A destra il monte dove sorgeva il Castrum di Gattaia

VICCHIO – Nelle nostre campagne sono fiorite nei secoli tante e strane leggende che, in mancanza di televisore e di ancor più moderne diavolerie tecnologiche, venivano raccontate nei freddi mesi d’inverno davanti al focolare. Una di queste riguarda la presenza di un misterioso tesoro custodito nei ruderi del castrum feudale di Gattaia, a lungo cercato e mai trovato.

Esistono tante versioni di questa leggenda, però mi scuserete se voglio raccontare qui quello che è in parte frutto delle mie ricerche e soprattutto il racconto che mi faceva mio padre quand’ero bambino; poi chi conosce una storia diversa si tenga pure stretto il ricordo di quella, ci mancherebbe altro. Dunque, dovete sapere che nella prima metà del Trecento il castello di Gattaia, seppur non imponente, era ancora ben fortificato e difficilmente espugnabile; Firenze ci aveva provato diverse volte senza riuscirci.

Anfratto nelle mura castellane

Il mastio aveva profonde e robuste mura, la grande cisterna nella zona nord forniva l’acqua necessaria e i dintorni scoscesi facevano il resto. Purtroppo, i tempi mutavano in fretta e presto i conti Guidi si ritrovarono a dover fare i conti con la repentina ascesa del Comune. Guido di Battifolle, che intratteneva ormai tanti affari con Firenze, nel 1374 rifiutò sdegnosamente 3000 fiorini per il castello ma cedette all’offerta sontuosa dell’anno successivo: ben 15000 fiorini in cambio delle fortezze di Gattaia e Belforte. Per il primo rifiuto aveva un valido motivo perché il conte Guido custodiva ancora gelosamente nel castello due casse piene di gioielli, pietre preziose e persino statuette di animali in oro massiccio di cui era un vero appassionato. Purtroppo, non poteva far uscire indenne questo tesoro da un castello ormai circondato dai soldati del Comune che controllavano accuratamente tutte le merci in entrata e in uscita. “Chi va là, un fiorino”, direbbe Benigni.

Pensa che ti ripensa e prima di accettare l’offerta di Firenze, Guido ebbe un’idea; nascose in un pertugio sotterraneo le due casse del tesoro facendo crollare l’ingresso e occultando il tutto dietro una grossa statua; l’idea era di venirle a riprendere con comodo contando sul fatto che alcuni suoi fidelis erano stati confermati dal Comune a guardia del presidio. E difatti Firenze in quel poco che restava del maniero detenne ancora per alcuni anni e almeno fino al 1384 un gruppetto di armigeri e un podestà, ma in seguito il sito fu velocemente abbandonato al suo destino di rovina.

Oggi l’interno del Mastio

Nel frattempo Guido di Battifolle era morto portando nella tomba il suo prezioso segreto, anche se qualche voce sul tesoro era pur trapelata tra i soldati; benché cercato, però, nessuno riuscì mai a trovarlo e le casse rimasero sepolte come mi verrebbe da dire “sul cocuzzolo della montagna”. Questo si raccontava ancora in Mugello nei primi decenni del Novecento e un bel giorno del 1940 chiacchierando al fresco di un noce a una combriccola di giovani mugellani venne un’idea; cercare il fantomatico tesoro. Fu così che mio padre con l’amico Muzio, un certo Giovanni detto “Trinca” ed Ezio detto il “Vanga” s’incamminarono verso la montagna portandosi dietro un po’ di pane, pale, picconi e.. indovinate cosa si portò dietro il “Vanga” e soprattutto il Trinca: ovviamente una cesta piena di fiaschi di vino.

Quel giorno di piena estate faceva un caldo terribile e l’ascesa si rivelò davvero faticosa: salivano e bevevano, bevevano e salivano. Sulla cima scoperta e assolata del monte non transitava neppure un alito di vento e l’afa era insopportabile. Dopo aver scavato a destra e manca intorno a quel che restava delle grandi muraglie senza trovare un bel niente, i giovani apparivano parecchio scoraggiati e provati dai violenti raggi del sole. Decisero allora d’addentare quel poco di cibo che avevano portato e dissertarsi attaccandosi, soprattutto il “Trinca”, ai fiaschi di vino dando fondo alle scorte. La combinazione micidiale di sole e vino non tardò a fare effetto e così dopo un po’ giacevano storditi e mezzi brilli sul terreno. In quel preciso momento una vacca al pascolo con il suo vitellino comparve come per magia sulla cima del poggio; il riverbero del sole brillava sulla pelle bianca delle bestie emanando infiniti riflessi dorati. La vacca si avvicinò con passo lento proprio al Trinca che dormiva profondamente e, giunta a 10 centimetri dal ragazzo, si lasciò andare a un sonoro muggito proprio dentro il suo orecchio. Il ragazzo si svegliò di soprassalto e cominciò a urlare disperato “Scappate, scappate, c’è una bestia che mi vuol mangiare!”. Gli altri, in preda ai fumi dell’alcool, non fecero certo domande e scapparono barcollando fermandosi solo quando arrivarono in fondo alla discesa ai piedi del monte. “O Trinca, ma si po’ sapere icchè t’hai visto per urlare in qui’ modo?” chiesero i ragazzi quando ebbero ripreso fiato. “Icchè ho visto?

La vacca d’oro

Lassù in cima al monte c’è una vacca e un vitello tutti d’oro che mi fissavano e facevano de’berci, ma di sicuro non erano bestie, erano i’ diavolo in persona!”. I ragazzi rimasero parecchio dubbiosi, ma comunque per prudenza nessuno tornò sulla cima del monte. Da quel momento in Mugello nei racconti campestri davanti al focolare invece che delle casse di preziosi nascosti dal conte Guido e che iniziava con “C’era una volta il tesoro dei Guidi…” si narrò di un’altra incredibile leggenda che cominciava in modo leggermente diverso: “C’era una volta tra Gattaia e Gattaiolo una vacca e un vitello d’oro…”.

Fabrizio Scheggi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – Dicembre 2024

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