DICOMANO – Percorrendo via Garibaldi, a Dicomano, prima di raggiungere il Ponte Vecchio, la strada si allarga formando una piazzetta ariosa che si affaccia ad ammirare lo scorrere delle limpide acque del Comano. Osservando le facciate delle case che delimitano lo slargo ne troviamo una che fa angolo. Dietro quell’ angolo una scala di pietra sale verso una porta anonima, ma a metà del suo percorso scorgiamo un’ interruzione dell’ intonaco bianco, come ci fosse un difetto, una macchia grigia informe che attira l’ attenzione: è una lapide antica consumata dal tempo e dalle intemperie, ma ancora capace di raccontare parte della sua storia. Si può ancora leggere “Ser Simone Mugnai” e “il dì 17 febbraio 1693”.

Cosa sarà successo a quell’ uomo quel giorno ?
Ser Simone Mugnai è stato un notaio fiorentino che il 17 febbraio 1693 ha ricevuto il testamento segreto di Ridolfo di Alessandro di Teodoro de’ Bardi, Conti di Vernio, sigillato alla presenza di sette testimoni: il signor Domenico di Sebastiano Salvoni e sei frati dell’ Ordine di San Francesco di Paola (Giacinto Vezzoni, Gio Batta Gasparretti, Alessandro Rocchiccioli, Dionisio Fanelli, Gio Domenico Gaggioli e Gio Antonio Giannini). Nessuno ne conosce il contenuto perchè Ridolfo ha stilato cinquanta pagine di suo pugno nella sagrestia del convento di San Giuseppe di Firenze, sano di mente e di corpo, ancora ignaro del suo destino futuro, senza sapere se la sorte gli avrebbe riservato una moglie e dei figli. L’ unica certezza che ha è rappresentata dai suoi terreni, dai suoi investimenti, dalle sue proprietà e l’ edificio di Dicomano è una di queste e dunque è parte integrante della sua eredità.

Trascorrono gli anni e “il dì 24 dicembre 1702 passò a miglior vita il Conte Ridolfo de’ Bardi” come certifica per iscritto “e per la verità” don Carlo Damiano Vignoli, curato di Santa Maria a Vigesimo. Il 26 dicembre seguente viene aperto il suo testamento, fino ad allora segreto, da Cipriano Salvini, che scuce il refe bianco con cui era stato sigillato, sotto lo sguardo attento del Cancelliere del Generale Archivio Fiorentino, il molto illustre Anton Felice Bernardeschi, alla presenza dell’ Abate Cosimo Gualterotto del Conte Girolamo de’ Bardi e del Conte Piero di Carlo de’ Bardi.

Così si comincia a leggere i suoi ordini: “nello spazio del termine di due anni da computarsi dal giorno della mia morte si faccino celebrare cinquecento messe dei morti in suffragio dell’ anima mia”. Appare subito chiaro quanto fosse religioso Ridolfo, infatti continua: “parimenti ordino e dispongo che ogni anno nel giorno della festività di San Niccolò vescovo di Bari, che si celebra alli 6 del mese di dicembre, gli infrascritti miei eredi faccino dire o celebrare nella chiesa di San Quirico della Contea di Vernio sotto il titolo di San Leonardo uno uffizio dei morti con tutte le messe che si potranno avere da sacerdoti di Vernio per suffragio dell’ anima mia”.
Non c’è dunque da meravigliarsi che, non avendo avuto figli “masti”, ordini di fondare una confraternita, dedicata a San Niccolò vescovo di Bari nel territorio della Contea di Vernio nel popolo di San Leonardo a San Quirico dove è situata la casa della sua residenza chiamata “il casone”, da istituirsi sua erede universale. “Non succedendo il caso di detta fondazione si deve seguitare in detta chiesa di San Quirico come si è detto ogn’ anno in perpetuo per tutti i secoli dei secoli”. Evidentemente ha paura che la sua anima non si salvi; e, se gli esecutori testamentari omettessero d’ adempiere a questo legato, Ridolfo ordina che paghino una multa di 30 scudi alla sagrestia della chiesa della Santissima Madonna di Bocca di Rio !

