo nel sole

salendo le tue rapide rampe.

Il destino mi ha assegnato la nebbia

con la luce vicino.

(01.04)


 

CAMMINARE IN CAMPAGNA

Un affanno solitario

è importuno alla mia quiete.

Dalla siepe mi sorprende

o a tergo, come uno sparo.

Vorrei sapere cos’è

quest’improvviso respiro

che sempre si occulta a me

ovunque lo sguardo giro.

E’ un agguato permanente

quello che m’insidia il passo.

Ha preso un dio trafelato

il posto ch’è della gente.

Con che intenzione mi spia

questo vigile mai visto?

Qualche nume insospettito

lo ha messo sulla mia via.

Com’è che un dio si nasconde

per rivelarsi all’umano?

Avrà paura o vuol farla

con questo artificio vano?

La presenza dell’assente

è nel mio vuoto sì vasta

che ogni cosa che ho scacciato

può ben essere rimasta.

Pena? Gioisce? Vicino,

vicino più di me stesso,

io vedo invisibilmente

questo bifronte divino.

Mi allarma nell’illusorio

silenzio un segno profondo:

è l’ansito fitto di Dio

sfinito dal peso del mondo.

(15.03)


DON’T DISTURB

Passo tranquillo e cuore timoroso,

veniva per la lenta stradicciola

assorto in un pensiero ineffabile.

Non era grato ai numi. La torbida

malizia del domani lo mordeva

più del rimorso.

Così viveva e non viveva,

in bilico fra il pensiero ed il pensiero, smarrito

nel dedalo interiore, anche se certo

del sentiero terrestre, in attesa che il passato

ripassasse, più fausto e ancora uguale.

Come ogni altro giorno,

Dio lo ingombrava

e lo lasciava andare.

(22.02)


Ancora il paesaggio

non dà segni d’allarme.

Mai muri del ritiro

offrono i varchi

alla disperazione violenta.

(07.02)


Camminare. Camminare. Camminare.

Il mio comune e quelli viciniori

eran più vasti della pampa argentina.

Ero un esperto delle mie campagne.

Tornato al poggio

della diletta solitudine,

Infaticabilmente camminavo.

Ogni ripetizione era avventura.

(13-10)


I CANI DI SAN CRESCI

Prima di stimarmi felice,

attenderò il giorno estremo,

quando saprò che ho concluso

il tragitto della mia vita

senza aver subìto il morso

dei cani di San Cresci.

(30-09)


SULLE COLLINE

Ruggine delle foglie e ruggine nel cuore.

Dentro mi rodo. Fuori mi ricreo.

Ma bellavista è illusoria catarsi.

Nessun colore penetra nel cuore.

Con non lenita angoscia torno a valle.

(22-11)


Eri nel sogno una bancarella di libri,

forse una libreria, ma dove la gente

non cercava che roba da mangiare.

Anch’io, un visitatore spaesato,

chiedevo cibo o sigarette, non so;

poco ero incuriosito

dalla carta stampata.

Quello spazio, quella gente io l’ho vista;

tutto, più vario ed intenso della veglia;

ho visto anche i libri, del colore del mattone

del Croce di Laterza.

Non ti rivedrò più così,

paese familiare e strano,

creato da un tranquillo delirio.

Questo, dopo la morte,

dirò di quanto impresso

mi resterà della vita.

(03.11)


Roberto Paoli: la scheda biografica e le immagini, a cura di Renata Innocenti

Inedito: il primo capitolo del suo romanzo, rimasto incompiuto

Le pubblicazioni e una bibliografia

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