Monastero di Santa Caterina a Borgo San Lorenzo
Nel cuore del centro storico di Borgo San Lorenzo si trova un monastero che conserva ancor oggi un pregevole patrimonio artistico e documentario sopravvissuto alle soppressioni napoleoniche (1808) e postunitarie (1866), custodito devotamente dalle suore domenicane qui vissute in regime di clausura fino al 1971.
La sua storia inizia esattamente cinque secoli fa: il 20 gennaio 1516 una bolla del papa Leone X ne autorizzava l’istituzione assecondando la richiesta del pievano Damiano Manti di Imola che un mese prima aveva consegnato di persona la supplica nelle mani del papa recandosi a Cafaggiolo insieme alle autorità locali e a un gruppo di donne desiderose di monacarsi. Da tempo mancava nel contado mugellano un istituto religioso femminile e il Manti volle che fosse associato alla pieve per consentire il mantenimento del titolare e la cura della chiesa, precedentemente assai trascurata. Due suore del monastero di Santa Caterina di Firenze furono incaricate di formare le novizie, alle quali fu concesso due anni dopo di fare la professione solenne dei tre voti di povertà, castità e obbedienza, secondo la regola dell’Ordine domenicano.
Il complesso monastico non fu edificato ex novo ma attraverso la ristrutturazione di edifici già esistenti come la canonica. Con l’acquisizione dell’ex chiesa di Sant’Agnese il solerte pievano ottenne che si liberasse la sede della Compagnia della Vergine Assunta (o degli Azzurri) che aveva l’ingresso sul lato destro della facciata della pieve (dove ora è situato il tabernacolo di San Francesco) e che era proprietaria anche di una loggia con orticello. Più oltre, lungo la via Mazzocchina (l’odierna via San Francesco), c’era infine una casa detta “del Beriolo” che fu acquistata per 300 scudi. Poi Filippo di Francesco di Bonizo (detto Chiochio) fece donazione di un orto che fu possibile estendere fino alle mura castellane grazie alla cessione del fossato da parte del Comune di Firenze nel 1520. Nell’arco di 4-5 anni, con le offerte raccolte in seguito a una speciale indulgenza plenaria promulgata dal papa e le doti pervenute dalle prime suore, furono costruite le celle del dormitorio, le cucine, il refettorio, la sala capitolare, il parlatorio e la scuola delle novizie. Dall’arioso chiostro, provvisto di pozzo e loggiato, si poteva accedere direttamente all’interno della chiesa dove era stato costruito un coro rialzato per consentire alle converse di nascondersi agli occhi dei fedeli e al tempo stesso di assistere alle funzioni sacre accompagnandole col canto.
Inizialmente l’elezione del pievano era attribuita all’arcivescovo di Firenze ma nel 1539 papa Paolo III concesse questa facoltà alle religiose dell’Ordine domenicano riservando all’arcivescovo solo l’assenso successivo e nel 1543 l’amministrazione della pieve e dei suoi beni passò ai fiduciari delle monache che la tennero fino alla soppressione napoleonica, quando tutto il complesso conventuale fu trasformato in caserma, carcere, fabbrica di salnitro e ospizio per poveri pigionali. Durante l’occupazione francese il pievano Giovanni Gualberto Catani ingrandì la canonica e la sacrestia e distrusse il coro liberando così la navata destra della chiesa.
Dopo la restaurazione del Granducato di Toscana, la Mensa episcopale fiorentina riacquisì formalmente i tradizionali diritti su Borgo e sulle chiese suffraganee, che fino ad allora avevano pagato le decime parrocchiali al monastero. A differenza di molti altri conventi (come quello di Luco o di San Francesco, che non furono ripristinati) quello di Santa Caterina da Siena riprese gradualmente la sua vita normale dal 1818, in completa autonomia dalla pieve.
Per le funzioni liturgiche riservate alle monache fu quindi costruito un mezzanino (il “coro invernale”) e un sovrastante spazio molto ampio (il “coro grande”), separati solo con una grata dalla nuova cappella (la cosiddetta “chiesina”) provvista di un ingresso dall’esterno del convento. Sul lato sinistro della cappella fu aggiunta la sacrestia e una stanza per gli esercizi spirituali mentre sulla destra una piccola cappella fu dedicata alla memoria della venerabile Suor Reginalda, morta nel 1817 in fama di santità e che, insieme a Suor Maria Sperandio Becherini (1708-1776), eccelle tra la nutrita schiera di religiose distintesi in questo luogo per fervore mistico e spirito di penitenza.
