La Maestà di Moriano
BARBERINO DI MUGELLO – Con la loro presenza discreta punteggiano ogni angolo del paesaggio, compaiono d’incanto quasi ovunque, lungo le viottole di campagna, sui muri nelle vecchie case del borgo, ai crocevia delle strade più antiche.
I tabernacoli sembrano essere lì da sempre o comunque presenti dalle epoche più remote, qualcosa che appartiene alla nostra identità, al nostro costume, non solo riferimento di eterno pellegrinaggio terreno ma simbolo interiore di ricerca e di incontro con il soprannaturale, anche in luoghi lontani da quelli di culto. Una presenza semplice ma determinante nella composizione di un paesaggio unico che ha reso la nostra terra fra le più belle della Toscana.
Difficile immaginare il nostro territorio privo di queste particolari icone di fede. Ve ne sono di molto antichi, semplici e bellissimi, rari nella forma e nella struttura. Altri più recenti, fatica e devozione delle generazioni passate, saccheggiati, dimenticati, abbandonati. Tracce delle loro origini si perdono nella notte dei tempi fino alla cultura etrusca, adottati come simboli omaggianti le divinità del tempo protettrici delle case, delle strade, della campagna.
L’avvento del Cristianesimo li avrebbe mutati secondo i nuovi riti e un “moderno” pensiero di fede. Dai primi secoli dopo il Mille la loro diffusione ebbe un incremento costante che colse il proprio apice tra XV e XVI secolo, quando accanto alle strutture minori iniziarono a sorgere anche Cappelle e Maestà, piccoli ma veri e propri luoghi di preghiera spesso dedicati al culto mariano, secondo l’indole devozionale del tempo. Eretti lungo le più importanti vie di comunicazione per volere di enti monastici e signorie locali, erano spesso arricchiti da splendide pitture a fresco commissionate ai maggiori artisti del tempo, divenendo in breve veri e propri riferimenti strategici per la lettura geografica e la percorrenza del territorio. Vi fu un tempo, verso la metà del Cinquecento, durante il quale le Maestà, “prevaricando” il loro concetto di sacralità, avevano assunto un ruolo insostituibile nell’organizzazione territoriale di ogni comunità. La loro collocazione non era mai casuale, in molti casi indicava confini e limiti di proprietà, segnava ponti e luoghi favorevoli al guado dei fiumi, i crocevia delle strade più frequentate.
Questo valore basilare ed estremamente funzionale per la viabilità dell’epoca, resta ancora percepibile con la lettura della cartografia più antica riferibile alle Piante di Popoli e Strade, realizzata sul finire del Cinquecento dalla Magistratura dei Capitani di Parte Guelfa, lo stesso organismo cittadino che rilasciava il permesso per la costruzione di tabernacoli e Maestà. Su quelle carte, le piccole costruzioni sacre compaiono minuziosamente disegnate ai bordi delle strade, secondo tappe e distanze stabilite, indicandoci quali fossero al tempo le vie più importanti e i luoghi più frequentati del Mugello.
Anche la maestà di Moriano può ascriversi naturalmente in questo contesto paesistico-strutturale che caratterizzava il Mugello dopo il Cinquecento, inserendosi in un vastissimo reticolo di analoghe testimonianze devozionali ancora presenti in tutta la valle. Gli esempi più rappresentativi restano visibili in varie unità nella comunità di Scarperia, a San Piero a Sieve con il tabernacolo di Croce di Via presso la villa delle Mozzete, a Rupecanina e Campestri nel territorio di Vicchio e nella stessa area barberinese in prossimità della Badia di Vigesimo, non lontano dall’antica strada romana che vi transitava verso l’Appennino dello Stale.
Il tabernacolo di Moriano compare già riprodotto negli schizzi preparatori e nella carta ufficiale c644 delle Piante di Popoli e Strade redatta dai Capitani di Parte nel 1585, indicato al tempo come Cappella de’ Corsini, nel Piviere di San Giovanni in Petrojo, popolo di San Jacopo a Villanova. Il piccolo edificio è rappresentato lungo una delle strade principali che attraversava un’ampia zona agreste, divisa in appezzamenti appartenenti a proprietari diversi, dove insieme a quello dei Corsini si leggono i nomi di altre casate illustri come quella dei Medici, dei Gerini e degli Albizzi. La sua posizione geografica segnava un quadrivio importante, dove si intersecavano la via proveniente da Latera per Villanova con quella che da Barberino superato il Turlaccio, scendeva a Bilancino per scavalcare la Sieve al ponte di Campiano.
