“L’anima del Mugello”, primo premio del concorso Nuovi Occhi sul Mugello
MUGELLO – Pubblichiamo il testo “L’anima del Mugello”, che ha vinto il concorso letterario “Nuovi Occhi sul Mugello” (articolo qui). L’autore è Fabrizio Scheggi, scrittore, pittore e poeta di Vicchio.
“Stanotte non ho quasi chiuso occhio e negli ultimi tempi mi succede spesso. Forse ieri sera avevo bevuto troppo, oppure qualcosa mi era rimasta sullo stomaco. Quando sono riuscito a dormire un po’ ho sognato di camminare in un bosco dove trovavo, semisepolta dai rovi, una grande ceramica bianca e blu con l’immagine di un Gesù risorto. Il bello della faccenda è che dalla scultura arrivava una voce lamentosa e metallica che diceva: “Vieni, io sono lo spirito, l’anima vera del Mugello!”. Per carità, io non me ne intendo molto di anime, pensavo nel sonno, però mi sembrava che fosse una dotazione delle persone e non degli oggetti che sono per natura, appunto, “inanimati”! La strana voce, però, sembrava leggermi nel pensiero e rispondeva: “E’ vero, ma dentro di me conservo l’anima di quelli vissuti qui, per poterne custodire la memoria!” A quel punto mi sono svegliato. Che cavolo di sogno, veramente strano e che con me c’entra ben poco. Una ceramica che parla, l’effige di Gesù, anime conservate…mah! Non sono nemmeno credente, io, e l’anima del Mugello, giuro, non l’ho mai cercata e nemmeno ci avevo mai pensato. Da troppo marcisco in questa monotona campagna senza prospettive per i giovani come me. Voglio andarmene in fretta, è tutto così lento e sonnolento qui, non avrei possibilità d’emergere se restassi in questa valle fuori dal mondo. Certo, sono posti che piacevano tanto ai miei vecchi, ma io mi sento davvero a disagio. Purtroppo, in qualche modo devo vivere, e perciò scrivo articoletti del cavolo per un giornale locale, nella speranza di trovare presto un buon lavoro in città, un’occasione “vera”.
Sono le sei del mattino e non ho ancora sonno. Decido di farmi un giro, nonostante fuori soffi un venticello pungente. La luce dell’alba è ottima per le foto, e ho promesso al capo un servizio sugli alberi più antichi della zona (sai che goduria!). In località Campestri mi hanno detto che c’è un cipresso secolare; andrò là. In casa non c’è niente da mangiare, come al solito. Preparo il caffè, ma anche quello viene uno schifo, come al solito. Vivere da soli a volte diventa maledettamente complicato. Forse, è meglio che vada a cercare un bar aperto in paese, a Borgo. Prendo la moto e parto, rompendo il silenzio del primo mattino e anche le scatole a qualche pensionato che dal caldo del letto mi avrà di sicuro mandato al diavolo. Fatta colazione, sono più lucido e rimonto in sella. Salgo a Campestri e trovo il famoso cipresso. Si dice che sia stato piantato dal vescovo Agostino nel XV secolo. Non mi sembra niente di speciale; ha un grosso tronco, quello sì, e pure strano, tutto vuoto all’interno. Fotografo e sbadiglio, sbadiglio e fotografo, seguendo distratto intorno a me la magica e disordinata danza delle ultime foglie d’autunno… Maledizione, che sonno ho adesso dopo la nottataccia che ho passato! Da una vicina casa colonica esce fuori una vecchietta con i capelli candidi e arruffati, come una tempesta di neve sulle montagne. Si avvicina. Ha in mano un secchio giallo con del mangime per le galline, un grembiule strappato, un ragno appollaiato sulla spalla da chissà quanto tempo. “Icchè la fa, è venuto a fotografare il vecchio cipresso? Vada, vada!”, dice senza aspettare la mia risposta. E comincia a raccontarmi