L’impianto architettonico cinquecentesco del monastero fu ampliato e modificato in seguito a diversi lavori (nel 1858 fu ultimata la chiusura del chiostro sul lato est) ma tale impronta rimane chiaramente visibile nelle colonne con capitelli a foglie del portico tamponato, nei peducci fogliati del vestibolo del refettorio e nel portale delle cucine con mostra in pietra serena.
Il patrimonio di questa istituzione religiosa si accrebbe in virtù dei molteplici lasciti e delle monacazioni di giovani facoltose includendo non solo case all’interno delle mura cittadine ma anche estesi terreni e boschi situati nel territorio dei popoli di Borgo San Lorenzo, San Giovanni Maggiore, Montefloscoli, Figliano e Luco. Questi beni erano dati in affitto o a mezzadria (si ricordano i poderi del Poggio, di Bosso, della Castellina, del Fondaccio, di Larciano e di Pagliano).
Le cospicue rendite permisero anche l’acquisizione di pregevoli opere d’arte che ancor oggi arredano gli altari della pieve borghigiana, come la tavola di Cesare Velli o le tele di Matteo Rosselli e Jacopo Vignali. Per quanto riguarda gli affreschi abbiamo notizia solamente di un Cenacolo dipinto nel refettorio, oggi scomparso, e una lunetta assai deteriorata raffigurante la Madonna col Bambino in trono tra santi, ora collocata nella navata sinistra della pieve.
Numerosi dipinti, in parte recentemente restaurati, adornano attualmente gli ambienti del monastero. Ricordiamo solo i più importanti, a cominciare dallo Sposalizio mistico di Santa Caterina alla presenza dei Santi Lorenzo e Domenico, del pittore manierista Michele Tosini, detto Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, tavola commissionata dalle monache nel 1564 per ornare il primitivo coro (ora è nella chiesina).
Considerando la consistenza dei panneggi e i caratteristici paesaggi sullo sfondo allo stesso Tosini è stato attribuita anche la Madonna col Bambino e San Giovannino, visibile nel corridoio del dormitorio.
Recenti restauri hanno permesso di apprezzare altri dipinti come il San Girolamo nel deserto, risalente al XVI secolo, un San Domenico e un San Tommaso d’Aquino del XVII secolo.
Un crocifisso sagomato della prima metà del XVI secolo, utilizzato come croce processionale, è stato collocato in sacrestia, dopo un restauro che ne ha evidenziato il delicato cromatismo.
I
l “coro grande” ospita diverse opere: un’Annunciazione della seconda metà del XVI secolo, della bottega di Michele Tosini (sull’altare), tele raffiguranti la passione di Cristo (tra cui la Flagellazione e la Coronazione di spine del XVII secolo, di incerta attribuzione) nonché una sorprendente Santa Caterina che beve il sangue dal costato di Cristo della scuola di Santi di Tito. Vi sono anche due quadri, donati per guarigioni miracolose ottenute dalle suore, che raffigurano il papa domenicano Pio V e la Beata Agnese da Montepulciano. Qui fu portato l’organo mobile, costruito dai fratelli Tronci di Pistoia nel 1778, che era in precedenza nel vecchio coro della pieve e che oggi si trova nel prospiciente Oratorio di Sant’Omobono.
Nel refettorio, con il soffitto a volte poggianti su peducci di pietra, figura un piccolo ambone ligneo utilizzato per le letture durante i pasti ed una tela raffigurante L’ultima cena di un anonimo pittore del secolo XVI.
Alla locale Manifattura Chini si deve la produzione di una lunetta ceramica policroma con tre cherubini attorno alla croce, collocata nel corridoio che porta alle cucine. All’esterno dell’edificio conventuale, sopra l’ingresso della cappella in via San Francesco, si può ammirare una lunetta in ceramica di stile robbiano raffigurante L’incontro di San Francesco e San Domenico, che la stessa manifattura sfornò in occasione delle celebrazioni francescane del 1926.
A.G.
BELLISSIMO, DONA UN SENSO DI PACE, DI BENESSERE. Fa pensare ad un una vita idilliaca che nel mondo è difficile da vivere. MONASTERI LUOGHI DI GIOIA E NON DI NOIA COME CERTI LAICI CONTINUANO A DIRE O SCRIVERE SUI LORO GIORNALI.
LUOGHI DI INCONTRO CON DIO IMPERSONIFICAZIONE DELLA GIOIA E DELLA PACE STESSA.
Pietro Martino