Nell’oscuro periodo compreso fra XIII e XIV secolo, tutto il territorio di San Godenzo con il suo castello e l’abbazia benedettina erano sotto il totale controllo dei Conti Guidi, questo almeno fino al 1344 quando, ormai sopraffatti, i Conti furono costretti a cedere il proprio dominio nelle mani della Repubblica con atto rogato proprio nell’abbazia del borgo il 23 giugno dello stesso anno.
Al di là di questi eventi politicamente determinanti per il futuro di quest’angolo del Mugello è doveroso sottolineare come il ruolo dell’abbazia sia stato preminente in questo contesto, una realtà le cui origini sembrano coeve a quelle del borgo, sospese fra tradizione orale e i documenti più antichi della nostra storia. Vuole la leggenda infatti, che tra V e VI secolo un Gaudenzio nativo della Campania, fuggendo le persecuzioni, fosse giunto in quest’angolo della Tuscia insieme ai suoi seguaci Marciano e Luciano per condurvi vita da eremita e dedicarsi completamente alla preghiera. Qualche tempo dopo, verso la metà de IX secolo, alcuni cacciatori di cinghiali sorpresi nel sonno da una luce potentissima che indicava il luogo di sepoltura, avrebbero rinvenuto il corpo del Santo anacoreta. Sembra, ancora secondo la leggenda, che in seguito ad un primo rifiuto di accoglienza delle autorità fiesolane, il corpo fosse adagiato sopra un carro trainato da buoi che arrestandosi dopo un breve cammino avrebbero indicato il luogo dove edificare una piccola chiesa plebana in onore e per l’accoglienza delle spoglie del Santo. Alla fine del IX secolo accanto a questa prima costruzione, sarebbe sorta l’abbazia benedettina e attorno a questa le prime case del borgo edificate lungo il sentiero che saliva in Appennino.
Nel 1028 Jacopo il Bavaro, sceso in Italia al fianco dell’imperatore Corrado di Baviera e divenuto poi vescovo di Fiesole, volle ricostruire l’abbazia abbellendola e dotandola di molti beni, assegnandola infine a Giovanni, primo abate di una Comunità di monaci Benedettini. Dopo Jacopo il Bavaro, il nuovo vescovo di Fiesole Trasmondo vi interveniva con ulteriori restauri e con una bolla del 25 luglio 1070 consacrava solennemente questo luogo di culto, dotandolo dell’uso del Fonte Battesimale e del privilegio di accogliere le spoglie di San Gaudenzio. Con quell’atto erano annesse alla badia anche le terre di Sandetole e altri beni sulla Montagna di San Godenzo.
Nel XII secolo altre bolle pontificie riconfermavano possesso e cura della badia alla Diocesi fiesolana.
Nel 1464 si ebbe la nomina di Giuntino Giuntini che però rifiutava l’incarico di abate in cambio di un compenso vitalizio offertogli dai Servi di Maria, i frati della SS. Annunziata di Firenze. Con una bolla papale di Sisto IV stilata il 23 maggio del 1482, l’abbazia era definitivamente assegnata in commenda al cenobio cittadino che ne mantenne il patronato fino alla soppressione francese del 1808. Lo stesso documento decretava per la badia un inedito ruolo parrocchiale rimasto invariato fino ai giorni nostri.
In questo lungo periodo notevoli sono apparsi i restauri e gli adattamenti strutturali della chiesa che tuttavia ha sempre conservato il proprio aspetto basilicale tipicamente romanico.
In un cabreo di fine Cinquecento l’edificio compare coperto a due spioventi con campanile a vela recante due fornici, posizionato al centro della copertura e la scala di accesso percorribile su tre lati. Ristrutturazioni notevoli devono essersi compiute fra XVIII secolo e inizio Ottocento con intonacatura delle pareti e nuova disposizione degli altari. Agli inizi del Novecento, su disegno dell’Arch. Ezio Cerpi, l’abbazia fu dotata di un nuovo campanile a torre.
Il terremoto del 1919 non avrebbe causato danni particolari all’edificio e sempre secondo progetto del Cerpi, Architetto della Soprintendenza, nel 1920/21 si concludevano importanti restauri programmati da tempo, che riportarono l’abbazia al primitivo splendore, con aspetto non molto diverso da come la vediamo oggi.
Tolto l’intonaco alle pareti, fu riportato in luce il filaretto, poi rimossi gli altari barocchi laterali, rifatta la base e il collarino alle colonne delle navate. Nella cripta si sistemarono gli archi, ricollocando sulle colonne i capitelli originali tolti in precedenza. Nel coro fu rimontato l’antico altare di marmo intarsiato, aperti gli archi delle navatelle del presbiterio dotandole di nuove absidi. Sempre nel presbiterio furono rifatte le scale laterali di accesso, restaurato l’arco dell’abside centrale e rifatta la balaustra arricchendola ora con formelle di marmo bianco e verde in sostituzione della struttura a colonnine realizzata nel Seicento.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, San Godenzo venne casualmente a trovarsi al centro della Linea Gotica e per questo fu completamente raso al suolo durante il passaggio del fronte nel settembre 1944. Solo l’abbazia fu risparmiata grazie al coraggioso ed efficace intervento di Mons. Ermindo Melani, parroco di allora, che riuscì a distogliere il comandante tedesco dal proprio intento di distruzione, non solo per il valore artistico dell’edificio ma per il fatto che lo stesso era stato fatto costruire da Jacopo il Bavaro, un vescovo tedesco.