Lascia inoltre un legato di lire tre e soldi dieci piccioli all’ Opera di Santa Maria del Fiore e centoventi scudi alle Reverende Monache del Monastero di San Girolamo sulla costa a San Giorgio. Alterna continuamente la paura dell’aldilà con la sicurezza con cui gestisce la sua realtà. Infatti vuole, comanda e ordina che gli esecutori delle sue ultime volontà riscuotano da tutti i suoi debitori e vendano tutte le sue mercanzie, bestiame, masserizie e suppellettili impiegando il capitale ottenuto “in tanti luoghi di Monti di Bologna o Roma o in altro luogo più fruttifero e sicuro nel più breve spazio di tempo che sia possibile”. Da abile uomo d’ affari progetta anche la gestione della futura confraternita: “potranno essere ascritti in detta compagnia solo i miei sudditi e vassali masti e loro discendenti masti” che abbiano compiuto i diciotto anni di età . Deve essere iscritto un rappresentante per ogni fuoco”il più vecchio o più provetto o più prudente et habile”. “Tanto il governo che l’amministrazione di detta compagnia e i suoi beni ed effetti li ristringo ai miei sudditi e vassalli e loro discendenti in infinito e fino a che durerà il Monte”. Si dovranno distribuire gli utili “repartitamente” tanto ai maschi che alle femmine intendendosi escluso e non ammissibile qualsiasi vassallo o suddito degli altri Signori di Vernio. Saranno tassativamente esclusi dalla compagnia tutti i Signori Conti e padroni di Vernio e tutti i loro discendenti. Ridolfo mette nero su bianco tutte le regole da seguire per programmare le attività della confraternita, per amministrarla e per farle ottenere il massimo di utili dalla gestione del suo capitale che non si dovrà assottigliare. Addirittura detta le regole per il controllo delle proprietà terriere: periodicamente un fratello anziano e uno giovane dovranno fare le ispezioni necessarie per verificare gli esatti confini di tutti gli appezzamenti di terreno.

Infine, come un vero antico signore feudale, pone i suoi vassalli sotto la protezione del “Sig. Conte Carlo del Conte Piero del fu Conte Carlo d’ Ottavio de’ Bardi e tutti i suoi figlioli e discendenti masti legittimi e naturali in infinito e mancando loro i Sig. Conti Abbate Cosimo Gualterotto e Flaminio, figlioli del Sig. Conte Girolamo del Conte Cosimo de’ Bardi e suoi figlioli e discendenti masti in infinito”. Solo se mancassero i succitati sostituti toccherebbe a Nunzio di Sozzo e suoi discendenti ed in ultimo a Pier Filippo e suoi fratelli, figlioli del Conte Ferdinando di Piero de’ Bardi. Ridolfo stila una vera e propria graduatoria dei suoi parenti basata sulla fiducia, ma dimostra di averne pochissima in chiunque di loro proibendo a tutti “d’aggravare i detti vassalli di nuovi dazi, tributi, imposizioni o tassazioni reali o personali, perpetue, a tempo e per una sola volta, nè ordinarie nè straordinarie”. Anzi, il feudatario che lo sostituirà dovrà anche pagare due soldi l’anno al curato per celebrare tante messe per l’anima della Signora Francesca moglie del fu Sig. Conte Alessandro de’ Bardi e madre del testatore, come per lascito da lei fatto.
Nonostante tutto, le sue raccomandazioni sono state seguite davvero e la congregazione intitolata a San Niccolò vescovo di Bari è stata fondata ed è sopravvissuta quasi tre secoli, fino al 1985, quando le ultime proprietà sono state acquisite dal Comune di Vernio.
Concludendo, Ridolfo de’ Bardi, Conti di Vernio, ha avuto due grandi desideri nella vita: che la sua anima dopo la morte andasse in cielo e che il ricordo del suo nome restasse in terra. Il secondo obiettivo è stato sicuramente raggiunto.

Susanna Rontani
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 10 agosto 2019

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