La toponomastica antica suggerisce che il nome sia una derivazione del sostantivo latino “trivium”, un incrocio di strade, un nodo della viabilità prima etrusca, poi romana. Una definizione poco originale che, appunto, troviamo, uguale, anche in altre località, con la stessa peculiarità legata all’intreccio viario di epoche remote. Nel tardo periodo medievale il “podere da Trebio” è citato, sembra, per la prima volta in una nota, “Ricordanze”, scritta da Fuligno de’ Medici (m. 1374), figlio di Conte (m. 1332) di Averardo (m. 1319, non è Averardo detto Bicci ma il nonno). Precisamente il 7 luglio 1309 Ghino d’Attaviano da Trebio cede i suoi beni ai figli di Chiarissimo de’ Medici (detto anche Salvestro, m. 1336, il padre di Averardo detto Bicci, m. 1363). Qualche anno prima, fra il 1260 e il 1270, sono documentati degli acquisti di immobili, case e terreni, fra San Piero a Sieve e Cafaggiolo. Ecco, l’origine mugellana della famiglia de’ Medici non ha altri riscontri in atti precedenti a queste date. Sicché, solo ipotesi e nessuna certezza sulla loro effettiva provenienza da questo territorio.
Però il Trebbio, Cafaggiolo e Bosco ai Frati, negli anni a seguire, da Cosimo il Vecchio a Ferdinando II granduca, saranno oggetto di importanti investimenti ad opera dei vari rami di questa grande famiglia. Michelozzo, già architetto di fiducia di Giovanni di Bicci e della famiglia più in generale, lascerà la sua impronta su queste tre icone di storia rinascimentale. Così Trebbio, ancor prima di Cafaggiolo, diventa residenza medicea, forse inizialmente del ramo di Cosimo il Vecchio, poi di quello del fratello Lorenzo. Al suo interno si susseguiranno le presenze dei vari loro discendenti, fino a Giovanni dalle Bande Nere e del figlio Cosimo I, il primo granduca di Toscana.
Successivamente, già durante il mandato granducale di Ferdinando I, e poi con la sua morte nel 1609, per il Trebbio iniziò una lenta ed irreversibile decadenza. Venne acquistato da Giuliano Serragli, poi donato alla congregazione di San Filippo Neri. Requisito ed ascritto nel pubblico demanio dal Regno d’Italia nel 1866, venne messo all’asta ed acquistato dall’allora fattore Oreste Codibò. Infine, nel 1886 gli eredi Codibò, fortemente indebitati, furono costretti a vendere a Maria Teresa de La Roche Foucauld, vedova del principe Marco Antonio Borghese.
Ed eccoci alla storia contemporanea. Il nuovo capitolo inizia nel 1936, quando i principi Borghese vendettero le tenute di Trebbio e Cafaggiolo, terreni e immobili, al banchiere romano Enrico Scaretti e a sua moglie, la signora Marjorie Jebb. Qualche anno dopo, però, la villa e la fattoria di Cafaggiolo, con i suoi poderi, verrà nuovamente ceduta. Il Trebbio invece divenne la dimora romantica della giovane coppia. I necessari ed improcrastinabili lavori di restauro durarono undici mesi, si dice con l’impiego organico di circa sessanta lavoratori. Cose e fatti d’altri tempi, relativamente recenti. Fra realismo e forza di volontà. In silenzio, nessun clamore. Senza, cioè, i buffet e le diapositive per le presentazioni, come avviene oggi per annunciare i sogni, in contesti simili. Un vero gesto d’amore, verso un luogo e la sua storia. Una lezione di stile, su cui qualcuno dovrebbe riflettere.
Gianni Frilli
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 30 aprile 2018
Bibliografia: “Il Trebbio in Mugello”, di Roberto Budini Gattai e Francesca Carrara Screti – Aiòn Edizioni, 2011