FIRENZUOLA – Una svista di Due parole su questa bella poesia che don Stefano Casini inserisce, nel capitolo sugli Ubaldini, nel suo celebre Dizionario di Firenzuola. Autore, il nostro, in genere attento e preciso, ma che questa volta ha una svista sull’attribuzione della paternità di questo componimento.

In una giornata di primavera, una brigata di ragazze si ferma in un boschetto a raccogliere fiori ed erbe aromatiche. Attardatesi vengono sorprese da un temporale che le costringe a fuggire e a lasciare tutto quello che avevano raccolto. Tutto ciò ci viene raccontato con delicatezza e con leggiadria, pare di ascoltare le grida di gioia e di meraviglia di queste giovani davanti all’eterno rinnovarsi della natura; pare di vedere i colori che le circondano e sentire il profumo dei fiori; pare di udire il verso del grillo e il canto dell’usignolo, lo strisciare della serpe e quasi percepire lo scroscio della pioggia dispettosa che guasta la giornata.
Passando con pensier per un boschetto
Donne per quello givan fior cogliendo
Con diletto
Co’ quel, co’ quel dicendo.
Eccol, eccol. – Che è? – E’ fiordaliso. –
Va’ là per le viole,
Più colà per le rose, cole, cole!
Vaghe, amorose! – Omè che il prun mi punge!
Quell’altra ‘me vi aggiunge.
Ve’ che è quel che salta? Un grillo, un grillo!
Venite, qua correte
Raponzoli cogliete. – E’ non son essi! –
Si son! – Colei, o colei,
Vien qua, vien qua per funghi, un micolino.-
Più colà, più colà per sermollino!
-Noi starem troppo, che il tempo si turba
Ve’ che balena e tuona
E m’indovino che vespero suona.
-Paurosa! Non è egli ancor nona
Et vedi et odi el l’usignol che canta
Più bel, né più bel v’è!
– Io sento e non so che.
– E dov’è, e dov’è? – In quel cespuglio –
Ogni una qui picchia, tocca e ritocca.
Mentre lo bussar cresce
Una gran serpe n’esce.
Omè trista, omè lassa, omè, omè,
Gridan fuggendo di paura piene,
Ed ecco che una folta pioggia viene!…
Qui il Casini salta alcuni versi che riassume così: Lo scompiglio è grandissimo, si gettano i fiori raccolti e si fugge via. I versi mancanti sono quelli tra parentesi: (Qual sdrucciola, qual cade, qual si punge lo pede. A terra van ghirlande; tal ciò ch’ha colto lascia e tal percuote: tiensi beata chi più correr puote.)
E il poeta, osia pure la poetessa?
Rimasto là incantato!
Si fisso io stetti il dì che le mirai
Ch’io non mi avvidi e tutto mi bagnai!
Don Stefano Casini, questo componimento che intitola “Nel bosco”, lo inserisce nel suo celebre Dizionario di Firenzuola, lo data intorno al 1240 e lo attribuisce a Laura Ubaldini “che fu monaca a Firenze, nobilissima per virtù non meno che per sangue, la quale compose stanze e rime lodate da’ suoi contemporanei, per delicatezza e per gusto“, della quale in realtà si trova riferimento soltanto nel lavoro da lui citato in nota: Negri, Storia degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722. Puntualizza, però, che per altri autori va attribuito a Ugolino Ubaldini e la paternità poetica di quest’ultimo fu confermata da numerosi letterati, a partire dal XVI secolo.
In realtà la poesia fu pubblicata per la prima volta da Dionigi Atanagi, nel suo De le rime di diuersi nobili poeti toscani del 1565, come di autore incerto. Nel 1588 Giovan Battista Ubaldini, la inserisce nel libro che parla della storia della sua famiglia, forse allo scopo di nobilitare la sua casata, e dichiara come autore Ugolino Ubaldini, che identifica con l’Ugolino di Azzo, che Dante rammenta in alcuni versi del canto XIV del Purgatorio:
Non ti maravigliar s’io piango,
Tosco, quando rimembro, con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo, che vivette nosco.
descrivendolo così: “gentilissimo cittadino della città di Faenza e dimoro e visse in Toscana come pure il poeta afferma… Fu dotato dalla natura questo Ugolino di bellissime e rarissime qualità, e Dante oltre a gli altri pare che mentovandolo ce ne faccia aperta testimonianza: e fra l’altre lodevoli virtù hebbe in pregio la poesia, e dilettossi di compor versi: et alcune sue composizioni ancor oggi ci si ritrovano”.
Diversi testi e autori proseguiranno per secoli ad attribuire il camponimento a Ugolino, fra i quali ricordo: Saverio Quadrio in Storia e ragione d’ ogni poesia del 1741; il Crescimbeni in Istoria della volgar poesia del 1744; Poeti del primo secolo della lingua italiana del 1816; Giulio Perticari in Amor patrio di Dante del 1822; Rime di antichi autori faentini del 1856 ed altri che non sto a citare. Il primo ad avanzare dei dubbi sul vero autore fu Pier Antonio Serassi che in una nota nel suo Poesie volgari e latine di Baldessar Castiglione del 1760, accosta l’anonimo componimento, edito da Dionigi Atanagi e poi attribuito ad Ugolino, ad una Caccia di Franco Sacchetti tratta da un manoscritto della biblioteca Chigiana. Il curatore dei Lirici antichi serj e giocosi fino al secolo XVI stampato da Antonio Zatta nel 1784, riporta come autori: “Ugolino Ubaldini o Franco Sacchetti”.
La questione venne definitivamente risolta, nella seconda metà dell’ottocento, quando Giosuè Carducci stabilì che il testo era sicuramente trecentesco e da attribuire a Franco Sacchetti. Quindi in sostanza don Stefano Casini fa propria, sicuramente in buona fede, l’attribuzione del componimento a Ugolino, equivoco generato dalla mistificazione imbastita da Giovan Battista Ubaldini. Comunque la poesia è piacevole e ben scritta, e vale la pena di leggerla.