
BARBERINO DI MUGELLO – San Pietro a Crirignano è il classico esempio di piccola chiesetta di campagna collocata a breve distanza da Barberino di Mugello, lungo la strada che conduce a Mangona. Inserita nel piviere di San Gavino Adimari, occupa una breve collinetta lambita ad ovest dal torrente Aglio e domina la languida piana che guarda le località del Casino, Stura e del Ponte a Piangianni. La facciata è volta a levante, inglobata in un minuto borghetto rurale che ne camuffa quasi la vista, tuttavia denunciata da svelti cipressi e dalla sagoma snella del suo campaniletto a vela. Nonostante la sua vicinanza con il capoluogo, Cirignano conserva inalterati i caratteri di frazione appartata, parte integrante di un ambiente collinare di grande valore naturalistico nel quale ha saputo imprimere in ogni tempo i segni indelebili della propria identità storica.
Le memorie più antiche ci raccontano di un territorio completamente inserito nel feudo dei Conti Alberti di Mangona, ottenuto per concessione imperiale da Federico I nel 1164. Citazioni precedenti di questa località sembrano comparire addirittura in un documento del 23 gennaio 1069, relative a vigne e terre concesse a livello a coltivatori della zona. Attorno ad una crescente attività agricola, deve essersi sviluppato quindi, nei secoli successivi, anche l’aspetto demografico e strutturale del territorio. Nei censimenti catastali del primo Quattrocento troviamo infatti registrata a Bocchadilupo, una casetta da lavoratore, coperta con paglia, munita di aia, capanna, forno e piazza. Nello stesso momento storico, proprio in Cirignano, è da tempo abitata un’altra casa da lavoratore, mentre si classifica non più abitabile la casetta di Poggio, anch’essa coperta di paglia ma con capanna e colombaia. Altre due case con forno, capanna, piazza ed aia, costituiscono invece le prime strutture abitabili della Ruzza.
Pochissimo conosciamo invece sulle origini di San Pietro a Cirignano. Possiamo ipotizzare che la graziosa chiesetta fosse presente nella posizione attuale già verso la metà del XIII secolo, quando compariva registrata nell’elenco delle Decime ecclesiastiche del tempo, ed era tassata di due libbre e tre soldi, con gli stessi dati riconfermati poi in documenti analoghi all’inizio del secolo successivo. Fin dal principio, la ricerca costante di crescita e di sviluppo pastorale, le regalarono un ruolo di notevole importanza sociale nella zona, qualità contemplate e individuabili in vari manoscritti d’epoca fra cui un documento del 1369 con il quale si riconosceva al rettore di San Pietro, il controllo e il diritto di investitura anche sulla chiesa di San Niccolò a Migneto.
Nella Visita Pastorale del 1599, compiuta da Ms. Andrea Gammaro a nome del Card. Alessandro de’ Medici, la chiesa appare descritta in buono stato ed in normali condizioni di esercizio, affidata alle cure patronali di Pandolfo Cattani, canonico e membro di quella nobile casata che ormai possedeva il controllo su ampie zone del territorio barberinese.
Da tempo annesso alla chiesa era un oratorio della famiglia Guasconi, inizialmente intitolato alla Madonna e più tardi alla protezione di San Carlo Borromeo. Da un documento redatto in occasione della Visita del 1613, abbiano invece un’immagine della chiesa molto diversa, descritta in grave deperimento strutturale e bisognosa di urgenti restauri. Sopra l’Altar Maggiore di pietra è presente una tavola della Madonna fra San Pietro e Santa Lucia completamente guasta e irrecuperabile. La canonica è definita inabitabile, mentre il popolo di San Pietro conta la presenza di appena sessanta anime; una condizione anomala che lascia supporre un’involuzione economica e demografica della zona, forse dovuta a una qualche forma epidemica locale tipica del periodo.
Alla metà del Settecento risale il radicale intervento di ristrutturazione interna che ne avrebbe modificato completamente l’aspetto, trasformandolo secondo il nuovo gusto tardo barocco o rococò, adottato in quel periodo anche nella ristrutturazione di altre chiese del Mugello. Di quell’intervento, molto si conserva ancora ai nostri occhi, anche se ormai appare urgente un ulteriore opera di mantenimento.
