Alessandro Manzoni protagonista del primo romanzo della borghigiana Isabella Becherucci
MUGELLO – Sono innumerevoli le pagine di storia della letteratura dedicate alle ragioni che indussero Alessandro Manzoni a cimentarsi nella stesura di un romanzo storico dai tratti particolarissimi quale “I Promessi Sposi”.
Eppure, queste ricostruzioni poco dicono del percorso di maturazione personale, ancor prima che intellettuale, che condusse Manzoni a scrivere quello che è probabilmente il romanzo italiano ancora oggi più studiato.
Gli amici di Brusuglio di Isabella Becherucci risponde a questo silenzio, delineando i contorni di uno spaccato intimo della genesi de I Promessi Sposi. È nelle pagine del romanzo di questa autrice che possiamo ritrovare una fedele narrazione degli incontri e degli scambi intellettuali che, fin dal primo momento, accompagnarono Manzoni nell’elaborazione della sua opera. Già il titolo del romanzo suggerisce un ruolo importante riconosciuto a quattro intellettuali con i quali Manzoni, persona riservatissima, era solito condividere la propria quotidianità e il proprio lavoro.
È, infatti, con Giovanni Torti, Gaetano Cattaneo, Tommaso Grossi e Ermes Visconti che Manzoni condivide i propri entusiasmi per di Walter Scott. È questo appunto il modello da cui Manzoni trae ispirazione per impostare la sua opera, cimentandosi nella stesura di un romanzo che avesse alle fondamenta un concreto canovaccio storico, attraverso il quale fosse possibile alludere ai duri fatti della quotidianità.
Quella ritratta dalla Becherucci è un’ “officina” manzoniana nella quale viene a comporsi lo sfondo narrativo, ricavato dallo “studio di libri specifici sull’epoca trattata e delle memorie di ogni genere che possano dare un’idea precisa del costume e della storia pubblica e privata in cui si intende impiantare la narrazione favolosa”. È qui all’opera Cattaneo che, particolarmente incuriosito dal nuovo progetto, aiutava Manzoni a reperire volumi di storia milanese del Seicento che gli permettessero di rintracciare notizie su fatti e costumi di quell’epoca. Leggendo l’Introduzione appena scritta, a questi stessi amici Manzoni confida di essere ricorso all’artificio del manoscritto ritrovato, per “descrivere il terribile frangente politico che stava attraversando, per mezzo del racconto di una parallela epoca di violenza, di disordini, di oppressione”, senza incorrere nella censura austriaca.
Lo stesso aveva già fatto in precedenza il Visconti, pubblicando sul “Conciliatore” le Idee elementari sulla poesia romantica. Parallelamente allo “scartafaccio” Manzoniano, ne Gli Amici di Brusuglio troviamo l’artifizio del manoscritto ritrovato. Si tratta, in questo caso, dell’incartamento che Scipio trova nella biblioteca del padre, il magistrato Antonio Salvotti, dopo la morte di quest’ultimo. Solo la fine del romanzo svelerà chi è l’autore del manoscritto; non certo il padre di Scipio, che una scrittura di tal guisa mal si sarebbe conciliata con lo stile di un giudice istruttore. “Cherchez la femme” è la soluzione che attende il lettore. Il bisogno di colmare il senso di solitudine dovuto alle prolungate assenze del marito immerso nel lavoro muove Anna de Fratnich a dedicarsi alla scrittura del romanzo, il cui manoscritto diventerà, per il figlio carbonaro, un’occasione di riconciliazione postuma con il padre magistrato; conforto che al contrario non fu concesso al Manzoni, per il quale i rapporti con la figura paterna resteranno sempre un nodo difficile. È qui forse una differenza significativa: la Becherucci sceglie una donna affinché ricostruisca, a partire dai documenti di una inchiesta giudiziaria che vedeva lo stesso Manzoni tra gli indiziati, gli scorci di vita manzoniana ospitati nella cornice di Brusuglio; è la penna di una donna che dà voce alla coralità di personaggi che circondano l’autore de “I Promessi sposi”: oltre agli amici sopra richiamati, Enrichetta, la madre e Giulietta, senza dimenticare il fedele Giovanni. Interessante notare che, al netto delle differenze che certo caratterizzano la genesi dei due romanzi, in entrambi i casi gli autori si affidano a un narratore doppio.
Ne “I Promessi Sposi” da un lato c’è, infatti, la voce del narratore secentesco che si articola a ridosso della storia, quasi a essere un testimone, anonimo, partecipe e amico di alcuni dei protagonisti della vicenda; dall’altro, abbiamo il secondo narratore tutto moderno che riscrive, o meglio finge di riscrivere, ciò che dice di avere trovato nel vecchio autografo manoscritto “dilavato”. Similmente, ne Gli Amici di Brusuglio da un lato c’è la voce di Scipio, che racconta del ritrovamento del manoscritto, dall’altro c’è quello della di lui madre, che riscrive sotto forma di romanzo le vicende che aveva trovate tratteggiate nella forma di documenti giudiziari.
Rispetto agli Amici di Brusuglio, mi chiedo se la scelta di affidare a una donna il punto di vista narrante non corrisponda, oltre che al gioco di riflesso e immedesimazione tra autrice e narratrice, anche alla scelta di voler stabilire una simmetria tra punto di vista del narratore e taglio narrativo adottato. Non sembra casuale, infatti, che siano proprio gli occhi di una donna a restituire al pubblico un Manzoni e un universo manzoniano (tanto letterario, quanto domestico), fino ad oggi molto trascurato, se non travisato, dalla critica letteraria.
Isabella Becherucci è nata a Firenze e insegna Letteratura italiana all’Università Europea di Roma. È membro del Centro Nazionale di Studi Manzoniani. Si occupa della Biblioteca e dell’Archivio privato di Manzoni nella villa di Brusuglio. Con Imprimatur. Si stampi Manzoni (Venezia, Marsilio, 2020) è arrivata finalista al Premio Internazionale della Città di Como e seconda classificata al Premio letterario Carlo d’Asburgo. È al suo primo romanzo.
Lidia Nicolosi
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 9 Gennaio 2022
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