Attualmente l’intero complesso si presenta con elegante paramento in filaretto di pietra a vista, coperto a quattro spioventi, con campanile a torre munita di orologio. Una suggestiva scalinata sale all’ingresso principale sormontato da una lunetta a mosaico raffigurante il Cristo con il calice e l’ostia, opera di Giuseppe Cassioli apposta nel 1921.
L’interno coperto a capriate è maestoso, diviso in tre navate delimitate da otto arcate a tutto sesto sostenute da pilastri quadrangolari con base smussata e collarino all’imposta dell’arco. Quattro finestre su ciascun lato danno luce alla navata centrale che si conclude sul prospetto della cripta caratterizzato da cinque arcate a tutto sesto.
Il soffitto della cripta è sostenuto da volte a crociera ribassate, poggianti su sei colonne con capitelli decorati, vi si accede scendendo un gradino rispetto al pavimento dell’aula. Al suo interno si conserva un altare di marmo intarsiato collocato nel 1929 recante un’arca metallica che accoglie il corpo mummificato di San Gaudenzio.
Sopra la cripta è il presbiterio notevolmente rialzato. Vi si accede da due scalinate che salgono alle navatelle laterali e quindi all’abside centrale nella cui calotta campeggia uno splendido mosaico realizzato nel 1929 dalla ditta Costman su disegno di Giuseppe Cassioli.
L’opera rappresenta “L’incoronazione della Vergine ad opera del Figlio”; fra le figure di Angeli e Santi sono riconoscibili Dante, Beatrice e il Petrarca.
Il mosaico costituisce parte di un notevole patrimonio artistico conservato nell’abbazia.
Entrando in chiesa sulla destra, racchiusa in una teca di cristallo si conserva una statuetta ottocentesca in gesso del “Bambin Gesù” popolarmente conosciuta come “Il Bambino ferito” rinvenuta fra le macerie della canonica dopo i bombardamenti nel 1945. Mutilata e danneggiata in più parti è conservata come simbolo di ricostruzione e di rifiuto alla guerra.
Sul lato sinistro dell’ingresso è il Fonte Battesimale in marmo intarsiato collocato nel 1922, realizzato su disegno di Ezio Cerpi e dono dei parroci del Mugello. Dietro al Fonte, sulla controfacciata, è la splendida “Annunciazione di Maria Vergine”, sec. XVI della scuola di Andrea del Sarto, da molti attribuita al Franciabigio. Sulla parete di sinistra appena sopra il Fonte Battesimale è il piccolo Tabernacolo per Oli Santi di marmo intarsiato a motivi geometrici.
Sulla destra della navata centrale, unito all’ultimo pilastro, è il bellissimo pulpito in pietra serena, sorretto da un’esile colonna e scolpito a motivi simbolici con la data di esecuzione il 1529 e l’emblema dei Servi di Maria. L’Altar Maggiore, in marmo intarsiato di stile romanico occupa lo spazio antistante il prospetto della cripta, prelevato dal coro e collocato nella posizione attuale nel 1966.
Saliti nel presbiterio, la navatella di destra accoglie una tela di “Sant’Antonio Abate” (XVI sec.) e una tela a lunetta di “San Francesco che riceve le stigmate” coeva alla precedente.
Nella piccola abside, sopra un altare di marmo con figure geometriche, poggia la scultura lignea a grandezza naturale di “San Sebastiano”, opera di Baccio da Montelupo eseguita nel 1506.
Nella navatella di sinistra è invece una tela dei “Santi Jacopo e Filippo Neri in adorazione alla Croce”, di autore ignoto, eseguita nel XVII secolo. Accanto a questa la “Madonna col Bambino e Santi”. La Vergine compare assisa sulle nubi con San Giuseppe fra i Santi Sebastiano e Chiara, con a destra i fondatori dell’Ordine dei Serviti. Autore ignoto del XVI secolo.
Al centro del presbiterio la “Madonna col Bambino fra Santi”. Polittico a fondo oro, tempera su tavola datato al 1333 ed eseguito da Bernardo Daddi. L’opera rappresenta la Madonna col Bambino fra San Giovanni Battista, San Benedetto, San Nicola di Bari e San Giovanni Evangelista.
Scheda e foto di Massimo Certini
1 commento
Pingback: Il Filo – Il portale della Cultura del Mugello » Bartolini, Simone. Le porte del cielo : Percorsi di luce nelle chiese romaniche toscane