L’aula, luminosa ed accogliente, prende luce da una singolare finestrella sagomata posta sopra la porta d’ingresso e si presenta in un gioioso tripudio di fregi e stucchi leggeri, impreziosito da un complesso ed elegante disegno di putti e motivi floreali, evidenziati da raffinate cornici e particolari dipinti ad oro. La volta è a botte, con unghiature laterali che valorizzano la collocazione degli altari. Sul soffitto, al centro dell’aula, racchiuso da una cornice mistilinea è affrescato il simbolo dello Spirito Santo, circondato da nubi e da uno stuolo di cherubini. Alle quattro estremità della figura, dipinte in oro, le parole Fides, Caritas, Spes e Pax, ossia i dogmi della cristianità.
Gli altari laterali sono due, anch’essi impreziositi da motivi marmorizzati e stucchi che caratterizzano il resto dell’aula.
Su entrambi sono sistemate tele di gusto e foggia tipicamente devozionale, apposte in occasione del restauro settecentesco.
Sull’altare di sinistra è un quadro raffigurante la Sacra Famiglia con San Gioacchino e Sant’Anna nell’atto di accogliere il Bambino.
Sopra questo altare era un tempo la statua dell’Immacolata ora collocata nel presbiterio accanto alla porta della sacrestia.
Sopra l’altare di destra, dietro la grande statua del Sacro Cuore, è visibile un quadro rappresentante San Francesco di Sales, San Luigi Gonzaga e Sant’Antonio Abate; come il precedente databile alla metà del Settecento.
Sulla parete absidale del coro, racchiusa da una cornice con fregio e bordi dorati, è una tela raffigurante la Madonna in trono col Bambino e quattro santi. L’opera di buona mano e attribuibile alla Bottega Fiorentina del XVIII secolo, appare ormai priva della sua originale leggibilità, estremamente bisognosa di restauro, tuttavia sembrano ancora intuibili le figure di San Paolo, San Pietro, Santa Lucia e forse Sant’Anna.
Una grande arcata trionfale divide l’aula dal presbiterio e reca al centro un ricco fregio con epigrafe dorata che recita: “Tu es Petrus et super hanc oetram aedificabo Ecclesiam meam” le celebri parole tratte dal Nuovo Testamento (Matteo 16, 18-19) dette da Gesù all’apostolo Simone Pietro. Sotto l’arcata si colloca il nuovo Altar Maggiore orientato “versus populum” e riedificato nei primi anni del Duemila secondo i canoni della nuova riforma liturgica. La struttura precedente era in stile barocco, rialzata di due gradini, impreziosita da fregi e tasselli marmorizzati come il rimanente arredo della chiesa.
Dietro il ciborio era posizionato il Crocifisso ligneo del XVI secolo ora visibile sulla sinistra del presbiterio. La nuova disposizione ha certamente reso più ampio e libero l’intero ambiente di preghiera, privandolo tuttavia del suo elemento strutturale più importante, simbolo di uno stile e di un’epoca, qui come altrove il riferimento forse più radicato nella religiosità e alla devozione affettiva popolare di tante generazioni del passato.
Da qualche tempo sulla controfacciata destra è stata apposta una lapide in ricordo di Don Donato Nutini, il pastorello che insieme a Cornelia Vangelisti ebbe il dono dell’apparizione della Madonna di Baccadirio nel 1480. Don Donato Nutini fu parroco in Cirignano dal 1531 al 1548 e nonostante siano trascorsi quasi cinque secoli, l’opera del sacerdote resta viva nella memoria popolare, unita alla tradizionale ipotesi che le sue spoglie riposino ancora nella chiesa di San Pietro. Una recente indagine di scavo condotta nel luogo comunemente riservato alla sepoltura dei sacerdoti, ha permesso di individuare sotto il presbiterio un loculo con i resti di tre inumati, ognuno dei quali però privo di qualsiasi elemento che possa ricondurre all’identità del caro sacerdote veggente.
Proprio dal sagrato di San Pietro a Cirignano aveva inizio in passato, il pellegrinaggio di fede verso il santuario di Boccadirio, in terra romagnola. Una tradizione profondamente radicata nelle passate generazioni dei barberinesi nel primo Novecento, quando interminabili carovane di pellegrini salivano la cresta appenninica fin oltre il Passo della Futa per rendere omaggio all’immagine miracolosa della Vergine esposta nel santuario. Una tradizione che il tempo aveva affievolito e che ora sembra ritrovare il proprio valore spirituale con la riscoperta di quell’antico tracciato che attraversando uno scenario naturale unico, vuole restituire il senso originale di una fede vera.
scheda e foto a colori di Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 5 luglio 2020