Una rappresentazione analoga ci è offerta dal Campione di Strade della Comunità di Barberino realizzato da Anton Giuseppe Rossi perito agrimensore, deputato all’opera dalla Magistratura Comunitativa barberinese nel luglio 1778. Nella sua grafica scarna e sintetica, l’opera mette in evidenza l’impianto stradale dell’epoca, dove la maestà di Moriano figura ancora come principale riferimento sulla Strada Maestra di Barberino, posta sull’unico crocevia in prossimità del Turlaccio, non lontano dall’antica chiesetta di San Miniato, della quale però non resta oggi alcuna traccia.
Di qualche decennio precedente (1747) è una breve descrizione dello storico Giuseppe Maria Brocchi che indica la cappella dedicata alla Santissima Concezione, affidata alle cure dei Marchesi Guadagni ma di patronato della Commenda Corsini di Santo Stefano martire. Un angolo della comunità ambito dalle maggiori signorie del tempo, già frequentato da personaggi illustri come Bartolomeo Corsini, autore degli “Annali di Barberino” e del “Torracchione Desolato” che oltre un secolo prima aveva avuto dimora, proprio in una casa del Turlaccio.
Sfuggita all’opera di sbancamento per la realizzazione dell’invaso di Bilancino solo grazie alla sua posizione altimetrica di pochi metri superiore al livello delle acque, la Maestà di Moriano mostra ancora la sua graziosa architettura, sofferente ma tenace alle ingiurie del tempo, collocata sul lungolago a fianco della SP131 e all’inizio del viadotto Calecchia per chi giunge da Barberino. Avvolta e quasi coccolata da un boschetto di cipressi, conserva intatti i propri caratteri originali ed il fascino degli edifici di culto più antichi.
La struttura ha pianta rettangolare con copertura a capanna di tegole e coppi, sormontata da una piccola croce metallica. Una terza falda, aggettante sul piccolo loggiato d’ingresso, conclude un padiglione di copertura complesso ma esteticamente interessante. Di particolare eleganza il disegno prospettico, caratterizzato da due colonnette di pietra che sostengono la cancellata di ferro battuto e dividono le aperture laterali da quella principale, conferendo alla facciata un armonico movimento di spazi e volumi.
L’interno è semplice, con pavimento di cotto posato in diagonale e prende luce da due finestre laterali a lunetta inferriate a losanga. Tutte le pareti erano rivestite in origine, decorate con balze a motivi geometrici che il tempo e la caduta dell’intonaco hanno quasi completamente cancellato. Il presbiterio è rialzato di un gradino e conserva il piccolo altare dal quale è stata rimossa la pietra sacra. Sopra la mensa, semplici paraste con capitelli ionici, sostengono un elegante timpano arcuato, interrotto dal simbolo eucaristico dipinto sulla parete di fondo. Al centro della struttura è una bella edicola con cornice modanata di pietra che accoglie sporadici segni di una pittura a fresco ormai completamente rovinata. Fino a qualche tempo fa vi si leggeva la rappresentazione di una Crocifissione con alcuni santi in adorazione fra i quali erano riconoscibili la figura della Maddalena e quella di San Giovanni.
Ai lati dell’altare, nella parte inferiore, restano visibili due stemmi gentilizi di foggia e disegno speculare. I fregi, pur mostrando un normale decadimento dei colori dovuto al tempo e alle condizioni climatiche della cappella, conservano ancora perfettamente leggibile la propria fisionomia araldica, “d’azzurro ai tre gigli d’argento, alla banda di blu”.
Una composizione che genera non poche perplessità di attribuzione in quanto assente nel repertorio araldico delle casate più illustri della Toscana e da adito a molteplici supposizioni; non ultima la concessione del patronato temporale a una casata forestiera o l’affidamento della cura a qualche canonico cadetto delle più note famiglie della zona.
Massimo Certini
©️ Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 18 aprile 2021
Molto interessante! Chissà se prima o poi qualcuno potrà restaurarla…