del fulmine che bruciò la pianta, della guerra e dei tedeschi che lo minarono; il cipresso, grazie alla cura degli abitanti locali riprese a vivere. Ecco spiegato quello strano tronco cavo e sgangherato! Fingo di essere interessato per pura cortesia; non ho ancora detto nulla, per ora ho solo ascoltato. Anche perché quest’anziana ha una voce armoniosa; non so come mai, ma ha un accento stranamente familiare. Mi sembra di essere tornato bambino e rivedere mia nonna, di sentire il profumo del pane che cuoceva nel forno, il sapore della schiacciata con la salvia, il vociare festoso della vendemmia. Incoraggiata dal mio atteggiamento, non smette più di parlare: l’infanzia, la vita nei campi, la morte del marito, l’incendio che le bruciò la casa, le lotte quotidiane per sopravvivere. Si lamenta che il mondo è cambiato, un tempo conosceva tutti lì intorno, si volevano bene e s’aiutavano. Ormai, è rimasta sola e isolata, ma non vuole andar via. “Non voglio pesare ai miei figli” dice con una punta d’orgoglio. “E poi… qui ho i miei ricordi, da quassù vedo tutto il Mugello, e questo mi basta. M’arrangio come posso, anche se l’età non mi consente più di fare sforzi”. Mentre dice quelle parole, afferra una pesante accetta appoggiata al cipresso e spacca come niente fosse due grossi legni. “Non può fare sforzi?”, penso meravigliato, “Questa avrà cent’anni e guarda cosa fa, se ci provo io finisco all’ospedale!”. Ormai mi segue dappertutto, mi fa davvero “sclerare”, però mi rompe essere sgarbato. Per scoraggiarla fingo di fotografare la pianta; la chioma non è folta, ma chissà che radici profonde avrà! Che strano, non posso fare a meno di pensare che quella vecchietta è identica al cipresso. Ambedue hanno resistito, in simbiosi: solidi, tenaci nelle loro radici, abituati a soffrire. D’improvviso, dice qualcosa che mi sorprende. “Presto verrà il mio momento, ma io so che dentro di me conservo l’anima di quelli vissuti qui, per poterne custodire la memoria.” Poi svolta l’angolo del pollaio inseguita da galline starnazzanti.
Accidenti, ora che ci penso… quelle sono proprio le stesse parole del mio sogno! Le corro dietro, però svoltato l’angolo non trovo nessuno, solo un pollaio abbandonato da tempo con la recinzione arrugginita e sepolta dai rovi; in terra, i resti di un secchio giallo sfondato. Corro alla colonica, ma la trovo senza porta e con il tetto franato. Rimango a bocca aperta. Non può essere vero, ma allora… quella vecchietta era forse lo spirito, “l’anima del Mugello”? Ma che vado a pensare; sono forse rincretinito? Sono un tipo razionale, io, non credo certo a queste sciocchezze. Forse ho la febbre e sto delirando, oppure… sì, sì, è logico; stanco com’ero mi sono addormentato e ho sognato tutto. Ora capisco, è andata di sicuro così! A quel punto decido di andarmene e torno alla moto. Uno strano bagliore da un muro coperto d’edera attira, però, la mia attenzione. Sposto la vegetazione e trovo lì murata una grande ceramica bianca e blu con l’immagine di un Gesù risorto. La riconosco subito.
Lascio stare la moto, le foto e anche la fretta. Mi sento improvvisamente sereno, rilassato e, per la prima volta nella mia vita, in pace con il mondo intero. E con me stesso. Siedo a terra accanto al vecchio cipresso guardando dall’alto, questa volta con occhi diversi, il risveglio della valle mugellana dove sono nato.
P.S.-A Campestri esiste davvero l’antico cipresso, e pure la maiolica. E, ve lo giuro, c’è pure la vecchietta”.
© Il Filo – Idee e Notizie dal Mugello – 29 maggio 2018